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domenica 21 agosto 2011

Oratorio delle catacombe di S.Lucia, Siracusa

Oratorio delle catacombe di S.Lucia a Siracusa

Storia delle reliquie della santa
Vissuta a Siracusa, Lucia sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano (intorno all'anno 304).
Una tradizione popolare vuole che, dopo avere esalato l’ultimo respiro, il corpo di Lucia sia stato devotamente tumulato nello stesso luogo del martirio. Il corpo della santa fu riposto in un arcosolio scavato nel tufo delle catacombe. Fu così che le catacombe di Siracusa, che ricevettero le sacre spoglie della vergine e martire, presero da lei anche il nome e ben presto attorno al suo sepolcro si sviluppò una serie numerosa di altre sepolture, perché tutti i cristiani volevano essere tumulati accanto all’amatissima Lucia. 
Nell'878, quando Siracusa fu assediata e conquistata dagli Arabi, le spoglie della santa furono prelevate e nascoste in luogo segreto per sottrarle alla furia degli invasori.
Nel 1040 Giorgio Maniace riconquistò Siracusa e fece traslare le spoglie della santa in una teca d'argento a Costantinopoli dove vennero riposte nella chiesa della Teotokos delle Blacherne.
Nel 1206, dopo la conquista crociata della città, le reliquie della santa furono traslate a Venezia nel monastero benedettino di S.Giorgio Maggiore. Nella città lagunare le reliquie hanno avuto diverse collocazioni fino al 1860, quando vennero riposte nella chiesa di S.Geremia – poi ridedicata ai santi Lucia e Geremia – dove attualmente si trovano.



La chiesa di S.Lucia extra moenia* - nel cui portico è posto oggi l'accesso alle catacombe - fu edificata durante il periodo bizantino sul luogo del martirio della santa, ricostruita in età normanna e completamente rielaborata alla fine del '600.



Nel XV secolo larga parte dell’oratorio venne distrutta per far posto ad una cisterna e gli affreschi, databili alla prima metà dell'VIII secolo, furono coperti dalla malta idraulica. Grazie al recente intervento di restauro gli affreschi sono leggibili nella volta, nella parete sud-est e nell’abside.




Nella volta lo spazio è scandito da una croce gemmata con le figure del Cristo, della Vergine e di due angeli nei clipei alle estremità e al centro. Tra i quattro bracci della croce sono raffigurati i Quaranta Martiri in gruppi di dieci, a torso nudo immersi nell’acqua e sulla loro testa le corone martiriali. Nello scomparto sud-est della croce è rappresentata la conversione del guardiano e a sinistra della Vergine un personaggio sulla cui identificazione ancora si dibatte (S. Giovanni?).


L’affresco nella parete sud est restituisce le figure di due vescovi al momento non identificati, di S. Damiano, S. Cosma e S. Elena, S. Marciano.

 S.Elena e S.Marciano


 I Santi Cosma e Damiano

Nell’abside rimane leggibile un’immagine del Cristo Pantocrator.
 
 
* Nell'abside della chiesa si trova la pala d'altare (408x300 cm), raffigurante il Seppellimento di Santa Lucia, dipinta nel 1608 da Caravaggio per questa chiesa.
 
