La via Latina: l'ipogeo di Trebio Giusto
La scoperta di questo ipogeo - che si
trova in prossimità del I miglio della
via Latina, al di sotto di
una palazzina al civico n.13 di via Giuseppe Mantellini - avvenne
casualmente nel 1911, ad opera del proprietario del terreno, il
quale, messo in allarme da alcune lesioni che minacciavano il suo
villino, volle controllarne le fondamenta, scoprendo così una camera
funeraria completamente ricoperta di pitture.
Attualmente l'unica
via d'accesso al monumento è una botola situata nei locali di una
officina meccanica. La planimetria della camera funebr (C, nella pianta) e è
perfettamente quadrata (260 cm. di lato) e l'ingresso originario a
cui si arrivava a mezzo di una galleria, ora completamente franata e
lungo la quale in epoche successive furono realizzate alcune
sepolture ad arcosolio, presenta un arco che introduce al cubicolo.
Nello spessore dell'arco sono dipinti
due genietti canefori (portatori di canestri) dai quali parte una
decorazione vegetale che va a ricongiungersi sulla sommità dell'
arco stesso.
Su ognuna delle due pareti laterali del
cubicolo sono scavati tre loculi, mentre la parete di fondo è
caratterizzata da un'arcata completamente affrescata, nella parte
mediana della quale si apre un profondo arcosolio.
La parete di fondo
Nella lunetta dell'arcosolio è dipinto
il ritratto del defunto intorno al quale sono disposti una serie di
elementi: la teca calamaria, il rotulo, molte tavolette cerate ed una
cista di volumi. Lungo il bordo superiore dell'arcata, si legge la
seguente iscrizione: Trebius Iustus et Horonatia Saeverina Filio
Maerenti Fecerunt Trebio Iusto Signo Asello Qui Vixit Annos XXI Meses
VI Dies XXV
(Trebio Giusto ed Horonazia Severina fecero costruire
il sepolcro per il meritevole figlio Trebio Giusto, detto Asello, che
visse ventuno anni, sei mesi e venticinque giorni).
Sulla parete al di sopra dell'arcosolio
un personaggio femminile in dalmatica e un personaggio maschile in
tunica corta clavata (presumibilmente i genitori del defunto)
sostengono un drappo su cui sono deposti alcuni oggetti: quattro
armille, un anello gemmato, un vasetto biansato e molti piccoli
oggetti di forma rotonda. Dietro il drappo è seduto un personaggio
maschile (molto probabilmente si tratta nuovamente del defunto) in
tunica corta clavata che poggia i piedi su un suppedaneo.
Al di sotto dell'arcosolio, al centro è
dipinto stante il defunto ai lati del quale si dispongono alcuni
lavoratori agricoli accanto ai quali erano un tempo indicati i nomi
(rimane leggibile solo quello di Valerius). Sopra il ritratto del
defunto campeggia la scritta ASELLAE – PIAE – Z....,
intrepretabile come la trascrizione latina della formula augurale
greca “Pie Zeses” (letteralmente
bevi, vivrai) dove i due
dittonghi “ae” sono un errore dello scriba che ricorre anche
nella didascalia dell'arcosolio (nelle parole
Saeverina e
Maerenti).
La parete di sinistra
Nella parete di sinistra del cubicolo
sono raffigurati alcuni operai intenti alla costruzione di un
edificio. Si tratta di un dipinto straordinariamente realistico e
quasi unico nel suo genere, in cui viene rappresentato nei dettagli
il tipo di impalcatura utilizzato dai muratori romani.
La parete destra
Sulla parete di destra si vedono due
personaggi, uno, presumibilmente un architetto, con in mano una lunga asta,
impartisce ordini all'altro, un capo mastro (?), definito dalla didascalia generosus magister, con in mano una
cazzuola e un'assicella che in proporzione dovrebbe rappresentare la
misura del piede romano. Alle spalle di queste due figure si vede una
costruzione terminata che sembra essere quella cui stanno lavorando
gli operai sulla parete opposta.
