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mercoledì 11 aprile 2012

Maria Comnena di Trebisonda

Maria Comnena di Trebisonda (1403 c.ca-1439)


Maria Comnena, figlia di Alessio IV Comneno di Trebisonda e di Teodora Cantacuzena sposò nel settembre del 1427, all'età di 23-24 anni, Giovanni VIII Paleologo giunto alle sue terze nozze. Era considerata una delle donne più belle del suo tempo.

Un giorno [a Santa Sofia] vidi il patriarca celebrare la funzione alla loro maniera, alla presenza dell'imperatore [Giovanni VIII], di sua madre [Elena Dragas] e di sua moglie [Maria Comnena], che è una dama bellissima, figlia dell'imperatore di Trebisonda, e di suo fratello [Tommaso Paleologo], che era despota di Morea.
(...) Rimasi anche senza bere nè mangiare fino al vespro, molto tardi, per rivedere l'imperatrice, che aveva pranzato in una residenza nei pressi. In chiesa, infatti, mi era sembrata bellissima, e io volevo guardarla all'aperto, e anche scoprire come andava a cavallo.
(...)  La mia prima impressione fu confermata; anzi, mi sembrò ancora più bella. Mi avvicinai così tanto che mi fu intimato di tirarmi indietro. Mi parve che non si potesse scorgere in lei la minima imperfezione, se non forse che aveva il viso truccato, anche se non ne aveva alcun bisogno, perchè era giovane e di pelle candida.
(Bertrandon de la Broquière, Le voyage d'Outre-Mer, 1432-1433)

Morì nel 1439 senza dargli figli. E' sepolta a Costantinopoli nel Monastero del Pantokrator.

 San Giorgio e la principessa, Chiesa di S.Anastasia, Cappella dei Pellegrini, Verona


Questo dipinto venne commissionato a Pisanello dalla famiglia Pellegrini, come si legge nel testamento di Andrea Pellegrini nel 1429. L'affresco esterno, solo parzialmente conservato, era solo una parte del ciclo che decorava l'intera cappella. La datazione è incerta.
In genere viene collocata tra il ritorno da Roma di Pisanello nel 1433 e la partenza per Ferrara del 1438.
Altri lo datano al soggiorno veronese del 1426 circa, ma con meno consensi.
Altri infine lo hanno collocato al 1444-1446, dopo il concilio di Ferrara, come farebbero pensare alcuni dettagli legati ai ritratti del corteo di dignitari bizantini (come il cavallo dalle narici spaccate, donato nella realtà a Giovanni VIII Paleologo a Ferrara nel 1438 da un ricco possidente della delegazione conciliare russa, o le fogge dei copricapi di alcuni personaggi). Ma tali dettagli potrebbero anche derivare dal corteo di Manuele II al Concilio di Costanza (1414-1418), come se ne dovevano già trovare nei perduti affreschi realizzati da Pisanello nella basilica di San Giovanni in Laterano, stando ad alcuni schizzi e disegni superstiti da essi derivati.

Purtroppo l'opera rimase a lungo esposta alle infiltrazioni d'acqua provenienti dal tetto della chiesa, riportando seri danni (che hanno colpito soprattutto la parte dell'affresco dove è raffigurato il drago). La parte superstite venne staccata dal muro nel XIX secolo, salvandola dalla sorte dell'altra metà, ma anche perdendo tutte le decorazioni metalliche e le dorature.

L'affresco era composto da due parti, quella destra, con il commiato di San Giorgio dalla principessa di Trebisonda, che ci è pervenuta in condizioni buone, e quella sinistra, con il drago al di là del mare, che è quasi totalmente perduta.
L'opera superstite mostra al centro San Giorgio, il suo cavallo bianco (di terga) e un levriero dal'aspetto mansueto mentre più in basso un altro cane ringhia minaccioso verso il santo e la principessa, dai tratti nobili e finissimi; a destra altri due cavalli, uno di fronte e uno di profilo. Straordinaria è la ricchezza delle armature e dei paramenti delle cavalcature, come anche la ricercatezza delle vesti e delle acconciature della principessa e del suo seguito.
Maria Comnena è dipinta di profilo, come nelle effigi delle medaglie, ed ha un'acconciatura molto elaborata, con fasce che trattengono sospesa la grande massa di capelli e l'attaccatura della capigliatura altissima, come nella moda dei primi decenni del secolo, ottenuta depilando i capelli sulla fronte e le tempie con una candela accesa. Ha la pelle candida e sottili capelli biondi, sopracciglia alte e sottili, gli occhi appena sottolineati da una linea di bistro. Il suo abito sontuoso è di stoffa e pelliccia (Pisanello non ebbe certo mai modo di vedere l'imperatrice dal vero ma, essendo stato ufficialmente assunto dall'imperatore, potrebbe aver visto un ritratto che questi portava con sé).