 
Dopo la fuga precipitosa da Malta, Caravaggio si rifugiò a Siracusa. Probabilmente fu aiutato nella fuga da Fabrizio Sforza Colonna, figlio della marchesa Costanza Colonna, che si trovava a Malta in qualità di comandante della flotta militare: la famiglia Colonna, ed in particolare la marchesa, aveva da sempre protetto e sostenuto Michelangelo Merisi ed inoltre si stava impegnando affinché il papa gli concedesse la grazia per l’assassinio di Ranuccio Tommasoni (1606).
La presenza di Caravaggio a Siracusa rimane comunque avvolta nel mistero: non si sa infatti perché venne a rifugiarsi proprio in questa città né perché realizzò uno dei suoi più grandi capolavori proprio per la Basilica di Santa Lucia extra moenia.
A questo proposito esistono varie ipotesi.
1) Secondo Di Silvestro il collegamento tra Malta e Siracusa è un frate, Frà Raffaele da Malta, che proprio in quegli anni era guardiano del convento della Basilica: dunque Caravaggio potrebbe aver realizzato la pala d’altare per ringraziarlo per l’accoglienza o su richiesta del frate.
A proposito della committenza esistono però molte altre ipotesi:
2) Secondo Susinno (Le Vite dei pittori messinesi, 1724), Caravaggio ottenne la commissione grazie all’aiuto dell’amico e collega Mario Minniti, celebre pittore siracusano con il quale Caravaggio aveva lavorato a Roma. Dunque Mario Minniti potrebbe rappresentare la ragione della presenza di Caravaggio a Siracusa. In realtà non è stato rintracciato il documento di commissione ma questa ipotesi potrebbe essere giustificata dal fatto che proprio in quegli anni il senato provvedeva al restauro della Basilica di Santa Lucia extra moenia e che pochi anni prima (1605), in uno slancio devozionale, aveva donato alla Basilica delle reliquie della santa e stava raccogliendo la somma necessaria a realizzare il simulacro argenteo di Santa Lucia.
3) Il Capodieci (Annali di Siracusa, 1810 c.ca) sostiene invece che la commissione dell’opera giunse a Caravaggio dal vescovo Orosco II. Questa ipotesi però andrebbe scartata dato che nel 1608 Orosco II era già morto da sei anni.
Il vescovo che era in carica all’epoca del soggiorno di Caravaggio a Siracusa era Giuseppe Saladino (dal 1604 al 1611). Però si può giustificare l’errore del Capodieci per il fatto che si deve proprio all’impegno del vescovo Orosco II il rinnovato slancio devozionale del senato nei confronti di Santa Lucia, devozione che si concretizzò nelle varie iniziative dell’epoca. Dunque Orosco II potrebbe essere considerato un committente indiretto in quanto promotore delle iniziative prese dal senato come il restauro della Basilica e probabilmente anche la commissione del dipinto.
4) Secondo un’altra ipotesi la commissione della tela avvenne da parte di Vincenzo Mirabella erudito ed esperto di antichità nonché amico di Caravaggio. Esistono documenti che testimoniano che a partire dal 10 Gennaio 1590, Mirabella versava al monastero della Basilica una ingente somma di denaro (10 onte). Questo particolare legame con la Basilica ed il monastero lascia intuire una notevole devozione del Mirabella verso Santa Lucia perciò è plausibile che sia stato lo stesso Mirabella a commissionare l’opera a Caravaggio.
Il Seppellimento di S.Lucia è in ogni caso la prima opera siciliana del Caravaggio, eseguita nel giro di pochi mesi durante il suo breve soggiorno a Siracusa nell’autunno del 1608. Se infatti il 6 ottobre 1608 il pittore risulta già fuggito da Malta e il 6 dicembre dello stesso anno probabilmente era già a Messina e comunque vi si era stabilito con certezza nei primi mesi del 1609, dal momento che la Resurrezione di Lazzaro viene consegnata il 16 giugno, gli estremi cronologici del dipinto appaiono ben definiti.
Lo spazio in cui si svolge il seppellimento viene comunemente identificato con le catacombe siracusane di Santa Lucia. Basandosi sul fatto che le catacombe di Santa Lucia vennero scoperte tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, Marini avanza invece l’ipotesi che quella grande muraglia interrotta da un’arcata che fa da sfondo alla scena possa costituire un preciso riferimento alle "latomie" siracusane, in particolare alla Grotta dei Cordari; del resto si ha notizia che il Caravaggio ebbe modo di visitare le latomie nel suo soggiorno a Siracusa, insieme all’erudito e studioso di archeologia Vincenzo Mirabella, battezzando addirittura col nome di "Orecchio di Dionigi" – toponimo ancor oggi in uso – una delle grotte più suggestive. In uno spazio per metà dominato dalla nuda parete incombente, con la massa dei personaggi caratterizzata da sfasature prospettiche e da scorci audaci, accentuati dai tagli di luce radente, Caravaggio costruisce qui uno dei suoi massimi capolavori, i due giganteschi becchini, bloccati nel loro rude plasticismo, convergono verso il corpo fortemente scorciato della santa, oltre il quale si allinea la piccola schiera muta e dolente degli astanti (la vecchia inginocchiata, unico personaggio disperato, potrebbe essere la vedova Eutiche, madre di Lucia), mentre sulla destra si stagliano le figure di profilo del vescovo benedicente e dell’armigero in corazza.
La Santa presenta una ferita da taglio sul collo, ma se si osserva da vicino la trama della pittura, in un primo momento la testa doveva apparire spiccata dal busto.
Secondo alcuni interpreti, nel becchino di sinistra Caravaggio avrebbe raffigurato il Gran Maestro dell'Ordine di Malta, Alof de Wignacourt, di cui l'artista aveva eseguito un grande ritratto pochi mesi prima, che da suo protettore si era trasformato in persecutore.
 
  
La gamma cromatica del dipinto, tipica delle opere tarde dell'artista, si mantiene su tonalità brune ma di una luminosità calda e ambrata che smorza i colori, interrotta solo dai bianchi grigiastri e dalla vivida macchia di rosso del mantello del diacono. La grande invenzione del dipinto sta proprio nell’originalità dell’impianto compositivo: lo scaglionamento delle figure, svincolato da rigide leggi prospettiche, riesce a dilatare la profondità spaziale, lasciando i personaggi come in un proscenio, quasi sull’orlo della tela, esalta l’atmosfera drammatica dell’evento.



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