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sabato 30 agosto 2014

Il complesso della SS.Trinità di Venosa: la chiesa vecchia

Il complesso della SS.Trinità di Venosa: la chiesa vecchia


Nella zona settentrionale dell’area dove si trovano i resti della basilica esterna sorse un secondo edificio ecclesiastico, dalla pianta basilicale complessa. Dopo la rasatura alla medesima quota, le preesistenti strutture d’età romana vennero interrate e ricoperte dalle strutture di fondazione.
Dal punto di vista planimetrico, nella fase paleocristiana (V-VI sec.), la chiesa vecchia si configura come un edificio a tre navate, con un transetto e l’abside dotata di un deambulatorio.

La fase paleocristiana della chiesa vecchia
 
Le navate sono scandite da due file di sette pilastri che reggono archi a tutto sesto. Le murature sono costruite in un opus listatum irregolare, con due corsi di pietre, alternati ad un corso di laterizi (questa tecnica è visibile all'esterno, in particolare sul lato N, nella parte inferiore del muro perimetrale della chiesa, e si conserva per un’altezza di circa 1 m, a partire dalla quota di spiccato del marciapiede moderno addossato alla parete).
La zona absidale presenta una sistemazione molto particolare, con una prima abside ampia quanto la navata centrale, nella quale si aprono due gruppi di quattro aperture; la seconda abside, concentrica alla prima, ampia quanto l’intera chiesa, delimita invece un deambulatorio, pavimentato a mosaico, al quale si accedeva tramite le due porte aperte sul muro di fondo delle navate laterali della chiesa.
La particolare disposizione della zona absidale, dotata di un deambulatorio doveva essere funzionale al culto ed alla venerazione di reliquie, che dovevano essere visibili, dal deambulatorio,
attraverso le otto aperture del catino absidale; a supporto di tale ipotesi, sta il rinvenimento, proprio nell’area della prima abside, di una fossa di forma rettangolare – quasi una piccola cripta - interpretabile come reliquario.
Al transetto si accedeva passando al di sotto di un arco trionfale, del quale rimangono due poderose colonne monolitiche di spoglio in marmo cipollino, risalenti ad età romana e sormontate da due capitelli corinzi, con abaco di stile bizantino.
Nella navata centrale, gli scavi hanno riportato alla luce una schola cantorum, che si sviluppa per
la lunghezza dell’intero transetto e di una campata e mezza nella navata; questo dispositivo risulta essere sopraelevato di circa 32 cm rispetto al piano pavimentale della chiesa e doveva essere recintato da un parapetto di marmo.
La facciata originaria dell’edificio è attualmente visibile solo nella navata sinistra, mentre si rinviene in cresta nelle altre due navate; nella facciata si aprivano tre porte, e di quella centrale è stata riportata alla luce la soglia marmorea nella quale sono ancora visibili gli incavi per i battenti del portale.
 
 
Presso la soglia si conserva un pannello musivo in cui si distinguono una cornice a meandri e svastiche in tessere rosse e nere, con un pesce, il nodo di Salomone ed un polipo frammentario, in basso una fascia con motivo ad onde correnti in tessere rosse, e la cornice con cerchi concentrici a croci inscritte, alternate a nodi di Salomone. Altri lacerti musivi dello stesso tenore si trovano anche ai lati della schola cantorum nei pressi delle colonne che sostenevano l'arco trionfale e nel deambulatorio. Le navate laterali erano invece ricoperte da stesure in opus spicatum.
Connesso infine con l’edificio di culto è un ambiente rinvenuto alle spalle della seconda abside, nella navata centrale dell’Incompiuta; i setti murari riportati alla luce delimitavano delle tombe a fossa (la più antica delle quali si colloca alla stessa quota del mosaico del deambulatorio), databili a partire dalla seconda metà del VI secolo, e denotano quindi la presenza di sepolture ad sanctos, in un momento di poco successivo alla conclusione dei lavori di costruzione della chiesa.
 
L'area retroabsidale: in prossimità dell'abside si nota il pavimento con resti di decorazione musiva del deambulatorio, in primo piano le sepolture ad sanctos.
 
