domenica 25 febbraio 2018

La Legio II Parthica

La Legio II Parthica

Questa legione, il cui simbolo era il centauro, deve il nome al fatto di essere stata costituita nel 197 da Settimio Severo – insieme ad altre due legioni la I e la III – nel corso della vittoriosa campagna contro i Parti (195-198).
Sotto il profilo etnico, il nerbo della legione era formato da un forte nucleo di soldati traci a cui si affiancavano italici, daci e pannoni e una più ridotta presenza di africani, egiziani e siriaci.
Al termine della campagna la legione venne trasferita in Italia e stanziata ad Albano, a pochi chilometri da Roma, dove nel 202 venne edificato il suo accampamento stabile - unico esempio di questo genere esistente in Italia - noto come castra albana. A differenza di tutte le altre legioni – che presidiavano le provincie dell'impero – la II Parthica assunse il ruolo di riserva da impiegare là dove ce ne fosse bisogno e, soprattutto, quello di garantire la sicurezza personale dell'imperatore.

Settimio Severo
busto in marmo realizzato per celebrare i Decennalia del 202
Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps, Roma

Tra il 208 ed il 211 la legione partecipò all'ultima campagna condotta da Settimio Severo in difesa dei confini della Britannia romana minacciata dalle tribù caledoni.
Nel 213 fu molto probabilmente schierata da Caracalla nella campagna contro gli Alemanni.
Venne sicuramente schierata contro i Parti tra il 214 ed il 218 perchè, quando l'imperatore venne assassinato (aprile 217) da una congiura che portò al potere il prefetto del pretorio Macrino, si ha notizia che la legione fosse stanziata ad Apamea in Siria.

Nell'inverno 217-218, Sesto Vario Avito Bassiano (meglio noto come Eliogabalo), nipote appena quattordicenne della potente Giulia Mesa, cognata di Settimio Severo, esiliato da Macrino assieme ai suoi familiari ad Emesa, città d'origine dei Bassiani, pretendendo di essere figlio illegittimo di Caracalla, si guadagnò il sostegno dei legionari della III Gallica di stanza a Raphana (l'attuale Abila o Quwaylibah in Giordania) e si fece proclamare imperatore (16 maggio 218). Macrino, che si trovava ad Antiochia di Siria, mandò contro i rivoltosi un contingente della II Legio Parthica al comando del prefetto del pretorio Ulpio Giuliano. Probabilmente blanditi dalle elargizioni e dalle promesse di Giulia Mesa, i legionari della Parthica, che Giuliano aveva disposto ad assediare Emesa, passarono con i rivoltosi trucidando Giuliano ed i suoi ufficiali. La legione prese quindi parte allo scontro decisivo tra le truppe di Macrino e quelle di Eliogabalo – guidate dall'eunuco Gannys - che ebbe luogo nei pressi di Antiochia e che sancì la sconfitta di Macrino (8 giugno 218). Dopo questi eventi la legione fu ricompensata con l'epiteto di Pia Fidelis Felix Aeterna.

 
Nel 218-219 la legione rientrò in Italia al seguito dell'imperatore.
Nel 231-232 fu nuovamente spostata sul fronte orientale per la campagna condotta da Alessandro Severo contro i sasanidi.
Nel 234 seguì l'imperatore in Illirico dove gli Alemanni, attraversato il limes germanico, stavano saccheggiando città e campagne ed era acquartierata a Mogontiacum (l'attuale Magonza in Germania)quando vi furono assassinati l'imperatore e la madre Giulia Mamea (18-19 marzo 235) nel corso della rivolta militare che portò al potere Massimino il Trace.
La II Parthica combattè quindi negli anni successivi sotto il nuovo imperatore a difesa del limes germanico.

Nel 238 scoppiò la rivolta nella provincia d'Africa che proclamò imperatore il governatore Gordiano I che accettò il titolo di Augusto insieme al figlio, Gordiano II. I due nuovi imperatori vennero riconosciuti dal Senato che dichiarò Massimino nemico pubblico. Il senatore Capeliano, governatore della Numidia rimasto fedele a Massimino, sconfisse e uccise Gordiano II nella battaglia di Cartagine mentre Gordiano I si suicidò non appena ricevuta la notizia della morte del figlio. Nel frattempo Massimino penetrò in Italia con tutto il suo esercito mettendo sotto assedio Aquileia. Qui, i legionari della II Parthica, nel timore che i loro familiari che risiedevano nei castra albana a pochi chilometri da Roma potessero subire ritorsioni da parte del Senato, si ribellarono e lo assassinarono.
La legione non rimase a lungo in Italia; nella necropoli di Albano non ci sono infatti tombe relative al regno di Gordiano III (238-244), mentre nell'epigrafe incisa sulla tomba di un aquilifero ad Apamea l'unità viene indicata come Legio II Parthica Gordiana a significare che venne schierata dall'imperatore contro i sasanidi nella campagna del 242-244.

Tomba di Felsonius Verus, aquilifero della Legio II Parthica, 244 c.ca
Museo di Apamea, Siria
 
Rientrata in Italia nel 249, la legione combattè per l'imperatore Filippo l'Arabo nella battaglia di Verona dove questi venne sconfitto e ucciso dall'usurpatore Decio.
Nella seconda metà del III secolo la legione fu dislocata in varie regioni dell'impero, di certo rimase fedele a Gallieno (253-260) nel corso delle numerose rivolte e tentativi di usurpazione che questi dovette fronteggiare durante il suo regno, come testimoniato dalle monete che questi fece coniare in onore della legione e dei titoli di Pia Fidelis che le conferì a più riprese (V, VI e VII).

