Estensione territoriale del Principato di Salerno nell'851
Siconolfo (839-851): alla morte
del fratello Sicardo, principe di Benevento, che lo aveva esiliato a
Taranto e costretto al sacerdozio, Siconolfo fu eletto principe di
Salerno da coloro che si rifiutarono di riconoscere come legittimo
principe Radelchi, l'assassino di Sicardo. La guerra civile durò tra
alterne vicende oltre un decennio e terminò nell'851 con un accordo siglato
dai due principi, sotto gli auspici del sovrano carolingio Ludovico
II, con cui si spartivano i territori della cosiddetta Langobardia
minor sancendo la nascita del principato salernitano. Morì
nell'inverno dello stesso anno a seguito delle ferite riportate
durante una battuta di caccia. Dalla moglie Itta (probabilmente una
sorella del duca di Spoleto Guido) ebbe il figlio Sicone che gli
successe alla sua morte.
Sicone II (851-853): ancora
minorenne alla morte del padre, fu posto sotto la tutela del conte
Pietro. Dopo appena due anni di reggenza, questi lo depose
costringendolo a rifugiarsi presso la corte di Ludovico II. Secondo
il Chronicon Salernitanum, egli raggiunse la maggiore età
nell'855 e ritornò a Salerno a reclamare il trono, ma fu avvelenato
a Capua da sicari di Ademaro, il figlio del conte Pietro che gli era
succeduto illegalmente al trono.
Pietro (853-855): reggente per
il minore Sicone II, nell'853 lo estromise del tutto dalla gestione
del potere ottenendo il riconoscimento da parte dell'imperatore
carolingio Ludovico II, accanto al quale nell'852 aveva partecipato
al tentativo di strappare Bari ai musulmani. Morì nell'855,
lasciando il trono al figlio Ademaro.
Ademaro (855-861): esercitò un
governo fortemente impopolare soprattutto a causa della sua avarizia.
Durante il suo principato tentò ripetutamente di ristabilire il
controllo sulla città di Capua ma nell'859 le sue truppe, affiancate
da quelle dei duchi di Napoli e Spoleto, furono definitivamente
sconfitte dal conte di capua Landone II nella battaglia di Ponte
Teodemondo. Nell'861 i capuani appoggiarono la rivolta popolare che
lo rovesciò e portò al potere Guaiferio. Imprigionato e accecato,
Ademaro trovò asilo presso il duca di Napoli.
Guaiferio (861-880): figlio di
Dauferio il Muto, giunse al potere grazie all'appoggio della dinastia
comitale capuana – aveva infatti sposato Landaleica, figlia del
conte Landone I – e consolidò la sua posizione, oltre che con
un'oculata distribuzione delle cariche pubbliche e dei beni fondiari,
con una lungimirante gestione del patrimonio familiare in un ambito
territoriale spazialmente più ristretto e controllabile, e
attraverso un'attenta politica a favore della Chiesa.
Al momento della sua morte, il
Principato aveva però perso la sovranità sulla contea di Capua
nonchè Taranto e Matera, strappate al suo controllo da reiterate
incursioni saracene.
Nell'871-872 nel corso di una di
queste incursioni, 30.000 saraceni guidati dal generale Abdallah
giunsero ad assediare la stessa Salerno. Il principe stesso guidò
una fortunata sortita dalle mura in cui sbaragliò gli assedianti nei
pressi del forte oggi detto “La Carnale” proprio in ricordo della
carneficina che avvenne all'epoca.
Nell'880, malato, decise di ritirarsi
nel monastero di Montecassino ma morì durante il viaggio e fu
sepolto nella chiesa del castrum di
Teano. Dalla moglie Landaleica ebbe il figlio Guaimario che alla sua
morte gli successe al trono.
Edilizia: Palazzo e chiesa di
San Massimo (1), Torre di Guaiferio.
Torre di Guaiferio
Nell'871, il principe Guaiferio I fece rinforzare le mura
della città con la realizzazione di quattro nuove torri dislocate
strategicamente per contrastare le continue scorrerie dei saraceni. Oggi la torre - sita nel rione Municipio - si presenta
solo parzialmente agli occhi dei passanti poiché nel corso dei
secoli è stata progressivamente inglobata nelle nuove edificazioni.
È però ben visibile l’accentuata curvatura della liscia e
compatta muratura originaria a cui si è aggiunta una sopraelevazione
relativamente recente, sempre circolare.
Guaimario I (880-900): fu
associato al trono dal padre già nell'877.