Il santo è ritratto con un piede già sulla staffa, nell'atto di salire sul cavallo con lo sguardo già rivolto verso la sua destinazione, una barchetta che lo traghetterà dal mostruoso drago.
Un cagnolino e un muflone si trovano in basso, tra le rocce, e dimostrano, ancora una volta, la predilezione dell'autore per le raffigurazioni di animali. La parte sinistra è occupata dal corteo di curiosi, di dimensione più piccola, radunatisi nei pressi dell'attracco dove è già pronta la barca, con la quale l'eroe deve salpare. I loro volti presentano una grande varietà di ritratti, studiati accuratamente come testimoniano i molti disegni fatti da Pisanello e dalla sua bottega (in larga parte oggi al Cabinet des Dessins del Louvre). Tra questi spiccano i due volti grotteschi a sinistra, forse due "turcimanni", ispirati dalle descrizioni degli ottomani che stavano assediando l'Impero bizantino, o suggestionati da più antichi resoconti sull'invasione dell'Orda d'Oro.




Accanto ai due turchi, un gruppo di dignitari bizantini. Giovanni VIII dovrebbe essere quello al centro, vestito d'ermellino, leggermente arretrato e che monta il cavallo dalle narici spaccate. Affiancato da due suoi fratelli (Demetrio e Tommaso che lo accompagnarono nel viaggio in Italia in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-1439) data la somiglianza delle fisionomie.
La parte superiore è occupata da un'alta rupe che incombe sul mare, molto goticheggiante, e dalla città ideale di Trebisonda, dalla ricchissima architettura, popolata da fitte torri, guglie di edifici religiosi e, all'estrema destra, un castello. Queste immaginifiche architetture contribuiscono alla creazione di un'atmosfera fiabesca, rotta però, come tipico nel gotico internazionale, da notazioni macabre e grottesche: fuori dalla porta cittadina si trovano infatti due impiccati alla forca, uno addirittura coi pantaloni abbassati.
Il cielo è ormai annerito e non permette di comprendere i giochi di luce che unificavano la rappresentazione. I volti hanno perso le velature a tempera, acquistando un pallore esasperato, come si vede bene nel volto del san Giorgio. L'argento delle armature, ottenuto anche con inserti metallici, è quasi completamente sparito, lasciando una superficie annerita.
Nel lato perduto del dipinto si sono salvati pochissimi dettagli, come quello, vivissimo, di una salamandra che cammina tra i resti (ossa e altro) dei pasti del drago.

Esiste un'interpretazione in chiave storica degli affreschi di San Giorgio (cfr. Silvia Ronchey, L'Enigma di Piero, Regesto Maior) che si ricollega ad altre opere nell'ambito delle iniziative per il riavvicinamento tra Chiesa greca e Chiesa latina, il salvataggio di Costantinopoli e l'eredità del pericolante Impero bizantino. La possibilità è suggerita dalla presenza di personaggi con i cappelli tipici della corte bizantina, e dal tema generale: San Giorgio sarebbe il simbolo della Cristianità che si prepara a liberarsi da un pericolo oltremare (i turchi), per salvare una principessa che rappresenterebbe Costantinopli, in particolare nelle fattezze di Maria Comnena di Trebisonda, moglie di Giovanni VIII Paleologo. Il drago sarebbe quindi una rappresentazione simbolica del sultano ottomano Murad I, con i due cuccioli, uno più grande (Mehmet II) e uno più piccolo (Alaeddin Alì).