Per quanto riguarda la particolare planimetria, segnatamente per la presenza del deambulatorio retrostante all'abside, la chiesa somiglia alle cosiddette basiliche circensi erette in epoca costantiniana (cfr. ad esempio la basilica cimiteriale del complesso di S.Costanza e quella della Villa deiGordiani a Roma) e concepite come veri e propri cimiteri coperti.
 
Dal Chronicon Cavense, si apprende la notizia, riferita all’anno 942, di Gisulfo, principe di Salerno, il quale su richiesta del proprio congiunto Indulfo, fece costruire un monastero benedettino, presso la chiesa della SS. Trinità di Venosa. Nel 1059, alla presenza di papa Niccolò II la chiesa viene trasformata da cattedrale in abbaziale.
La facciata paleocristiana, mantenuta nella sua integrità strutturale per tutta l’età longobarda, viene parzialmente demolita in corrispondenza della navata centrale e di quella destra, che vengono prolungate per una lunghezza di due campate; lo spazio così creatosi viene scandito dalla posa in
opera di un nuovo pilastro in muratura, in asse con quelli dell’età paleocristiana.

All'angolo NW della facciata, perfettamente in asse con l’ingresso alla navata sinistra dell’edificio venne costruita una torre a pianta quadrata. Ad W della torre si individua una muratura di orientamento N-S,

parallela ad un’altra muratura di pari orientamento ma di lunghezza maggiore; queste due murature, costituiscono i due muri perimetrali di quella che sembrerebbe potersi ritenere una cappella a navata unica, delimitata sul lato N da una muratura ad andamento curvilineo, da interpretare come muro absidale; la zona presbiterale doveva essere separata dal resto dell’aula liturgica (quadratum populi) da un muro di orientamento E-W, all’estremità E del quale un’apertura dava accesso alla zona absidale e ad un piccolo vano quadrangolare (sacrestia?).

 


 

1. Aula liturgica

2. Area absidale
3. Sacrestia (?)
4. Torre di facciata prenormanna (longobarda)
 
 
Tra la cappella e la parte longobarda della Foresteria, viene edificato una sorta di avancorpo monumentale, oggi definito atrio, che comprende anche una scala che conduce al piano superiore della Foresteria, la cui costruzione andrebbe riferita all'abate Berengario (1066-1096) e avrebbe costituito per un certo periodo la facciata monumentale della chiesa, articolata su due livelli, con il piano terra in cui si aprivano tre archi, ed il piano superiore sistemato con un loggiato ad archetti ciechi in cui furono reimpiegati pezzi scultorei di età romana. Questa facciata sarebbe stata successivamente obliterata dalla scala di accesso alla Foresteria.
 
Il loggiato ad archetti ciechi
 
Frammento scultoreo di età romana reimpiegato nella decorazione del loggiato

Durante l’epoca sveva, e a seguito dell’abbandono definitivo del cantiere dell’Incompiuta, le ristrettezze economiche in cui versava l’abbazia, spinsero gli abati a rimettere mano alla Chiesa Vecchia, con una serie di lavori di restauro e consolidamento riguardanti principalmente la sistemazione delle navate e della cripta.
All’interno della chiesa, viene posto in opera un nuovo pavimento in mattoni di cotto, poggiato direttamente sull’opus tesselatum della fase normanna; il piano di calpestio della chiesa viene rialzato di ulteriori 20 cm rispetto alla quota paleocristiana. Sullo stesso tessellato normanno furono posti in opera tre grandi archi a sesto acuto trasversali nella navata centrale, insieme ai relativi archi di controspinta a tutto sesto nelle navate laterali.
Nel 1287, viene costruito il portale d’ispirazione arabeggiante che dà accesso alla chiesa dal cosiddetto atrio, opera firmata dal Magister Palmerius, realizzata sotto il regime abbaziale di Barnaba, secondo l’iscrizione dedicatoria, utilizzando frammenti scultorei di recupero tra cui, inserita alla base della lunetta, una lastra marmorea proveniente dal sarcofago di Roberto il Guiscardo.
 