Antoniniano di biglione fatto coniare da Gallieno in onore della legione
 
Rientrata in Italia sul finire del III secolo, per quanto non se ne abbia notizia dalle fonti, la legione, schieratasi con Massenzio, fu molto probabilmente sciolta da Costantino il grande – così come la guardia pretoriana – dopo la battaglia di Ponte Milvio (ottobre 312).

La Legione II Parthica che nel 360 risulta impegnata nella difesa di Bezabde (l'attuale Cizre in Turchia) derivò probabilmente da una sottounità dell'antica legione divenuta indipendente. Nella Notitia dignitatum infine questa unità compare nel 420 stanziata lungo il corso del Tigri a Cepha (l'attuale Hasankeyf in Turchia) agli ordini del Dux Mesopotamiae.


lunedì 12 febbraio 2018

La Torre Secchi

La Torre Secchi


All'altezza dell'abitato di Santa Maria delle Mole il tracciato della via Appia Antica è tagliato dai binari della ferrovia Roma-Velletri e da Viale della Repubblica. Oltrepassato quest’ultimo, la strada inizia a salire in direzione dei Colli Albani, finché all’altezza di Frattocchie – pressappoco all'XI miglio dell'antico tracciato - si congiunge con la via Appia Nuova. Alcune centinaia di metri prima di questa convergenza, sulla sinistra si possono vedere i resti di alcuni recinti funerari e il cosiddetto “Sepolcro con torre”.
Il monumento, che non conserva più nulla del rivestimento originario, presenta un basso basamento quadrangolare in calcestruzzo di selce, al centro del quale si apre la camera sepolcrale anch’essa rivestita all’esterno in opera cementizia. Alla cella si accede da un breve corridoio, attualmente chiuso da un cancello, che si apre sul lato meridionale della tomba. La camera sepolcrale è a pianta quadrata con volta a botte in blocchi di tufo; su ciascuna delle pareti, eccetto quella di entrata, è ricavata una nicchia in cui trova posto l’urna per accogliere le ceneri del defunto. La presenza delle urne funerarie e alcune caratteristiche architettoniche (pianta della cella, uso dell’opera quadrata) fanno datare il sepolcro presumibilmente al I sec.


Sulla sommità del monumento si alza una piccola torre in laterizi e pietrame di tufo. Essa fu fatta realizzare – probabilmente sui resti di una torretta di avvistamento medioevale - nel 1855 dall’astronomo padre Angelo Secchi (1818-1878) nei pressi del caposaldo B della base geodetica utilizzata per le misurazioni trigonometriche. Tale base aveva come altro estremo il caposaldo A posto nei pressi del mausoleo di Cecilia Metella. All'interno della torretta si trova inoltre un pilastro anch'esso utilizzato per le misurazioni trigonometriche.
Nel 2013 è stato ritrovato nei pressi del sepolcro un blocco di marmo che copriva il caposaldo B posto da Secchi; quello che copriva il caposaldo di Cecilia Metella era stato rinvenuto già nel 1999.

Il chiusino e un frammento di cornice che coprivano il caposaldo B
 
Mentre erano in corso le misurazioni della base geodetica, padre Angelo Secchi comprese che per l’utilizzo futuro del suo lavoro sarebbe stato più opportuno scegliere un caposaldo iniziale che avesse una migliore visuale dell’orizzonte poiché il caposaldo A, nei pressi del mausoleo di Cecilia Metella, si trovava circondato quasi completamente da manufatti sia a nord-est che a sud-ovest. Secchi scelse quindi come nuovo caposaldo A un sepolcro a torre (o a edicola) noto come torre di Capo Bove dal toponimo che indica la zona circostante e che si trova, procedendo verso sud lungo la via Appia, al IV miglio, sulla sinistra, circa 500 metri dopo il mausoleo di Cecilia Metella.
 
Torre di Capo Bove
Cerchiato in rosso il pilastrino di mattoncini per le misurazioni geodetiche
 
Con il punto sulla torre, ancora oggi identificabile dal pilastrino in mattoncini, si veniva a costituire con il caposaldo B, una nuova base leggermente più corta, ma meglio collegabile alla torre del Primo Meridiano d’Italia sita su Monte Mario e distante poco più di 10 km.
 
Su questa torre è incassata una lapide – frantumata nel 1880 dall'esplosione di una mina e successivamente ricomposta - che ricorda l'attività di padre Secchi.
 
Note:

(1) Padre Secchi, allora direttore del Nuovo Osservatorio Astronomico del Collegio Romano, raccolse l'invito dell'archeologo Luigi Canina di eseguire la livellazione della via Appia e misurare la distanza delle pietre miliarie ritrovate per poter ragguagliare il miglio romano al metro.
Il caposaldo B di Frattocchie peraltro, era già stato fissato nel 1751 dai gesuiti Boscovich e Maire, ma se ne erano perse le tracce. Padre Secchi colse l'occasione per verificare anche l'esattezza della misurazione da loro ottenuta che era stata posta in discussione dalla scuola francese.