La Cattedrale di S.Maria Assunta e S.Canio
La Cattedrale di Acerenza,
così come la vediamo oggi, insiste su una precedente chiesa
paleocristiana, a sua volta eretta sul luogo dove sorgeva il tempio
dedicato ad Ercole Acheruntino. Qua e là sia all'interno che
all'esterno, sono incastonati nella nuova fabbrica resti sia
dell'antico tempio pagano che della primitiva Cattedrale.
Nella sua forma attuale
venne fatta costruire da Roberto il Guiscardo, a margine del Concilio
di Melfi del 1059 e del giuramento di fedeltà alla Chiesa mediato
dal vescovo Godano: maestranze locali dirette da architetti francesi
la realizzarono in stile romanico-clunyacense, conformemente
all’indirizzo fornito dall’abate di Cluny Arnoldo che, designato
Arcivescovo, nel 1080 la consacrò a santa Maria Assunta ed a san
Canio, vescovo martire probabilmente di origini africane, le cui
spoglie si ritengono essere tutt’ora presenti, seppur nascoste,
all’interno della chiesa che ne custodisce anche, in un antico
altare, il bastone, da sempre protagonista di episodi miracolosi.
Presenta una pianta a croce latina ed è lunga m. 69 e larga m. 23 con una crociera di m. 39 con 10 massicci pilastri, cinque per lato, 3 navate con transetto, tiburio ottagonale, 2 absidiole, coro con deambulatorio e 3 cappelle radiali disposte intorno all'abside centrale.
Esterno
Mancano, sotto le colonnine,
i due leoni di pietra che certamente c'erano all'origine: uno è
stato messo di recente in cima all'angolo sinistro della facciata,
l'altro è stato scoperto, mutilo ma ancora leggibile, murato
all'esterno di una casa di via Santa Sofia.
Sul vertice della facciata
una croce marmorea di recente fattura ha sostituito il supposto busto
dell'imperatore Giuliano l'Apostata (1) – che vi era stato collocato in
quanto erroneamente attribuito a San Canio - oggi conservato nel
museo dell'opera.
Gli spioventi del prospetto principale,
sul quale si apre anche un grande rosone al di sotto del quale è
incassato lo stemma della famiglia Ferrillo-Balsa, si interrompono
sul lato destro con l’innesto di una torre
campanaria voluta dal cardinale Saraceni e dalla nobile casata
dei Ferrillo, che finanziarono il rifacimento della chiesa seriamente
danneggiata dal forte terremoto del 1456.
Il campanile è
cartterizzato dalla presenza
di belle monofore, di una finestra rettangolare e due stemmi: del
Cardinale Giovanni Michele Saraceno e della città; un terzo stemma,
quello dei Conti Ferrillo, è andato perduto ed al suo posto è
rimasto un vuoto. Una scritta sotto lo stemma centrale, nel riquadro
che lo contiene, dice: "Ioannes Michael Saracenus SS R E Presb.
Card. Archiep. Ach. erontinus erectis. MDLV" (Giovanni
Michele Saraceno, della Santa Romana Chiesa Cardinale e presbitero,
Arcivescovo Acheruntino, eresse nell'anno 1555).
Tra il materiale
utilizzato per la costruzione della torre campanaria compaiono anche
frammenti di sarcofagi romani con volti di defunti togati e resti di
un’ara funeraria decorata con amorini, un’erma e due crateri.
(Nel busto di donna con la mano sul petto alcuni vorrebbero ritratta
la dea Iside).
Interno
Nella navata di destra
si trova il prezioso polittico della Madonna del Rosario, opera del
pittore Antonio Stabile del 1583. La Vergine compare qui in trono con
il Suo Bambino, tra i Santi Tommaso d’Aquino e Domenico, cui porge
la corona. Circondata da riquadri con i Santi Misteri, l’immagine è
sormontata da una Trinità. Le pareti del deambulatorio
conservano affreschi del XVI secolo: si riconoscono una Madonna col
bambino (qualcuno vorrebbe l’ignoto autore nella cerchia del
Botticelli), un San Canio vescovo, mentre sbiadite grottesche si
notano negli archi che fiancheggiano il presbiterio.
