Identificato come tale in virtù della somiglianza con il mosaico di Sant'Apollinare nuovo che lo raffigura, è in realtà databile tra il VII e il IX sec. Dovrebbe più probabilmente trattarsi dell'ardica della chiesa di S.Salvatore in Calchis, forse fatta costruire da Astolfo come nuova cappella palatina dopo la presa della città (750).
Il protostorico Agnello, nel Liber pontificalis ecclesiae ravennatis (IX sec.), scrive comunque che la chiesa di San Salvatore era posta sul luogo ove si apriva la porta principale del palazzo di Teodorico.
Il protostorico Agnello, nel Liber pontificalis ecclesiae ravennatis (IX sec.), scrive comunque che la chiesa di San Salvatore era posta sul luogo ove si apriva la porta principale del palazzo di Teodorico.
Secondo altri studiosi potrebbe invece
trattarsi dei resti di un corpo di guardia, costruito quando il
palazzo divenne residenza dell'esarca (VII-VIII sec.), sul modello di
quello costantinopolitano chiamato Chalke (da cui il termine in calchis) per via delle sue
monumentali porte bronzee.
Interamente costruito in laterizi, presenta al piano inferiore una grande porta centrale affiancata da due aperture a doppio arco, al piano superiore una grande nicchia affiancata da due loggette cieche formate da colonne che poggiano su mensole marmoree. All'interno sono esposti frammenti musivi probabilmente provenienti dal palazzo reale che doveva trovarsi nelle vicinanze, ma fu completamente devastato dai Longobardi e spoliato a più riprese da Carlo Magno per concessione di papa Adriano I (772-795).
Pur trattandosi di un edificio di epoca più tarda, il richiamo alla corrente teodoriciana è nondimeno evidente nell'uso delle forti archeggiature e del dominante nicchione centrale.
La tradizione di identificare il rudere col palazzo di Teoderico pare sia nata nel XVII secolo, quando vi fu addossato il sarcofago di porfido, ora nel mausoleo di Teodorico, che si ritiene aver contenuto le spoglie del sovrano goto.
All'interno dell'edificio sono attualmente conservati i frammenti della pavimentazione musiva rinvenuti nell'area circostante.
Pianta dell'area di scavo
Dalle più recenti analisi dei dati di
scavo nell'area sembra possibile evincere che a fine I sec.
a.C.-inizio II sec. esistevano qui due complessi edilizi:
1. Quello settentrionale riconducibile
ad una villa suburbana, con triclinium/tablinum affiancato da
altri ambienti e affacciato su un atrio.
2. Nel settore meridionale è stata
invece individuata una serie di ambienti affacciati su un corridoio
(portico A1), ripavimentati a mosaico verso la fine del I sec. -
inizi del II, riguardo ai quali non è possibile stabilire se
facessero parte della villa suburbana.
Nel IV secolo l'intero complesso
risulta essere una residenza di notevoli dimensioni, costituita dagli
ambienti dei settori settentrionale e meridionale che gravitano
attorno ad un grande cortile porticato. In età onoriana (393-423) la
residenza viene ulteriormente monumentalizzata e si trova ad avere, a
nord, una grande aula absidata (Stanza L) pavimentata, forse proprio
in questa fase, in opus sectile: è probabile, ma non
dimostrabile archeologicamente, che il complesso sia il palazzo
imperiale di Onorio, che nel 402 trasferì la capitale a Ravenna.
In età teodericiana (493-526) il
palazzo viene nuovamente trasformato: nel settore nord vengono
aggiunti alcuni ambienti fra cui un grande triclinio triabsidato
(Sala S); alcuni ambienti vengono ripavimentati a mosaico. Secondo
l'ipotesi più probabile il sovrano goto avrebbe riutilizzato per la
sua residenza il
palazzo preesistente, fatto erigere da Onorio al momento del
trasferimento della capitale a Ravenna, sui resti di strutture di età
imperiale, identificate con una villa suburbana, almeno nella parte
settentrionale del complesso. E.Russo (2005) ritiene che il palazzo
di Onorio sia sorto nell'area della sede del praefectus
classis,
cioè di un edificio militare dotato di ambienti di rappresentanza.
Le ultime modifiche di una certa
consistenza si hanno nella seconda metà del VI secolo, quando il
livello di alcuni ambienti è innalzato mediante una nuova
pavimentazione a mosaico. Il palazzo rimase attivo almeno fino
all'VIII secolo inoltrato.
Frammento del pavimento in opus sectile della Stanza L
Pavimento
musivo del Portico A1
Nei
frammenti superstiti è delineata una scena di caccia a cavallo. Si
distinguono una rete, con andamento ellissoidale; un cavaliere, di
cui rimane solo un lembo grigio della clamide, con il cane a fianco;
tre cavalieri all'inseguimento di tre fiere, due dei quali vestiti
con tunica rossa e clamide grigia; almeno tre cinghiali; un
personaggio appiedato, con corta tunica color nocciola e alti calzari
rinforzati di cuoio, che stringe tra le braccia un animale ferito.
Molto probabilmente la scena ritrae una venatio
nell'anfiteatro più che una vera caccia campestre.
Particolare della scena di caccia al cinghiale
Pavimento musivo della Sala S
La scena centrale
presenta la raffigurazione dell'episodio mitologico di Bellerofonte
che uccide la Chimera: l'eroe ha il braccio destro alzato, il capo
rivolto a sinistra, la clamide rosso-rosata aperta dietro le spalle;
del cavallo alato Pegaso rimangono visibili le zampe posteriori, la
coda grigia e l'estremità dell'ala destra; la Chimera, in secondo
piano rispetto al cavallo alato, è accasciata al suolo, con la coda
serpentiforme arrotolata intorno alla lancia dell'eroe. Attorno a
Bellerofonte si dispongono entro medaglioni i busti delle
personificazioni delle stagioni (se ne conservano frammenti leggibili
soltanto di due attribuiti alla Primavera o Estate e all'Autunno).
Secondo una interpretazione Bellerofonte rappresenterebbe l'allegoria
di Teodorico vittorioso, che
domina un ordine cosmico ben interpretato dalle Stagioni,
dispensatore di beni e prosperità come gli antichi Cesari.
Frammenti del busto della Primavera/Estate
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