Fu costruita tra il 1080 ed il 1085 per
volere di Roberto il Guiscardo – che aveva conquistato la città
nel 1077 – sull'area precedentemente occupata dalla chiesa di San
Matteo de Archiepiscopio, che ospitava le reliquie di San Matteo (1) poi traslate nell'attuale cattedrale, consacrata da papa Gregorio
VII, rifugiatosi a Salerno, nel luglio del 1084.
La forma della chiesa originale fu
probabilmente suggerita da Alfano I, arcivescovo di Salerno e monaco
benedettino, assiduo frequentatore dell'Abbazia di Montecassino per
la quale elaborò i versi dei tituli che accompagnavano la
decorazione delle pareti. Alfano ispirò la forma e la pianta proprio
della chiesa cassinese fatta edificare dall'abate Desiderio fra il
1066 e il 1071. Quest'ultimo, nell'ambito di un recupero della
tradizione cristiana, aveva preso a modello la basilica del suo
predecessore aggiornata alle innovazioni carolingie, da cui
l'inserimento del transetto triabsidato, precedentemente sconosciuto
all'architettura altomedievale dell'Italia centromeridionale.
Come la chiesa cassinese anche la
cattedrale di San Matteo presenta infatti una pianta articolata in un
corpo longitudinale a tre navate con uno orizzontale, il transetto
con tre absidi, ed è preceduta da un quadriportico.
Un primo elemento innovativo è dato
invece dalla forma della cripta, ad aula con lo spazio scandito da
colonne e con le absidi in corrispondenza con quelle del transetto
superiore. Questo tipo di cripta, ben conosciuto in Europa e nell'
Italia settentrionale, era assolutamente inusuale nell'Italia
centromeridionale. In San Pietro come a Montecassino, la cripta era
infatti un vano angusto, corrispondente ad un martirium.
La facciata attuale risale in gran
parte al rifacimento di età barocca. Del prospetto originale rimane
il portale, detto Porta dei Leoni a causa di due statue ai
lati degli stipiti raffiguranti un leone (simbolo della forza) e una
leonessa con un leoncino (simbolo della carità).
Sull'architrave,
scolpita ad imitazione di un portale romano, una scritta ricorda la
pace tra Roberto il Guiscardo ed il nipote Giordano Drengot (2),
principe di Capua. Il fregio, raffigurante una pianta di vite
(rimando al salvifico Sangue di Cristo) presenta altre decorazioni
animali: una scimmia (simbolo dell'eresia) e una colomba che becca i
datteri (simbolo dell'anima che si pasce dei piaceri ultraterreni).
Nella lunetta al di sopra del fregio,
un affresco seicentesco (che ha sostituito un deteriorato mosaico del
1290) raffigura San Matteo che scrive il vangelo ispirato
dall'angelo, che alcuni vogliono sia opera di Angelo Solimena.
Vi si
accede per mezzo di una scalinata a doppia rampa che, nel rifacimento
del 1688. ha sostituito l'originale scalinata a dodici gradini
semicircolari.
Il portale immette ad un ampio atrio
circondato da un colonnato - un'ideale continuazione verso l'esterno
delle navate interne - le cui colonne provengono dal vicino Foro
Romano di piazza Conforti, sormontate da archi a tutto sesto decorati
con intarsi di pietra vulcanica sulle lesene e ai pennacchi.
Splendido è il loggiato soprastante traforato da bifore e pentafore.
Sull'atrio si apre la porta bronzea che
da accesso alla chiesa, fusa a Costantinopoli nel 1099 e donata alla
città dai due coniugi Landolfo Butrumile e Guisana Sebaston (le cui
lapidi tombali, molto rovinate, sono incassate a lato della porta), è
composta da 54 formelle in gran parte raffiguranti croci bizantine,
presenta al centro una teoria di santi (tra i quali spicca san
Matteo), da notare la formella con la raffigurazione simbolica di due grifi che s'abbeverano ad
un fonte battesimale.
San Matteo con ai piedi i due donatori
Presso la porta, sono incisi su una
lapide quattro versi di una poesia che Gabriele D'Annunzio dedicò
alla Cattedrale.
Al centro dell'atrio era un tempo
collocata una fontana monolitica in granito egiziano proveniente dal
tempio di Nettuno a Pestum che piacque a Re Ferdinando IV di Borbone
che nel 1820 la fece trasferire a Napoli nella Villa Reale,
attualmente villa comunale, dove venne inserita in un complesso
monumentale ideato dall'architetto Pietro Bianchi (nota come
Fontana delle Paparelle). La fontana attuale è un vecchio fonte
battesimale.