La cripta
Al di sotto del
presbiterio si trova la cripta;
completamente ristrutturata nel 1524 (come si deduce dalla
data incisa nella pietra sotto il timpano dell'ingresso a cui si
arriva tramite due brevi rampe a gradini) dal conte
Giacomo Alfonso Ferrillo e dalla sua consorte Maria Balsa sul modello
del succorpo del duomo di Napoli (1497-1506), consiste in un vano
perfettamente quadrangolare suddiviso in tre navate da quattro
colonne che poggiano su piedistalli.
All'ingresso della cripta si
trovano due acquasantiere, su quella di destra sono incise le parole
Si credis unda lavat, e all'interno sono scolpiti pesci e
anguille (rimando alla forza purificatrice del Cristo).La parete di fondo – che appare tamponata nei due comparti laterali dove, fino agli inizi del XX secolo si trovavano degli armadi per i reliquari – mostra al centro un abside quadrangolare entro cui è collocato un grande sarcofago marmoreo popolarmente noto come cassone di san Canio.
1) mentre infatti lo stipite di sinistra è realizzato interamente in marmo di Carrara, quello di destra è formato da tre spezzoni di materiali diversi;
2) entrambi gli stipiti, e i semicapitelli che li coronano, risultano poi rimontati, analogamente a tutto il vano dell’abside in cui è inserito il grande sarcofago, vano che denuncia anch’esso vistosi rimaneggiamenti;
3) il piano di posa degli stipiti non è allineato, come ci si aspetterebbe, al bordo superiore dei piedistalli che tripartiscono la parete di fondo, ma è curiosamente più alto di circa 20 centimetri. Gli stipiti poggiano infatti su una sorta di davanzale – evidentemente riutilizzato a causa dell'altrimenti inspiegabile presenza di un piccolo rincasso di forma rettangolare – sostenuto da due mensoloni scanalati e, al centro, da una tozza colonnina, scanalata nel rocchio inferiore e rastremata nel tratto superiore, sormontata da un capitello a larghe foglie lisce: elementi, questi ultimi, che si direbbero realizzati in un'epoca piuttosto recente.
Le pareti laterali della cripta sono abbellite da 4 affreschi opera di Giovanni Todisco da Abriola:
1)
S. Margherita (Marina) martire d’Antiochia vincitrice del demonio
in forma di drago.
Secondo altri in quest'affresco sarebbe invece raffigurata la Donna dell'Apocalisse:
Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. (Ap, XII, 1-9)
2)
Adorazione dei Magi
Nel 1650 questo affresco fu ricoperto da un'altro raffigurante San Nicola. Fu riportato alla luce alla fine del XIX secolo.
In seguito al rinvenimento di un libro
del 1666, intitolato: Albero della Famiglia Dragona confidata,
è stata analizzata
la storia della famiglia dei conti Ferrillo-Balsa, Signori di
Acerenza.
I Ferrillo erano nobili napoletani,
insediatisi in Basilicata nel XV sec., quando Matteo Ferrillo ottenne
dal Re di Napoli, Ferdinando D’Aragona, il titolo di Signore di
Acerenza. Morto Matteo nel 1499, gli successe il figlio Giacomo
Alfonso, che presto convolò a nozze con una principessa proveniente
dai Balcani, di nome Maria Balsa (in qualche documento compare anche
con il nome di Barsa) (2).
Le cronache descrivono Maria Balsa
arrivata in Italia nel 1480 all’età di circa 7 anni, orfana, al
seguito di Andronica (Donuka) Arianiti Comnena - la vedova dell’eroe
albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, despota di Albania - e di suo
figlio Giovanni giunti profughi alla corte del loro alleato - anche
in virtù della comune appartenenza all'Ordine del drago (3)
- il re di Napoli Ferrante (Ferdinando I) d’Aragona
(1458-1494).