Nell'887 – sotto la pressione
congiunta delle sempre più frequenti incursioni saracene e del
duca-vescovo di Napoli Atanasio II (878-898) che mirava ad estendere
i propri domini – si risolse a recarsi a Costantinopoli per rendere
omaggio all'imperatore Leone VI. Il Basileus accettò di buon grado
l'offerta di Guaimario e, rendendolo formalmente suo vassallo, gli
concesse i titoli di patrikios e protospatarios insieme
ad un contingente di mercenari (praesidium) con cui
contrastare la minaccia saracena. In cambio dell'aiuto e degli onori
offertogli, però, Guaimario si sarebbe dovuto impegnare a
riconoscere all'impero bizantino il diritto di poter inviare dei
propri funzionari nel principato di Salerno, affinché lo
affiancassero nell'amministrazione e nella gestione politica del
Principato (2).
Alla fine dell'895, spalleggiato dal
cognato Guido IV di Spoleto - di cui aveva sposato la sorella Itta –
cercò d'impossessarsi del principato benventano ma fu catturato con
l'inganno assieme alla moglie dal gastaldo di Avellino, Adelferio,
che lo fece accecare. Liberato dalle truppe del cognato potè fare
ritorno a Salerno benchè menomato.
Morì nel 901, probabilmente rinchiuso
- già dall'anno precedente, e non si sa se di sua volontà o se per
volere del figlio Guaimario II associato al trono già nell'893 - in
un monastero, forse proprio quello principesco di San Massimo.
Guaimario II (901-946): rimasto
a regnare da solo nel 901, alla morte del padre, inaugurò un periodo
di prosperità per il Principato. Fece restaurare il Palazzo di San
Massimo ed innalzare il campanile della chiesa di San Pietro ancora
oggi visibile. Inizialmente mantenne i buoni rapporti istaurati dal
padre con l'imperatore bizantino da cui nel 903 ricevette a sua volta
il titolo di patrikios. Nel 915, anche se in maniera piuttosto
marginale, partecipò alla campagna indetta da papa Giovanni X contro
lo stanziamento saraceno del Garigliano che nel corso dello stesso
anno venne spazzato via. Ne 929 ruppe l'alleanza con i bizantini e li
attaccò unendo le sue forze a quelle de Principe di Benevento
Landolfo I. L'alleanza si rivelò però ben presto fallimentare e
l'anno successivo, Guaimario tornò ad allearsi con i bizantini.
Sposò in seconde nozze Gaitelgrima,
figlia di Atenolfo I di Capua, da cui ebbe Gisulfo che associò al
trono nel 943 e che gli successe (3).
Gisulfo I (946-978): successe al
padre appena sedicenne, inizialmente sotto la tutela della madre
Gaitelgrima e del tesoriere Prisco. Nel 955 ricevette il titolo di
patrikios dalla strategos di Bari Mariano Argyros. Tra
l'estate del 973 e quella del 974 fu spodestato dallo zio materno
Landolfo che risiedeva a Salerno e che guidò un moto di rivolta di
carattere religioso. Gisulfo fu rimesso sul trono da Pandolfo
Capodiferro, principe di Capua e Benevento, di cui adottò il figlio
naturale (anch'egli di nome Pandolfo) e di cui divenne vassallo.
Sposatosi con Gemma, figlia del
principe di Benevento Landolfo II, non ne ebbe figli e nel 974 –
dopo il suo ritorno al potere - associò al trono la consorte ed il
figlio adottivo.
Pandolfo Capodiferro (978-981):
principe di Capua e Benevento, alla morte di Gisulfo I rivendicò per
se il principato di Salerno proclamandosi difensore dei diritti del
figlio naturale Pandolfo, che dallo stesso Gisulfo I e dalla moglie
era stato adottato. In realtà il suo gesto fu una vera e propria
usurpazione ai danni del figlio, poiché questi non avrebbe avuto
bisogno del suo patrocinio per occupare il trono di Salerno, essendo
stato a questo associato dai suoi genitori adottivi fin dal 974, dopo
l’usurpazione di Landolfo I e di Landolfo II. In realtà
l'occupazione del trono salernitano coronava il progetto lungamente
accarezzato da Pandolfo, come da altri, di riunire l'antico stato
longobardo: infatti sotto il suo scettro venivano a ritrovarsi i
territori capuani, beneventani, spoletini e salernitani, rendendolo
il più potente signore del mezzogiorno d'Italia.
Mansone di Amalfi (981-983): duca di Amalfi, profittando della giovane età di Pandolfo, invase il principato e lo rovesciò dal trono, riuscendo a farsi riconoscere dall'imperatore Ottone II. La grave sconfitta subita dall'imperatore contro i musulmani in Calabria nel 982 e la sua successiva morte nel 983 privarono però Mansone ed il figlio Giovanni che nel fratempo aveva associato al trono, del loro più potente alleato. Giovanni di Lamberto, un longobardo di origini spoletine, che aveva già ricoperto la carica di conte di palazzo durante il principato di Pandolfo II, capeggiò la rivolta che scacciò gli amalfitani e venne eletto principe.