Il Portale di Palmerio
 
Nel 1297 papa Bonifacio VIII soppresse l'abbazia, consegnandola – insieme a tutti i suoi beni ancora cospicui - all'Ordine Ospitaliero che ne rimase proprietario fino al 1808.
E' in questa fase che il palazzetto della Foresteria assume la forma visibile ancora oggi; vengono aperte le finestre bifore e la trifora nei saloni al primo piano, e si prolunga il pianoterra porticato, con l’aggiunta di poderosi pilastri quadrangolari in muratura; nei muri del piano terra si aprono strette finestre ‘a bocca di lupo’, le quali lasciano passare poca luce, conferendo ai paramenti murari in cortina di blocchetti lapidei una maggiore plasticità.
Sul lato meridionale, dei due archi della fase longobarda, viene tamponato quello di sinistra, mentre una parete continua, nella quale si apre solo una piccola porta a tutto sesto, contraddistingue l’ampliamento svevo-angioino della Foresteria; al piano superiore, si aprono una bifora (frutto dei restauri del 1932), accanto alla quale si trova una piccola monofora arcuata, ed una coppia di finestre monofore arcuate (anch’esse frutto dei restauri del 1932), di dimensioni maggiori della precedente.
 
La Foresteria, a sinistra la facciata del cosiddetto atrio della chiesa
Affreschi:
Nel cosiddetto atrio della chiesa, alla sinistra del portale del Magister Palmerius, viene realizzato nel XIV secolo un affresco raffigurante S. Cristoforo con in braccio Gesù Bambino, che doveva avere funzione di buon augurio per il viaggio di ritorno dei pellegrini.
Al pieno XV secolo sono invece riferibili un'Annunciazione ed una Madonna con Bambino.
L’Annunciazione si trova sul primo pilastro destro della navata centrale, e rappresenta la Vergine in trono, con un libro aperto sulle gambe e con indosso una lunga veste di colore azzurro; in basso a sinistra si vede l’arcangelo Gabriele (di dimensioni molto ridotte rispetto alla Madonna), raffigurato quasi come un fanciullo, con una veste dorata e le ali di colore rosso fuoco.
 

La Madonna con Bambino è dipinta invece sul primo pilastro di sinistra della navata centrale.
 
 
Al XIV secolo è invece riferibile l'affresco raffigurante S.Caterina d'Alessandria sul terzo pilastro di sinistra della nave.
 
 
La santa è ritratta con i capelli biondi cinti da una corona, e con indosso un abito bianco recante
una veletta sotto il mento ed un motivo esagonale sul petto, il tutto entro una cornice di composizione geometrica, che sembra richiamare motivi decorativi di origine cosmatesca.
Immediatamente al di sotto della santa è visibile l’affresco della Deposizione, anch’esso del XIV
secolo: il busto del Cristo emerge dal sepolcro con a sinistra la Vergine, con il viso sofferente e le mani protese verso il Figlio, e S. Giovanni, ritratto con un abito verde ed un manto chiaro, nell’atto di strapparsi le vesti dal dolore. Coeva è anche la raffigurazione del Santo vescovo (S.Nicola?), a sinistra sullo stesso pilastro.
Al XIII secolo si data la realizzazione, sul secondo pilastro destro della navata centrale, dell’affresco di stile bizantino raffigurante S. Apollonia (successivamente obliterato dalla costruzione di una muratura più tarda). Sull’altra faccia del pilastro si vede l’affresco dell’Arcangelo Gabriele o Angelo Annunciante, databile alla metà del XIV sec.)

L'Angelo annunciante

Di poco successivo è invece l’affresco raffigurante S. Donato, dipinto sul secondo pilastro di sinistra, e datato tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo.
Affreschi della cripta:
 
 
Nella nicchia al di sopra dell’altare a blocco della cripta è raffigurata una Crocefissione databile al XIII secolo. Ai lati di questo affresco, se ne trovano altri due, recanti San Pietro a sinistra, raffigurato con le chiavi, e San Giacomo il Maggiore a destra; entrambi sono coevi alla Crocefissione e sembrano formare con quest’ultima una sorta di trittico.
Altri brani di affreschi degni di nota sono il gruppo con la Madonna con Bambino e santi, il S. Antonio Abate ed un’altra Crocifissione purtroppo mutila della parte superiore.
 
Affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e santi

A sinistra della Vergine una figura femminile con un piccolo animale in braccio (Maria di Cleofa?); a destra invece, l’Arcangelo Michele, una figura femminile che porta una capsella (scrigno) (Maria Maddalena?), ed un vescovo. In basso, a destra della figura femminile con la capsella, si vede una figurina femminile di piccole dimensioni, da identificare con l’anonima committente dell’affresco. Il fulcro della composizione sembra comunque essere l’Arcangelo Michele al centro, con la lancia nella mano destra, il libro nella sinistra ed il diavolo in forma di drago sotto i piedi. Questa posizione centrale dell'arcangelo si spiega facilmente se si pensa agli interventi di abbellimento e restauro promossi dai sovrani angioini nel santuario micaelico di Monte Sant’Angelo sul Gargano, meta di pellegrinaggio sin dal V secolo.
Un particolare interessante è la fattura delle aureole, realizzate nell’intonaco fresco, con incavi atti ad accogliere decorazioni in smalti colorati o in tesserine di mosaico.
 
Monumenti funebri
 
Il sepolcro degli Altavilla
 
 
Roberto il Guiscardo attorno al 1069, decise di tumulare nella prima chiesa abbaziale - accanto ai resti del fratello e predecessore Umfredo - anche quelli degli altri fratelli : Guglielmo detto Braccio di Ferro, iniziatore della conquista normanna del Meridione, e Drogone. Il ruolo di mausoleo dinastico così conferito alla Trinità venne ancor più rafforzato nel 1085 dalla sepoltura dello stesso Guiscardo voluta dalla seconda moglie Sichelgaita e favorita dall'abate Berengario, giunto dal monastero normanno di Saint-Évroul-sur-Ouche (antica Uticum) attorno al 1063.
La sistemazione delle spoglie dei primi duchi normanni in un unico monumento sepolcrale - attualmente collocato nella navata destra - si deve, in base alle cronache del tempo, al balivo dell'Ordine giovannita Agostino Gorizio Barba da Novara, a sua volta sepolto nella basilica nel 1560.
L'arcosolio è decorato da una brutta Crocefissione ai lati della quale si dispongono inginocchiati due cavalieri. Sul timpano lo stemma della casa d'Altavilla affiancato da quelli dei cavalieri di S.Giovanni.
 
Ritratto di Agostino Gorizio Barba da Novara.
 
Il ritratto, opera di Giovanni Todisco, venne fatto eseguire dal figlio Gerolamo, nel 1566, affrescando la superficie del quarto pilastro di destra della navata centrale; la figura del cavaliere è vestita con il mantello nero che contraddistingue l’Ordine dei Cavalieri di S.Giovanni e la spada al fianco, inginocchiato davanti ad una Madonna con Bambino che emerge da una nuvoletta; lo sguardo è assorto in preghiera con il viso rivolto verso il breviario aperto sull’inginocchiatoio.
 
Il sepolcro di Aberada (Alberada) di Buonalbergo
 
 
Collocato nella navata sinistra, si presenta sotto la forma di un sarcofago sormontato da frontone triangolare sorretto da colonne con capitelli a foglia di vento. Aberada (Alberada) di Buonalbergo era la prima moglie di Roberto il Guiscardo, da lui ripudiata nel 1059 per poter sposare la principessa longobarda Sichelgaita di Salerno e cementare l'alleanza tra i due popoli. Fu la madre di Boemondo I d'Antiochia, il primogenito del Guiscardo, a cui fa riferimento anche la scritta latina che corre lungo l'architrave del frontone:
Quest'arca contiene Aberada, moglie del Guiscardo.
Se chiedi del figlio, quello (lo) tiene il Canosino.
A Canosa si trova infatti il mausoleo dove riposano le spoglie di Boemondo.
 
Il sepolcro degli Acciaiuoli
 
 
Attualmente collocato nella navata sinistra accanto a quello di Aberada, conteneva le spoglie di due membri - Raffaele (morto nel 1458) ed Emilio (morto nel 1470) - della famiglia degli Acciaiuoli che tenne la Signoria di Melfi tra il XIV ed il XV secolo. E' simile nell’impostazione a quelli degli Altavilla e di Aberada, presentando un arcosolio in pietra, con terminazione a timpano.
Il sarcofago è stato trasferito a Roma negli anni ’50 del XX secolo da un discendente della famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




 
 
 

 
 

 

 

 

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