La bambina, indicata quale figlia di
una sorella di Andronica Arianiti Commena, era stata salvata non si
sa dove ed in quali circostanze dall’invasione turca dei Balcani.
Le notizie su di lei sono comunque scarse e contraddittorie, la sua
origine non viene specificata neppure nell'atto di matrimonio. Il
cronista Terminio la descrive come figlia del despota di Serbia ed
effettivamente una sorella di Andronica – Angelina – sposò
Stefano III Brankovic che fu – seppure per pochi mesi (1458) –
despota di Serbia ed ebbe da lui una figlia di nome Maria che però
sposò Bonifacio III di Monferrato. Andronica avrebbe presentato
Maria alla corte napoletana come figlia di sua sorella, sfruttando
questa omonimia, per essere certa che le sarebbe stato concesso asilo
giacchè Vlad III Draculea era stato scomunicato dalla Chiesa.
I sostenitori dell'ipotesi che Maria Balsa potrebbe essere la figlia di Vlad III Draculea adducono i seguenti elementi:
1) In un
testo del 1531, redatto vivente Maria e con valenza giuridica e
dinastica, nel quale dovendo dare atto dei possedimenti in dote alla
figlia Beatrice, andata in sposa al Principe Ferdinando Orsini,
vengono indicate delle proprietà in Romania.
2) Lo stemma dei Ferrillo
incassato nella facciata principale della cattedrale è sormontato da
un drago che deriverebbe dallo stemma di Vlad III e posto qui in
posizione dominante a significare il più alto lignaggio di Maria
Balsa.
Lo stemma dei Ferrillo incassato nella facciata della cattedrale.
La presenza del drago nello stemma
di Vlad è notizia incerta, dato che non ci sono testimonianze
lapidee di stemmi ma solo alcuni armoriali di Romania che per i Vlad
descrivono un’insegna del tutto diversa. Ad ogni modo, quand’anche
vi comparisse, il drago era all’epoca un elemento molto diffuso
negli stemmi nobiliari e con connotazioni positive. Non solo, ciò
che è più importante è che la presenza di un drago sovrastante a
mo’ di cimiero, connota lo stemma degli stessi Ferrillo, come si
vede nel sepolcro di Matteo Ferrillo (1499) nella chiesa di S.
Maria La Nova a Napoli.
Sepolcro di Matteo Ferrillo, 1499, chiesa di S.Maria La Nova, Napoli
A ciò si aggiunga che – quella
che viene interpretata come una testa di drago negli stemmi della
famiglia Balsa riprodotti nella cripta – è molto più
verosimilmente una testa di lupo. Una testa di lupo appare inoltre
nelle insegne della famiglia Balsa (Balsic) del Montenegro, che secondo alcuni
storici discenderebbe dai Del Balzo e fu presente anche in Albania
accanto a Skanderbeg nella lotta contro i turchi (vedi nota 4). Sarebbero dunque i
legami fra il condottiero albanese e il re aragonese di Napoli
all’origine dell’accoglienza di Maria in Italia e non quelli fra
Vlad e l’ordine del Drago.
3) Entrando nella cripta, in alto sulla sinistra, su un cornicione sul quale sono posti in successione e scolpiti sullo stesso livello (segno che si tratta di parenti) i profili della Balsa, di Ferrillo, e, sempre di profilo, ma opposto agli stessi un Signore dal volto a dir poco inquietante posto di spalle all’altare (come se avesse voltato le spalle a Dio).
3) Entrando nella cripta, in alto sulla sinistra, su un cornicione sul quale sono posti in successione e scolpiti sullo stesso livello (segno che si tratta di parenti) i profili della Balsa, di Ferrillo, e, sempre di profilo, ma opposto agli stessi un Signore dal volto a dir poco inquietante posto di spalle all’altare (come se avesse voltato le spalle a Dio).
