Le mura bizantine
La prima cittadella fortificata dal catapano bizantino Basilio Boiannes (cfr. scheda Catepanato d'Italia) nel 1018 comprendeva un modesto abitato concentrato nell'attuale rione di S. Lorenzo.
Questa prima cinta muraria, intervallata da torrette di media dimensione, a forma di parallelepipedo con piccole feritoie e dotate di spalto, non era particolarmente elevata, rafforzava infatti le difese di un insediamento già naturalmente protetto dai ripidi pendii su cui sorgeva. La roccaforte di Melfi divenne il perno del sistema difensivo bizantino volto a presidiare i valichi appenninici dalle incursioni longobarde. A quest'epoca risale il tratto della cinta muraria attuale che digrada dal castello ai resti della Porta Calcinaia. La porta, di cui rimane oggi in piedi solo parte dei corpi laterali, doveva il nome al fatto di trovarsi nei pressi della zona dove erano concentrate le botteghe dei fornaciari e dei calcinai, destinate alla cottura dei laterizi e della calce da costruzione.
Porta Calcinaia
Il perimetro difensivo bizantino si chiudeva probabilmente con un’altra porta nel punto più meridionale, presso l’attuale piazzetta con fontana di vico Pendìno. Superata questa porta le mura proseguivano verso est fino alla chiesa bizantina di San Nicola de Platea, da qui ripiegavavano verso nord lungo l’attuale asse di vico Neve e Gradelle, per chiudersi nel punto più alto, dove poi sarebbe sorto il castello.
Con l'avvento dei Normanni e l'elezione di Melfi a capitale del ducato di Puglia e Calabria, la città si espanse verso nordest e conseguentemente la cinta muraria fu estesa ad abbracciare anche quest'area. In essa fu aperta una nuova porta (oggi non più esistente) da cui partiva la strada che si dirigeva a Troia e che pertanto prese il nome di Porta Troiana.
Con la proclamazione del Regno di Sicilia (1130), la città conobbe una nuova espansione per volere di re Ruggero II d'Altavilla. In questo periodo fu costruito il nuovo accesso principale alla città, prospicente l'attuale piazza Umberto I, che prese il nome di Porta di Santa Maria o Porta Balnea, rinforzata dai Caracciolo, infeudati a Melfi dal 1418 al 1528, con un rivellino, venne fatta abbattere senza nessuna ragione particolare dopo il terremoto del 1851. La cinta muraria venne rinforzata ed adeguata al fuoco d'artiglieria soprattutto da Sergianni II Caracciolo tra il 1456 (anno in cui Melfi fu colpita da un devastante terremoto) ed il 1460. Questa ristrutturazione conferì alle mura l'aspetto che hanno attualmente. Coprono un perimetro di circa 4 km. e sono rinforzate da quindici torrioni (alcuni ridotti a poco più che ruderi).
Porta venosina
E' l'unica porta rimasta in piedi e
prende il nome dalla destinazione della strada che l'attraversava e
che conduceva appunto a Venosa. Fu restaurata da Federico II – che
attraverso di essa faceva il suo ingresso in città - che vi appose
una lapide che recitava: L’antichità mi ha distrutta,
Federico mi ha riparata Melfi, nobile città della Puglia
circonvallata da mura di pietra, celebre per salubrità dell’aria,
per affluenza di popolazioni per fertilità dei suoi campi, ha un
castello costruito su una rupe ripidissima opera mirabile dei
Normanni.
Il suo aspetto attuale è frutto della
già citata ristrutturazione della cinta muraria voluta da Sergianni
II Caracciolo che fece anche sostituire la lapide federiciana con
un'altra ancora visibile anche se non più leggibile.Presenta un portale a sesto acuto con l’archivolto a toro scanalato, sostenuto da capitelli a tronco di piramide rovesciata, ed è protetta da un massiccio bastione cilindrico. Ai lati del portale sono incassati due bassorilievi, quello a destra raffigura il basilisco, simbolo della città, quello di sinistra è abraso ma dovrebbe raffigurare il leone rampante dei Caracciolo.
Il basilisco
Nel 1348 Melfi, forte
delle sue mura e ben diretta da Lorenzo Acciaiuoli, fu l’unica
città del Regno di Napoli a non arrendersi alle truppe del re Luigi
d’Ungheria, sostenendo un assedio di sette mesi.
In ricompensa di
quest’atto di valore gli Acciaiuoli la ricevettero in feudo nel
1349 dalla regina Giovanna I d'Angiò (1343-1381) e la tennero fino al 1418 quando la
regina Giovanna II d'Angiò-Durazzo (1414-1435) la concesse in feudo al suo amante Sergianni
Caracciolo.Nel marzo del 1528, difesa dal duca Giovanni Caracciolo al comando di sei compagnie di fanti ed un nutrito contingente di cavalleria, fu attaccata dalle forze francesi, al comando del condottiero di ventura spagnolo Pietro Navarro e rafforzate dai mercenari delle Bande Nere di Orazio Baglioni.
La resistenza melfitana è accanita ma di breve durata. Le artiglierie francesi fanno strage dei difensori e scatenano incendi lungo le mura. Un primo assalto è respinto, ma infine gli assedianti passano. Benché rapida, la battaglia è cruenta: le fonti riferiscono di ingenti perdite - si parla di cinquecento uomini - anche da parte francese (sessanta sarebbero stati i caduti tra i mercenari delle Bande Nere), alcuni periti per fuoco amico sotto il violento tiro di artiglieria ordinato dal Navarro.
Forse anche per queste inattese e gravi perdite, i Francesi misero duramente a sacco la città. Cadute le mura, il duca si asserragliò nel celebre castello della città, ma infine si arrese in cambio della sua vita e passò ai Francesi. I suoi invece vennero passati per le armi.
Sconfitti i Francesi, Carlo V punì il tradimento del duca privandolo del feudo e assegnandolo all'ammiraglio genovese Andrea Doria, provvidenzialmente ed inaspettatamente accorso in suo aiuto.
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