Giovanni II di Lamberto (983-999):
durante il suo principato entrò in contrasto con le autorità
ecclesiastiche nel tentativo – fallito - di mettere le mani
sull'ingente patrimonio della chiesa di San Massimo. Sposatosi con
Sichelgaita, figlia del conte beneventano Adalferio, da cui ebbe ben
sei figli maschi, fondò quindi la chiesa di Santa Maria de Domno
(4), che sottrasse alla giurisdizione del vescovo di Salerno (5). Una
leggenda vuole che osservando un'eruzione del Vesuvio commentò che
senza dubbio qualche ricco scellerato sarebbe morto in breve tempo e
sarebbe finito all'inferno: la notte seguente, morì mentre si
trovava con una prostituta.
Edilizia: chiesa di Santa Maria
de Domno.
Guaimario III (999-1027 c.ca):
fu associato al trono dal padre nel 989, dopo la morte del
primogenito Guido. Si sposò due volte, la prima con una non meglio
identificata Purpura, la seconda con Gaitelgrima, sorella di Pandolfo
IV di Capua, da cui ebbe il figlio Guaimario che alla sua morte gli
successe al trono. Nel 1009, quando nel Catepanato scoppiò la
rivolta antibizantina guidata da Melo e dal cognato Datto, si schierò
politicamente dalla loro parte, tanto che nell'ottobre 1011 il
catepano Basilio Argiro Mesardonites entrò a Salerno per costringere
il principe a piegarsi al volere di Bisanzio e per tentare di
catturare l'esule Datto, rifugiatosi nel monastero di Montecassino.
Il suo regno vide anche l'arrivo delle
prime milizie normanne, grazie al cui aiuto nel 1025 riuscì ad
estendere il suo dominio sulla città di Capua.
Edilizia: patrocinò la
fondazione del monastero della SS.Trinità di Cava de' Tirreni
avviata dal nobile salernitano Alferio Pappacarbone (canonizzato come
santo nel 1893 da papa Leone XIII), che prima di farsi monaco e
ritirarsi a vita eremitica (1011) era stato suo ambasciatore e amico.
Guaimario IV (1027-1052):
associato al trono probabilmente nel 1018, alla morte del padre,
quando si trovò a regnare da solo, aveva all'incirca 14 anni.
Associò quindi al trono per un breve periodo la madre Gaitelgrima.
Si sposò tre volte, prima con una
donna di nome Gemma, poi con Porpora ed infine con un'altra Gemma,
figlia di Landolfo di Capua. Fin dall'inizio del suo regno si impegnò
nell’estendere il proprio controllo sul meridione della penisola,
obiettivo già perseguito dei suoi predecessori. Nel 1035 conquista
Sorrento e ne affida il ducato al fratello Guido. Nel 1038 ottiene
dall'imperatore Corrado II il principato di Capua, mentre al suo
alleato, il normanno Rainulfo Drengot, viene attribuito il titolo di
conte di Aversa con legame di vassallaggio verso Salerno. L'anno
successivo ottiene la conferma della sovranità su Amalfi e nel 1040
su Gaeta. Nel 1042, a richiesta degli alleati normanni, approva
l'elezione a conte di Puglia di Guglielmo Braccio di Ferro, ottenendo
in cambio, l’anno successivo, l'acclamazione a duca di Puglia e
Calabria, in aperta opposizione alle rivendicazioni bizantine su quei
territori. Nel 1046 consolida ulteriormente i suoi legami con i
Normanni dando in sposa la figlia Gaitelgrima a Drogone d'Altavilla,
fratello del defunto Guglielmo Braccio di Ferro.
Nel 1047, però, quella che era stata
per Guaimario l'impresa di una vita è completamente cancellata dalla
discesa in Italia di Enrico III. L'imperatore giunto nel Meridione a
chiedere atto di sottomissione ai principi locali, restituisce Capua
a Pandolfo e pone sotto la propria giurisdizione i domini di Aversa e
di Melfi; infine priva Guaimario del titolo ducale di Puglia e
Calabria, mettendo fine a quella singolare condizione così scomoda
per la sovranità dell’impero. La sorte di Drogone e Guimario è
segnata: il primo cade assassinato il 10 agosto 1051, probabilmente
ad opera di una congiura bizantina; stessa sorte tocca, il 3 giugno
1052, a Guaimario, che cade sotto i colpi dei suoi quattro cognati,
che occupano la città con le armi, ed eleggono principe uno di loro,
Pandolfo III, imprigionando il nipote Gisulfo, figlio di Guaimario e
della loro sorella Gemma nonché legittimo erede al trono.