Sono evidentissime le narici, il mento
prominente, la fronte e perfino i denti.
Occorre notare che l’artista ha
volutamente evidenziato questi elementi, tant’è che ha distorto il
naso per mettere in risalto la dilatazione delle narici. E' però più probabile che - anzichè di un ritratto dell'Impalatore - si tratti di quello di Matteo Ferrillo, padre del conte Giacomo Alfonso.
4) Sempre nella cripta,
nell'affresco raffigurante l'Adorazione dei Magi, nell'uomo inginocchiato ai
piedi della Vergine e del Bambino (Baldassarre, che fu il primo ad
avvistare la cometa) andrebbe identificato Vlad per la presenza,
poggiato in terra, del copricapo tempestato di perle che l'Impalatore
era solito indossare. Nella figura della Vergine, sarebbe inoltre
ritratta la stessa Maria Balsa , riconoscibile dal pendaglio a forma di stella
con al centro un rubino che adornava il copricapo di Vlad a ricordare
il fatto che il suo regno era iniziato in corrispondenza con il
passaggio della cometa di Halley. Inoltre nel vaso della mirra
offerto al Bambino sarebbero raffigurati due diavoli.
Negli
altri due Re magi sarebbero ritratti rispettivamente il re d'Ungheria
Mattia Corvino (1458-1490), identificato dal corvo che figura
sull'elsa della sua spada, che indusse Dracula a convertirsi al
Cristianesimo e lo stesso Ferdinando I d'Aragona, identificato dal
toson d'oro che porta, emblema dell'omonimo ordine cavalleresco a cui
aveva aderito.
In realtà la presenza di Baldassarre gioca un ruolo importante nella cripta di Acerenza perché la famiglia del Balzo, a cui secondo altra interpretazione sembra appartenere Maria Balsa, si riteneva discendente di Baldassarre re di Tartarìa che scelse l’immagine della cometa di Gesù come insegna, e così fecero anche i suoi discendenti. Ecco spiegata la stella a sedici punte presente nello stemma della Balsa e in vari altri punti della cripta (4).
5) S.Andrea e S.Giorgio – il primo raffigurato in un affresco e l'altro mentre uccide il drago sul basamento di una colonna della cripta – costituirebbero un altro riferimento alla Romania, di cui sono i santi patroni, estranei invece al culto locale.
La presenza dell’ immagine di S.
Giorgio potrebbe giustificarsi con la diffusione in ambiente
aristocratico del culto di S. Marina (Margherita) d’Antiochia,
raffigurata anch’essa nella cripta e spesso confusa con la giovane
principessa salvata dal santo cavaliere. Lo stesso dicasi per quanto
concerne il S. Andrea dell’affresco sulla parete destra, il quale
piuttosto che farci pensare alla Romania di cui è patrono, potrebbe
qui rappresentare il primo apostolo che la Casa di Borgogna elesse
suo protettore. Poiché però accanto ad Andrea compare anche un S.
Matteo, è stato anche ipotizzato che i due affreschi siano stati un
omaggio a Andrea Matteo Palmerio rettore della locale Archidiocesi
fra il 1518 e 1528.
Note:
(1) Il frammento di
un'iscrizione dedicatoria, che si legge su di una pietra attualmente
conservata ai piedi del busto nel museo dell'opera ma precedentemente
reimpiegata nella costruzione del campanile dove è tuttora visibile
il suo incasso vuoto, recita: "REPARATORI ORBIS ROMANI D.N. -
CL. IULIANO AUG. AETERNO PRINCIPI - ORDO ACHERUT." (Al
restauratore del Mondo Romano il nostro signore Claudio Giuliano
Augusto Eterno Principe, l'Ordine Acheruntino).