La parete d'ingresso
Nella
parete d'ingresso, nella lunetta in alto è dipinta una scena
di lavoro agricolo con due personaggi maschili che trasportano cesti
di erbaggi. Sulle pareti che fiancheggiano la porta d'ingresso due
cavalli (o muli) che trasportano delle ceste o reti piene di sassi
sospinti dagli excitatores. Al di sopra del cavallo di
sinistra si legge il nome Leporius. In basso a destra si nota
una figura provvista di barba e baffi che sembra emergere dal
sottosuolo tenendo nella sinistra una lucerna accesa.
La volta
Nella volta a crociera campeggia infine
la figura del Buon pastore che tiene un flauto nella destra e un
bastone nella sinistra ed è fiancheggiata da due pecore.
La particolarità del programma
decorativo della tomba ha sollevato negli studiosi che se ne sono
occupati non pochi problemi interpretativi. L'unico elemento
iconografico chiaramente riconducibile ad un alveo culturale
cristiano è infatti la figura del Buon pastore dipinta nella volta.
Quasi tutto il resto sembra invece ispirato alla vita reale e alle
attività svolte dal defunto in vita sì da farlo identificare come
un architetto o un imprenditore edile, oltre che proprietario
terriero. Ma un realismo così vivido ed un elogio così enfatico
della vita del defunto non hanno raffronti nella pittura cimiteriale
cristiana del III-IV secolo (1). Appare inoltre quanto meno strano che se
davvero la professione del giovane defunto fosse stata quella di
architetto, così bravo da essere celebrato come tale nella
decorazione della sua tomba, non se ne faccia alcuna menzione nella
epigrafe dell'arcosolio.
Sulla scorta di queste incongruenze
Orazio Marucchi (2) ha avanzato un'ipotesi interpretativa che legge
l'intero programma decorativo in chiave simbolica e collega le
convinzioni religiose del nucleo familiare al credo di una setta
eretica gnostica.
Lo
Gnosticismo:
con
il termine
gnosticismo si designa un gruppo di correnti
filosofico-religiose che hanno avuto la loro massima diffusione nei
secoli II e III. Fino al ritrovamento nel 1945 a Nag Hammadi,
nell’Alto Egitto, di un’intera biblioteca gnostica, gli studiosi
disponevano di scarsi testi originali e integrali, ritrovati nel
corso del tempo, e le fonti per lo studio delle teorie gnostiche
erano costituite soprattutto da descrizioni e da citazioni contenute
nelle confutazioni da parte di autori cristiani, in particolare
Ireneo (
Adversus Haereses) – che fu il primo a designare
questa eresia come
gnostica - Epifanio (
Adversus Omnes
Haereses) e Tertulliano (
De Praescriptione Hareticorum).
La
gnosi è la conoscenza di Dio
e delle origini e destino della razza umana per mezzo della
rivelazione, trasmessa direttamente dal Cristo ad una
ristretta cerchia d'iniziati.
Secondo
gli gnostici il Dio supremo e incomprensibile aveva generato per
emanazione altri esseri (
Aeones) in numero di 30 che
dimoravano nel
Pleroma (il luogo superiore). L'ultimo degli
Eoni, Sophia, si corruppe con la lussuria e precipitò nelle tenebre
dando origine al Demiurgo (3) che, coadiuvato da sette
Archontes
(uno per ognuna delle sette sfere celesti), creò il mondo materiale
e gli uomini. Ma la madre Sophia, a sua insaputa, infuse negli uomini
la scintilla divina (
pneuma) che aspira ad essere reintegrata
nel Pleroma. Il Demiurgo e gli Archontes abitavano il
Medietas (il
luogo di mezzo) mentre gli uomini assieme ai demoni abitavano il
Kenoma (il luogo inferiore).
Sophia, rimasta imprigionata nel mondo
materiale, è angosciata e disperata per cui il Cristo (un altro
Eone), il Salvatore, mosso a pietà, discende attraverso le sette
sfere degli Arconti e giunge nel mondo per liberarla ed insegnare
agli uomini la vera dottrina.