Addossato al lato
meridionale del quadriportico è collocato il monumentale campanile
arabo-normanno, che si eleva per quasi 52 metri con una base di circa
dieci metri per lato. Da una lapide murata sulla fronte meridionale
si legge che committente fu Guglielmo da Ravenna, arcivescovo di
Salerno dal 1137 al 1152, durante il regno di Ruggiero II
(1130-1154).
E' composto di quattro cubi
e termina con un tiburio a cupola. La sua composizione risponde ad
una precisa esigenza statica in quanto i primi due piani,
indubbiamente più pesanti, sono in travertino e costituiscono una
solida base di sostegno. Gli altri due piani sono in blocchetti di
laterizio, certamente più leggeri. Tutti i piani sono alleggeriti da
ampie bifore che scaricano i pesi lateralmente sugli angoli.
La torretta costituisce la
parte più interessante con la decorazione a dodici archi a tutto
sesto intrecciati con alternanza regolare di diversi materiali
policromi. La cupoletta è demarcata da una fascia decorata con stelle a sei
punte.
L'interno della cattedrale è
fortemente caratterizzato dal rifacimento settecentesco e si presenta
diviso in tre navate da massicci pilastri, all'interno dei quali,
durante i restauri, sono stati in parte scoperti i capitelli e le
colonne originali. Nella chiesa normanna queste colonne erano
originariamente in numero di dodici per lato, di cui le ultime tre
inglobate nella recinzione del coro. La ristrutturazione
settecentesca – resa necessaria dai gravi danni strutturali inferti
all'edificio dal terremoto del 1688 - rimosse alcune colonne (forse
spezzatesi) e inglobò le altre nei pilastri attualmente visibili.
All'esterno del muro perimetrale normanno di destra si estendeva
inoltre un'area adibita a cimitero, con la ristrutturazione
quest'area viene assorbita dalla chiesa formando le sei cappelle di
destra. Fra la quinta e la sesta cappella, un varco ha
permesso la conservazione del prezioso affresco che era stato
realizzato nel cimitero, segnando il limite su cui correva il muro
guiscardiano.
La pianta della chiesa
presenta una particolare anomalia: la navata destra, dal
portale al fondo dell'abside, è più corta della sinistra misurata
fra gli stessi punti. La cosa appare voluta e non dipendente da
errori costruttivi, poiché a fronte di un perfetto parallelismo dei
muri laterali guiscardiani, che correvano appena arretrati rispetto
al fronte degli attuali pilastri divisori delle cappelle, la
posizione ad essi obliqua della facciata e del lato relativo del
quadriportico è ottenuta con ringrossi interni alla parete che vanno
riducendosi verso destra, in modo da ottenere una parvenza di
regolarità interna a fronte dell'irregolarità effettiva. Quando
furono realizzati gli altri tre lati del quadriportico, il
parallelismo dei muri laterali fu sostanzialmente mantenuto, mentre
la facciata esterna fu anch'essa orientata come l'interna, per cui
l'intero edificio venne ad essere più corto nel lato destro rispetto
al sinistro. Potrebbe trattarsi di un adeguamento alle condizioni
dell'ambiente in cui si operò, ma è poco probabile stante la
sostanziale uniformità dell'inclinazione delle due facciate pur
costruite a circa ottant'anni di distanza, quasi a perseguire un
canone di tipo esoterico.
La navata centrale termina
con un coro ligneo delimitato da due amboni sorretti da colonnine
tipicamente bizantine decorate con un intarsio di pietre policrome.
Quello di sinistra (in
cornu evangelii) è detto ambone Guarna, perchè donato
dall'arcivescovo di Salerno Romualdo Guarna (1163-1180). Il pulpito è
retto da quattro colonne, tre delle quali sormontate da capitelli
figurati, mentre la quarta presenta il capitello a motivi vegetali.
Al di sopra i pannelli degli archi presentano i simboli degli
Evangelisti. Al di sotto della base del lettorino è rappresentata la
testa di Abisso.
Quello di destra (in
cornu epistulae) è detto ambone d'Aiello, perché la sua
donazione è attribuita alla famiglia dell'arcivescovo Niccolò
D'Aiello (1188-1221). E' a pianta rettangolare su dodici colonne a
fusto liscio con capitelli in cui si ripetono più motivi
ornamentali. Sui pannelli a mosaico si ritrova il motivo del disco
inserito in una cornice a spirale. I capitelli del colonnato,
soprattutto quelli con figure di uccelli, protomi e cornucopie, sono
in stretto collegamento con quelli di analogo soggetto, ma di fattura
meno raffinata, del chiostro di Monreale.
Mosaici: degli ampi
mosaici originari rimangono frammenti dei simboli degli evangelisti
Matteo e Giovanni sull'arco trionfale dell'abside centrale.
Abside di sinistra
Nell'abside di sinistra (nota anche come Cappella del SS.