Secondo Lenormann
questa pietra, insieme ad un'altra su cui si legge ancora la parola
ULIAN e al busto dell'imperatore, apparterrebbero al basamento di un
monumento fatto erigere in onore dell'imperatore Giuliano dal senato
di Acerenza per ringraziarlo del ripristino del culto di Ercole
Acheruntino – il cui tempio sorgeva sullo stesso sito su cui oggi
insiste la cattedrale – che aveva rilanciato l'economia cittadina.
Già nel 1933 però Richard
Delbrück (Spätantike Kaiserporträts) escluse che il busto potesse raffigurare Giuliano,
spostando la datazione dell’opera al periodo medievale avanzato
considerandola come un prodotto della plastica dell’Italia
meridionale del XIII secolo, confrontabile con i busti capuani della
Porta di Federico II.
Il busto fu collocato al vertice della facciata - probabilmente nel 1524 quando fu completato il restauro promosso dai Ferrillo-Balsa o, al più tardi, nel 1555 quando fu completata la ristrutturazione della torre campanaria - nel quadro di una serie di interventi di recupero e reimpiego di manufatti antichi riscontrabili in varie parti dell'edificio. Sulla base di tali presupposti, e in considerazione degli interessi antiquari del Ferrillo (comprovati dal Terminio e anche dalle scelte operate nella cripta), dell’analisi stilistica del busto, nonché dell’uso delle immagini di fondatori e benefattori laici nei prospetti delle chiese beneficate, uso attestato fin dal Medioevo, Luigi Todisco (cfr. Il busto di Acerenza, in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, Bari 1994, pp. 323-371) ha proposto in maniera convincente una datazione ancora più bassa suggerendo l'identificazione del busto con un ritratto dello stesso Giacomo Alfonso Ferrillo, nelle vesti ideali di un imperatore romano o di un miles Parthenopeius (titolo con cui è ricordato in un'epigrafe scolpita sul plinto della prima colonna a sinistra della cripta). Il busto sarebbe stato quindi realizzato ad hoc in epoca rinascimentale e posto al vertice della facciata per celebrare il conte Ferrillo in qualità di restauratore (rifondatore) della cattedrale.
A conferma della tesi sostenuta da Todisco, si osservino le similitudini tra il mascherone scolpito sulla spalla sinistra del busto (a ds.) e un elemento decorativo della trabeazione della cripta (a sn.).
(2) Dal matrimonio nacquero due figlie, Beatrice ed Isabella; la prima andò in sposa al principe Ferdinando Orsini che, alla morte del conte Giacomo Alfonso Ferrillo (1530), ereditò il feudo di Acerenza.
(3) L’Ordine del Drago era stato fondato nel 1408 dal re d'Ungheria Sigismondo di Lussemburgo – il futuro Imperatore del Sacro romano impero - da Alfonso di Aragona, re di Napoli, dal padre di Skanderbeg, e infine da Vlad II Dracul, cui succederà Vlad III Draculea, detto l'Impalatore (Tepes) che ispirerà il personaggio del conte Dracula del romanzo di Stoker e che prenderà il nome proprio dall’adesione all’ordine e per l’aver adottato nel suo blasone il simbolo del Drago (Dracul).
Il busto fu collocato al vertice della facciata - probabilmente nel 1524 quando fu completato il restauro promosso dai Ferrillo-Balsa o, al più tardi, nel 1555 quando fu completata la ristrutturazione della torre campanaria - nel quadro di una serie di interventi di recupero e reimpiego di manufatti antichi riscontrabili in varie parti dell'edificio. Sulla base di tali presupposti, e in considerazione degli interessi antiquari del Ferrillo (comprovati dal Terminio e anche dalle scelte operate nella cripta), dell’analisi stilistica del busto, nonché dell’uso delle immagini di fondatori e benefattori laici nei prospetti delle chiese beneficate, uso attestato fin dal Medioevo, Luigi Todisco (cfr. Il busto di Acerenza, in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, Bari 1994, pp. 323-371) ha proposto in maniera convincente una datazione ancora più bassa suggerendo l'identificazione del busto con un ritratto dello stesso Giacomo Alfonso Ferrillo, nelle vesti ideali di un imperatore romano o di un miles Parthenopeius (titolo con cui è ricordato in un'epigrafe scolpita sul plinto della prima colonna a sinistra della cripta). Il busto sarebbe stato quindi realizzato ad hoc in epoca rinascimentale e posto al vertice della facciata per celebrare il conte Ferrillo in qualità di restauratore (rifondatore) della cattedrale.