Dopo
la morte, il corpo restava tra le cose del mondo ed era destinato ad
essere bruciato assieme a tutte le cose materiali, mentre l'anima
dell'iniziato intraprendeva il suo viaggio per ricongiungersi a Dio
nel Pleroma. Per far questo doveva però attraversare le sette sfere
celesti e poteva farlo grazie alle parole segrete, agli amuleti e
alle formule magiche di cui è in possesso e che costringeranno i
sette Arconti a lasciargli il passo.
Punti
di forza dell'interpretazione in chiave gnostica delle pitture del
sepolcro di Trebio Giusto - per la quale rimandiamo al testo di
Marucchi – sono: nella parete a sinistra dell'ingresso, la presenza
di una donna barbuta (tutti gli Eoni sono maschio e femmina) che
tiene in mano una lucerna e sembra emergere dal sottosuolo ed in cui
l'autore identifica la Sophia che cerca di liberarsi dalle tenebre.
La donna barbuta
Nei tre registri della parete di fondo – dove il defunto è
raffigurato tre volte – sarebbero rappresentati i tre diversi
livelli del Kenoma, della Medietas e del Pleroma.
In
quello inferiore il defunto è nel Kenoma insieme ai contadini che
raccolgono la zizzania (i corpi) destinata ad essere bruciata dopo
essere stata separata dal grano (le anime degli eletti).
Nell'arcosolio, l'anima del defunto sarebbe raffigurata nel
Medietas, con un volume aperto sulle ginocchia e circondato da
tavolette di cera e strumenti di scrittura mentre s'imbeve (cfr.
l'iscrizione augurale pie zesis qui
posta) di scienza gnostica per poter attraversare le sfere
celesti e raggiungere il Pleroma che sarebbe rappresentato nel
registro più alto.
Qui
il defunto è seduto e poggia i piedi su un suppedaneo (simbolo di
onore e dignità, giacchè ha ormai raggiunto il Pleroma). Davanti a
lui una figura femminile ed una maschile sorreggono un drappo su cui
si osservano diversi oggetti, tra questi spicca un anello gemmato (cerchiato in rosso nell'immagine) che
potrebbe essere un abraxas, un sigillo in cui era a volte
incisa questa parola ritenuta magica e che era in uso presso le sette
gnostiche sia come segno di riconoscimento sia come amuleto. Nel
Pleroma l'anima è infatti ancora oggetto degli attacchi degli
Arconti da cui deve difendersi con rituali magici e talismani.
Nella
parete sinistra del cubicolo non sarebbe rappresentata una semplice
scena di lavoro edile, ma la costruzione della città mistica
destinata agli eletti. I due personaggi raffigurati sulla parete di
destra sarebbero quindi in relazione con la costruzione della città:
a sinistra l'architetto con il bastone di comando e a destra il
generosus magister - che tiene in mano il piede romano e
guarda verso la città in costruzione sulla parete opposta - che si
appresta ad eseguire le istruzioni ricevute.
Note:
(1) La datazione delle pitture non è del
tutto certa, alcuni aspetti come i corpi massicci, la gestualità
contenuta e le vesti con ornature tipiche dell'età costantiniana,
farebbero pensare ai primi decenni del IV secolo mentre i dati
paleografici sembrano suggerire una datazione più alta (seconda metà
del III sec.).
(2) O. Marucchi, L'ipogèo sepolcrale di
Trebio Giusto recentemente scoperto sulla via Latina e proposta di
spiegazione gnostica delle sue pitture, in Nuovo bullettino di
archeologia cristiana, vol. 17, 1911, pag. 209-236.
(3) Per alcune correnti gnostiche, il
Demiurgo (a volte chiamato
Yaldabaoth) s'identificava con
Yahweh, il Dio vendicativo del Vecchio Testamento mentre l'Entità
Suprema s'identificherebbe nel Dio buono del Nuovo Testamento.
Videografia:
Alberto Angela, in Passaggio a Nord Ovest, 2009