Sacramento) è raffigurato un Battesimo di Cristo integrato ad affresco
nel XIV secolo.
L'abside di destra - detta Cappella dei Crociati, perché durante la visita di Papa Urbano II (1088-1099), fu istituita una confraternita che si proponeva di raccogliere soldati e fondi per la liberazione del Santo Sepolcro -fu fatta costruire e rivestire di mosaici (1258), da Giovanni da Procida. Il mosaico – fortemente restaurato - al centro della cappella rappresenta San Matteo in trono; al di sopra San Michele Arcangelo, ai lati San Lorenzo, Giacomo, Fortunato e Giovanni. Ai piedi di San Matteo si vede, in piccolissime proporzioni, la figura di Giovanni da Procida (3). Nel sarcofago sono racchiusi i resti di papa Gregorio VII, morto a Salerno nel 1085.
Completa l'insieme dei mosaici rimasti quello bellissimo di controfacciata, risalente agli anni inizi del XIII sec. e raffigurante il patrono S. Matteo benedicente.
La cripta: è
costituita da un’aula in tre navate trasversali al transetto della
Cattedrale, sotto il quale si estende, dalla Cappella delle
Reliquie, semicircolare, che si configura come abside della
navata centrale, e da tre altre cappelle di forma analoga che si
aprono lungo la parete orientale, in corrispondenza delle absidi
della chiesa superiore; ciascuna navata è ripartita in nove campate
con volte a crociera poggianti su colonne. L'aspetto barocco attuale
è dovuto alla radicale trasformazione realizzata da Domenico Fontana
ai primi del '600.
Note:
(1) Secondo una versione
riportata dalla Legenda Aurea, Matteo sarebbe morto in Etiopia e nel
V secolo le sue spoglie sarebbero giunte, dopo svariate
vicissitudini, a Velia (l'antica Elea) nel Cilento nei cui pressi
rimasero sepolte per più di 500 anni sotto una lastra di marmo non
lontano da alcune terme romane. La leggenda vuole che nell’anno 954
una donna di nome Pelagia sognasse San Matteo e che a lei
l’Evangelista indicasse il luogo ormai abbandonato della sua
sepoltura, voluta, anni addietro, da alcuni mercanti della zona,
sollecitandola a esumare le spoglie con l’aiuto del figlio, il
monaco Anastasio. Queti si mosse prontamente, alla ricerca del sacro
corpo nei pressi del fiume Alento, come il Santo aveva ben descritto.
Ritrovato il corpo e avvolto in un bianco lenzuolo, il monaco era
intenzionato a trasportare la salma a Costantinopoli ma, giunto al
porto di Amalfi per imbarcarsi, ne fu impedito, per ben due volte,
dal sopraggiungere di improvvisi temporali. Il monaco nascose quindi
le reliquie in una chiesa non lontana dalla sua cella, la quale era
situata in località “ad duo flumina” nei pressi di Casal Velino,
ed oggi nota come cappella di San Matteo. All’interno della chiesa
è a tutt’oggi presente l’arcosolio sotto il quale è posizionata
una lapide del XVIII secolo a testimonianza dell’evento della
traslazione del Santo da Casal Velino a Salerno, e una copia della
stessa si trova all’ingresso della cripta del Duomo di Salerno. Da
qui, per ordine del vecovo Giovanni, le spoglie dell'evangelista
sarebbero state traslate nella cattedrale di Capaccio (oggi Santuario
della Madonna del Granato) in un sarcofago che fa colà ancora bella
mostra di sè come base dell'altare centrale.
Il principe di Salerno
Gisulfo I,venuto a conoscenza di ciò, incaricò il vescovo Bernardo
di curarne la traslazione a Salerno dove le reliquie dell'evangelista
giunsero il 6 maggio 954 e furono deposte in una chiesa a lui
ridedicata (S.Matteo de Archiepiscopio) sul cui sito insisterebbe la
cattedrale normanna attualmente visibile e nella cui cipta sono oggi
custodite le reliquie.
(2) Giordano I di Capua
(1078-1091) era figlio di Riccardo Drengot e Fredesenda, sorella del
Guiscardo. La sua politica fu altalenante, schierandosi a volte dalla
parte del papato (e quindi del Guiscardo che lo difendeva) e a volte
a fianco dell'imperatore tedesco.
(3) Medico della Scuola
salernitana, Giovanni da Procida (1210-1298) fu anche un fine
diplomatico e uomo politico. Legatissimo alla dinastia sveva fu
incaricato da Federico II dell'educazione del figlio Manfredi al cui
fianco rimase fino al disastro di Benevento (1266). Successivamente
fu uno degli ispiratori della rivolta antiangioina dei Vespri
siciliani (1282).
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