A conferma della tesi sostenuta da Todisco, si osservino le similitudini tra il mascherone scolpito sulla spalla sinistra del busto (a ds.) e un elemento decorativo della trabeazione della cripta (a sn.).
(2) Dal matrimonio nacquero due figlie, Beatrice ed Isabella; la prima andò in sposa al principe Ferdinando Orsini che, alla morte del conte Giacomo Alfonso Ferrillo (1530), ereditò il feudo di Acerenza.
(3) L’Ordine del Drago era stato fondato nel 1408 dal re d'Ungheria Sigismondo di Lussemburgo – il futuro Imperatore del Sacro romano impero - da Alfonso di Aragona, re di Napoli, dal padre di Skanderbeg, e infine da Vlad II Dracul, cui succederà Vlad III Draculea, detto l'Impalatore (Tepes) che ispirerà il personaggio del conte Dracula del romanzo di Stoker e che prenderà il nome proprio dall’adesione all’ordine e per l’aver adottato nel suo blasone il simbolo del Drago (Dracul).
(4) Lo stemma utilizzato da Maria Balsa nella cripta - un inquartato alle stelle a sedici punte e alle teste di lupo - è quello della famiglia montenegrina dei Balsic; somiglia però molto a quello dei Del Balzo - un inquartato ai corni da caccia e alle stelle a sedici punte - a suggerire una comune origine delle due famiglie.
Il castello
Posta su una rupe tufacea che si erge tra il corso del Bradano e quello del suo affluente Fiumarella, vista dalla valle, Acerenza dà ancora oggi l'impressione di essere una fortezza inespugnabile.
Il castello vero e proprio si sviluppava
tra gli attuali Largo Gianturco, via Giacinto Albini, via Vittorio
Emanuele e Largo Gala, nel bel mezzo del paese. L'edificazione del
complesso architettonico è opera dei Longobardi che, utilizzando la
città come una roccaforte militare, costruirono, all’interno delle
mura cittadine, un poderoso castello (1). La struttura architettonica
presentava oltre al fabbricato del castello, numerose
pertinenze. All’epoca, intorno alla fortezza, infatti, si sviluppava
una complessa struttura urbana che accoglieva diverse attività
artigianali e produttive al fine di assicurare e soddisfare gli
indispensabili servizi primari, nonché necessari degli abitanti
della città. Al di fuori di questo complesso architettonico, ma
all’interno di questa piccola cittadella, furono costruiti in
epoche successive alcuni palazzi nobiliari. Dall’aspetto imponente,
il palazzo del Vescovado e il Palazzo Vosa, risalenti al XVIII
secolo, fanno parte però, secondo alcuni, dell'impianto anteriore al
dominio Longobardo che comprende anche, dalla parte dell'ex
Seminario, la cappella di San Vincenzo. Attualmente, di questo
castello resta soltanto una torre e le strutture del vecchio castello
sono occupate dall'arcivescovado, dal seminario, e da altre strutture
private.
La torre longobarda
Note:
(1) Nel 663, Acerenza, ritenuta dai
Longobardi un caposaldo nevralgico per impedire all'armata di
Costante II di dilagare nella valle del Bradano, forte della sua
posizione e ben guidata dal comandante del presidio, resistette a due
tentativi di assedio.
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