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giovedì 3 ottobre 2013

La cappella funeraria di Bessarione


La Cappella funeraria di Bessarione
(chiesa dei SS.Apostoli, Roma).

Il 18 dicembre 1439, appena terminato il Concilio di Firenze e mentre ancora si trova a Costantinopoli, papa Eugenio IV (1431-1447) nomina Bessarione cardinale titolare della chiesa dei SS.Apostoli a Roma, carica che ricoprirà fino al 1449; nei primi anni Cinquanta, sotto il pontificato di Niccolò V (1447-1455), ne diverrà amministratore perpetuo e commendatario.

La cappella funeraria di Bessarione – dedicata a S.Giovanni Battista, S.Eugenia e S.Michele Arcangelo – fu affrescata tra il 1464 ed il 1468 da Antoniozzo Romano con la collaborazione di Melozzo da Forlì.
Coperti da una mano di calce già nel 1545, per i gravi danni causati dalle continue inondazioni del Tevere e dal sacco lanzichenecco (1527), gli affreschi furono in parte obliterati (1650) dal monumentale altare di S. Antonio, che Carlo Rainaldi addossò all’abside della cappella stessa e definitivamente perduti con la costruzione della attuale cappella Odescalchi (1719-23) di Ludovico Rusconi Sassi. La loro esistenza, rimasta nota attraverso alcune descrizioni seicentesche, fu scoperta solo nel 1959 dall’architetto Clemente Busiri Vici nel corso di alcuni lavori di manutenzione del lato di Palazzo Colonna attiguo alla basilica.
Nel primo testamento del cardinale, redatto nel mese di febbraio del 1464 a Venezia - dove Bessarione si era recato quale legato pontificio a latere per organizzare l’intervento crociato della Serenissima - sono riportati i lavori strutturali da eseguire nella cappella e la minuziosa descrizione di una recinzione presbiteriale, una sorta di iconostasi, atta ad isolare la zona più sacra della cappella dallo spazio dei fedeli. Il testo in questione - dove vengono esposti in dettaglio i lasciti del cardinale alla propria cappella funeraria e le volontà inerenti la realizzazione del suo sepolcro - presenta altresì la raffigurazione dedicatoria che doveva campeggiare in controfacciata alla parete di ingresso: Cristo in trono affiancato da Maria, S. Giovanni Battista, l’Arcangelo Michele, S. Eugenia e il cardinale Bessarione; nell’affresco votivo il prelato doveva comparire inginocchiato accanto ai santi eponimi e, sotto di lui, le sue armi. Lo schema iconografico sembra far riferimento a quello tradizionale bizantino della Deesis nel quale Maria e Giovanni Battista, ai lati di Cristo, intercedono per le anime dei fedeli, tema che ribadisce la destinazione funeraria della cappella. È importante rilevare che nel documento si rinvia ad un accordo precedentemente preso con il magister a noi non pervenuto, nel quale era forse descritto a grandi linee l’intero schema della decorazione e, più precisamente, le pitture da realizzare nella parte absidale.

Dalle descrizioni antiche sappiamo che il ciclo pittorico doveva comprendere dal basso verso l’alto le storie di Giovanni Battista (oggi perdute e già in antico sostituite da scialbe raffigurazioni sacre); le due storie dell’arcangelo Michele (conservate in gran parte) e culminare in alto con la presentazione dell’uomo al Cristo trionfatore, circondato dalle nove schiere angeliche (solo parzialmente conservato).


Particolarmente importante per la sua valenza simbolica, storica e teologica è il grande affresco centrale dedicato a due celebri episodi legati alle apparizioni dell’Arcangelo Michele (1).
A sinistra, è l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro presso la città di Siponto nel Gargano - APPARITIO EIUSDEM IN MONTE GARGANO, come recita il titulus sottostante - (2); a destra, il sogno di san Oberto a Mont Saint Michel nel golfo di Saint Malo in Bretagna, sede di un altro importante santuario dedicato al Santo (3).

Apparitio Eiusdem in monte Gargano

Nel riquadro sinistro è ben riconoscibile la città di Siponto (4), cinta da mura, ed il paesaggio montuoso con la grotta di Monte Sant’Angelo sul Gargano dove nel 490 sarebbe avvenuta l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro, che miracolosamente respingeva le frecce scagliate dagli arcieri. Si attribuisce la scena alla mano di Antoniazzo con l’intervento di Melozzo per la figura del toro e dell’arciere in abito viola sulla destra della composizione.

Apparitio Eiusdem in monte Tumba
 
A destra è raffigurata una scena storica di più complessa lettura. Il titulus sottostante, APPARITIO EIUSDEM IN MONTE TUMBA, permette di riferire la pittura alla leggenda francese di S. Michele e alla sua apparizione in sogno a san Oberto, vescovo di Avranches, rappresentato benedicente in sontuosi paramenti sacri al centro di una processione di dignitari. Attendono la processione, raffigurati in primo piano ed attribuiti alla mano di Melozzo da Forlì, due prelati a capo scoperto e di spalle, vestiti con piviali d’oro arabescati e sullo destra, due gruppi salmodianti di sei frati francescani e cinque monaci basiliani orientali in abito nero. Sullo sfondo, l’insenatura marina con tre imbarcazioni; sulla destra una collinetta, dall’alto della quale assiste alla scena un toro legato ad un albero, che simboleggia lo stesso Arcangelo Michele, che esorta il vescovo a fondare il monastero.
Le conchiglie visibili sulla spiaggia ci permettono di collocare la scena sulla spiaggia di Mont Saint Michel, raggiungibile dalla costa a piedi solo durante la bassa marea.
La scena sembra alludere con esplicito riferimento al tentativo politico perseguito in quegli anni da Bessarione di coinvolgere Luigi XI, re di Francia, all’epoca monarca della nazione cristiana più ricca e militarmente potente, in un’ultima crociata, che di fatto però non fu realizzata, per liberare Costantinopoli caduta in mano ottomana nel 1453 e per riunire la chiesa latina e greca (rappresentate nell' affresco dalla presenza dei monaci basiliani e dei frati francescani).
 