Pandolfo III (1052): mantenne il
potere per pochi mesi. Fu infatti rovesciato da Guido, duca di
Sorrento e zio paterno del legittimo erede, con l'aiuto dei normanni
di Umfredo d'Altavilla (6), che liberò e rimise sul trono il nipote
Gisulfo.
Gisulfo II (1052-1077):
nonostante dovesse il trono all'aiuto prestatogli dai normanni, il
suo regno fu caratterizzato dalla necessità di contrastarne l'ascesa
e contenerne l'espansione.
Già poco dopo il suo insediamento,
infatti, Umfredo e Guglielmo d'Altavilla s'impardonirono di alcuni
castelli e terre nella parte meridionale del principato,
costituendovi una nuova contea.
Nel 1259 circa, Gisulfo diede in sposa
la sorella Sichelgaita a Roberto il Guiscardo, nel tentativo di
stabilire buone relazioni.
Alla ricerca di nuovi alleati per
contrastare l'ascesa dei normanni, tra il 1061 e il 1062 si recò a
Costantinopoli, dove prese accordi con l'imperatore Costantino X
Ducas che prevedevano un sostanzioso impegno in denaro da parte di
quest'ultimo. Tornato in Italia, quando i normanni attaccarono con
decisione ciò che rimaneva del Meridione bizantino, non partecipò
però in alcun modo al conflitto che terminò con la caduta di Bari
(1071), l'ultimo caposaldo bizantino in Italia.
Nel 1075, papa Gregorio VII, che aveva
recuperato l'alleanza con i Normanni per fronteggiare Enrico IV, e la
sorella Sichelgaita cercarono infruttuosamente di farlo
riappacificare col Guiscardo e nel maggio dell'hanno successivo, il
condottiero normanno cinse d'assedio Salerno mentre le navi degli
amalfitani – a cui il principe era stato sempre ostile
sospettandone la mano dietro l'assassinio del padre – sbarravano
l'accesso al porto. la città cadde la notte del 13 dicembre, ma non
la rocca (l'antico castello di Arechi), dove Gisulfo restò
asserragliato con pochi fidi per tutto l'inverno e parte della
primavera del 1077. Negli ultimi giorni di maggio egli si arrese al
Guiscardo, che lo lasciò andare in esilio presso la corte
pontificia.
Si sposò con una donna di nome Maria,
da cui con certezza si sa soltanto che ebbe una figlia di nome
Gaitelgrima. Fu l'ultimo principe di stirpe longobarda a sedere sul
trono di Salerno.
Note:
(1) La chiesa, oltre a non essere
fruibile, è nascosta all’interno del palazzo che da essa prende il
nome, nella via omonima. L’aula attuale nulla conserva, se non in
parte il sito, della fondazione longobarda, anteriore al giugno 865,
nonostante che comunemente con quella sia identificata, così come
Palazzo San Massimo nulla conserva né della casa del principe
fondatore né del complesso monastico che fu dei benedettini di Cava
de' Tirreni. Fra il settembre 1085 e l’agosto 1094, attraverso una
serie di donazioni da parte dei molti soggetti che nel corso del
tempo avevano acquisito parti del suo patronato, l'intero complesso
pervenne infatti in possesso della badia della SS.Trinità di Cava,
che nel 1664 lo venderà a Bartolomeo de Mauro. Ampiamente
ristrutturato e ampliato prima dai de Mauro, poi dai Parrillo, alla
fine assumerà l’aspetto che attualmente vediamo.
(2) In un documento fatto redigere
nell'899 da Guimario in favore del monastero salernitano di San
Massimo - Codex diplomaticus Casinensis – è
esplicitamente dichiarato che l'autorità e gli onori del
princepe salernitano erano tali per concessione dell'Imperatore
bizantino.
(3) Secondo alcuni storici, dal suo
primo matrimonio con una donna di cui non si conosce il nome oltre ad
una figlia di nome Rotilde, ebbe anche un figlio che associò al
trono nel 916 con il nome di Guaimario III e che scompare del tutto
nel 917. Questo costringerebbe ad una renumerazione dei principi di
nome Guaimario che diventerebbero cinque (cfr. Vincenzo de Simone, I Guaimario principi di Salerno, Rassegna Storica Salernitana, 45, 2006, pp. 271-274)
(5) Salerno fu elevata a sede
arcivescovile probabilmente nel 983.
(6) Alla morte del fratello Drogone,
Umfredo ne aveva sposato la vedova, Gateilgrama di Salerno che era
nipote del duca Guido e sorella di Gisulfo II.
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