Tra il 1431 ed il 1432 Pisanello si trasferì a Roma, per continuare a San Giovanni in Laterano gli affreschi lasciati incompiuti da Gentile da Fabriano a causa della sua morte (1427). L'opera, più che una continuazione, doveva essere il seguito di una collaborazione già avviata prima, come farebbe pensare il fatto che Gentile lasciò i propri strumenti da lavoro a Pisanello. Di questo affresco, che decorava l'intera navata centrale, non vi è più traccia poiché venne distrutto durante il rifacimento della Basilica compiuto nel 1650 da Borromini. Lo stesso Borromini ne curò la parziale riproduzione in disegno che oggi si trova a Berlino presso la Kunstbibliothek.
Un piccolo frammento è forse la testa di principessa oggi al museo di Palazzo Venezia a Roma (a sn.)
Stante le innegabili analogie tra i due ritratti, se ammettiamo che il volto femminile di Palazzo Venezia ritragga Maria Comnena di Trebisonda com’era dieci anni prima del concilio di Ferrara, ci ritroviamo di fronte al problema già sorto per la sua presumibile raffigurazione nelle Storie di San Giorgio a Verona nel 1438-39: come facesse cioè Pisanello a conoscere i suoi tratti. Si potrebbe in linea teorica presumere che in quello stesso 1427, data delle terze nozze imperiali costantinopolitane oltreché della morte di Gentile e del possibile subentro di Pisanello, un ritratto della nuova sposa fosse stato fatto pervenire al papa, o che magari Pisanello si fosse basato su descrizioni, orali o scritte, considerati anche i molti italiani che facevano la spola con Costantinopoli.
Ma, nella pratica, quest’ipotesi non regge: descrizioni orali o scritte non restituiscono mai la precisione d’immagine di un disegno o di un quadro.
D’altra parte, avanzare la pur suggestiva e seducente ipotesi che Pisanello si sia recato a Costantinopoli di persona - come avrebbe fatto in seguito Gentile Bellini per ritrarre il sultano turco - magari per portare lui stesso a corte il famigerato ritratto che secondo Venturi il papa gli avrebbe commissionato, sarebbe, nella totale mancanza non solo di riscontri biografici ma, per ora, di indizi di qualsiasi sorta, quanto meno arbitrario.
L’unica cosa che ci si può spingere ad affermare con un ragionevole margine di probabilità, se non di certezza, è che, comunque siano andate le cose, sin dalla fine degli anni 20 del Quattrocento il pittore italiano che sarebbe stato prescelto da Giovanni VIII per ritrarlo aveva già raffigurato il pallido profilo lunare di una giovanee bionda orientale; e che costei era la medesima donna che una decina di anni più tardi, quando appunto avrebbe disegnato dal vivo il basileus suo consorte, Pisanello ridipinse, stavolta come simbolo della bellezza bizantina insidiata dal drago turco, ieraticamente immobile davanti a un san Giorgio simbolo dell'occidente chiamato a salvarla.

Il torneo-battaglia di Louvezerp


Il Torneo-battaglia di Louvezerp è un affresco a soggetto cavalleresco dipinto da Pisanello tra il 1436 e il 1444 nel Palazzo Ducale di Mantova, in particolare nell'ala detta Corte Vecchia nella cosiddetta sala dei Duchi, su commissione del duca Gianfrancesco I Gonzaga. La scena venne imbiancata in un'epoca imprecisata e riscoperta negli anni Sessanta dal sovrintendente Giovanni Paccagnini e immediatamente restaurata. Lo stacco ne ha rivelato la sinopia conservata molto bene.
Il termine post quem è fornito dal riconoscimento nel fregio che corre sopra l'affresco del "collare delle S", onorificenza che fu concessa nel 1436 da Enrico VI d'Inghilterra al marchese Gianfrancesco I Gonzaga. Il termine ante quem è invece dato dall'anno di morte del duca (1444).
Il soggetto rappresentato – il torneo-battaglia di Louvezerp – è tratto dal Tristan en prose: Lancillotto e Tristano combattono alla presenza di Ginevra e Isotta prima di partire alla ricerca del santo Graal. Sono già stati sconfitti altri cavalieri, i cui nomi si trovano scritti nelle sinopie accanto alle rispettive figure: Calibor as dures mains, Arfassart li gros, Malies de l’espine, Sarduc li blans, Kallas le petit, Calaarot le petit, Patrides au cercle d’or. La ragione del tema rappresentato è data dall'aspirazione dei Gonzaga di discendere da Bohart, uno dei cavalieri della Tavola rotonda che è rappresentato nell'affresco.
Diana Gilliland Wright nel suo Pavane for a Dead Princess: part five ha recentemente notato la straordinaria somiglianza tra una delle donne che assistono al torneo dal palco ed il frammento attribuito a Pisanello conservato a Palazzo Venezia a Roma.


L'acconciatura dei capelli è assolutamente identica, compreso il nastro che la sorregge sopra la testa scoprendo la fronte e la ciocca che ricade sulla tempia, come identici appaiono il taglio degli occhi e la linea delle sopracciglie. Entrambe invece sembrano non essere depilate sulle tempie come sembra essere la principessa dell'affresco di Verona.
La Gilliland Wright osserva come la presenza di un ritratto di Maria Comnena di Trebisonda nell'affresco del Palazzo ducale di Mantova non avrebbe alcuna giustificazione mentre l'avrebbe invece quello di Cleofe Malatesta, sorella minore di Paola Malatesta - moglie del duca Gianfrancesco I Gonzaga - e moglie del despota di Morea Teodoro II Paleologo, con cui suggerisce d'identificare il ritratto.

 







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