Particolare del volto di San Oberto
 
Nella speranza di ottenerne l’appoggio, secondo certa critica nelle sembianze del santo vescovo Oberto sarebbe raffigurato Luigi XI (5). Di fatto, solo quest’ultimo per il dotto cardinale sarebbe stato in grado di difendere la cristianità e liberare il toro, ossia S. Michele, rappresentato legato ad un albero sulla collina in alto sulla destra, a causa dell’immobilismo della Francia.
 
 
Tra il corteo dei partecipanti alla processione è possibile riconoscere due importanti personaggi dell’epoca di Bessarione: Francesco Maria Della Rovere, il futuro papa Sisto IV (1471-1484), identificato nella figura alle spalle del santo vescovo, vestita di rosso porpora e suo nipote, Giuliano Della Rovere, il futuro papa Giulio II (1503-1513), in abiti viola.
Nella figura con le mani giunte ed il copricapo rosso (l'unica che guarda in direzione opposta agli altri partecipanti alla processione) si celerebbe invece lo stesso Antoniozzo Romano ed il quella in abito verde con un cero in mano Melozzo da Forlì.
 
I cori angelici
 
Nel registro superiore della cappella è riapparsa dopo il recente restauro una parte delle nove schiere angeliche, disposte in cerchi concentrici, che circondavano la figura del Cristo trionfante, di cui non resta, purtroppo, nulla. Anche il coro degli angeli, ispirato non solo teologicamente alla tradizione medievale, viene attribuito ad Antoniazzo Romano e bottega in collaborazione con Melozzo da Forlì. In alto si conserva un frammento superstite del manto di Cristo eseguito dallo stesso Antoniazzo.
 

Tra la fine del ‘500 e inizi del ‘600 il rialzamento della pavimentazione della cappella comportò la distruzione del registro inferiore degli originari affreschi di Antoniazzo sostituiti dalle attuali e mediocri raffigurazioni delle sante Eugenia e Claudia.
 
 
Al centro si trova un'edicola marmorea che risale all'epoca della cappella e che doveva ospitare la tavola della Madonna con Bambino – la cosiddetta Madonna di Bessarione – opera di Antoniazzo oggi collocata sull'altare della prima cappella della navata destra della chiesa e qui sostituita da una copia. Di fronte all'edicola, attraverso un'apertura del muro, si può vedere una vasca di porfido rosso destinata ad accogliere i resti delle sante Eugenia e Claudia qui traslati nell'XI secolo.
 
Antoniozzo Romano, Madonna detta di Bessarione, XV secolo
 

Note:
(1) S. Michele arcangelo rappresenta nell’iconografia cristiana l’angelo guerriero che comanda gli eserciti celesti, specificatamente invocato nella lotta contro i Turchi.
(2) Secondo quanto riportato dal Liber de apparitione santi Michaelis in Monte Gargano, la cui stesura risale all'VIII secolo, l'8 maggio del 490 un certo Elvio Emanuele, un ricco signore del Gargano, che aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, lo ritrovò casualmente dentro una caverna inaccessibile. Nell'impossibilità di accedere nell'antro per recuperarlo, in un impeto d'ira decise di ucciderlo scagliandogli una freccia con il suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invertì la traiettoria e colpì il signorotto ferendolo ad un piede. Meravigliato dall'accaduto si recò da Lorenzo Maiorano, il santo vescovo di Siponto, per riferirgli l'episodio. Dopo averlo ascoltato, il vescovo indisse tre giorni di preghiera e di penitenza al termine dei quali san Michele Arcangelo gli apparve in sogno dicendo: "Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini [...] Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la Grotta al culto cristiano".
(3) Secondo la Revelatio ecclesiae sancti Michaelis in monte Tumba, composta nell'820 c.ca, San Michele nel 708-709 apparve in sogno ad Oberto, vescovo di Avranches, esortandolo a costruire sul monte Tumba una chiesa in suo onore affinchè la sua memoria vi fosse celebrata non meno che sul Gargano. Così il vescovo fece costruire la chiesa a pianta circolare a mo' di grotta nell'intento di riprodurre fedelmente il santuario del Gargano.
(4) L'antica colonia greca di Siponto, sede vescovile fin dalla metà del V secolo, fu pressochè completamente distrutta da un maremoto nel 1255. L'anno successivo Manfredi di Sicilia ne ordinò la ricostruzione a poco più di due chilometri a nord della città distrutta e diede il suo nome alla nuova città – Manfredonia - con cui essa è ancora conosciuta. Nel 1272, Carlo I d'Angiò, in occasione della visita di papa Gregorio X, ribattezzò la città con il nome di Nova Sipontum che però nel tempo non ebbe fortuna. Tra il 1447 ed il 1449 lo stesso Bessarione ricoprì la carica di vescovo di Siponto.
(5) Secondo altra interpretazione nel santo vescovo sarebbe raffigurato invece l'umanista Niccolò Perotti, che fu amico personale di Bessarione nonché suo segretario per un periodo (1446-1450) ed arcivescovo di Siponto dal 1458 al 1480.


 


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