Secondo una notizia raccolta da Tertulliano alla fine del II sec., San Giovanni Evangelista avrebbe subito a Roma il martirio con l'immersione in una caldaia di olio bollente e, uscitone illeso, sarebbe stato relegato a Patmos. Il luogo del martirio viene localizzato nei pressi della basilica su via di Porta Latina, ai piedi d'una piccola altura detta nel Medioevo Monte Calvarello, dove esiste un piccolo oratorio – che si presenta oggi nelle forme impressegli dal restauro commissionato al Borromini nel 1658 - dedicato a San Giovanni in Oleo che si ritiene sorgere sul punto esatto dove il santo fu immerso nella caladaia di olio bollente (in oleo).
La chiesa vera e propria dedicata all'evangelista, secondo la tradizione, sarebbe stata costruita sotto papa Gelasio I (492-496); a questo periodo infatti risalgono i resti rinvenuti nell'abside e che dimostrano che la basilica aveva un impianto di tipo orientale, con abside a tre lati preceduta da un avancorpo con i due pastophòria che concludono le navatelle; la tradizione trova conferma nel tipo di muratura (in opera listata a filari irregolari) e nelle tegole del vecchio tetto, di cui una è conservata come leggio, che portano stampigli di epoca teodoriciana (495-526).
Nella seconda metà del XII sec. la chiesa fu oggetto di una ristrutturazione che dovette concludersi entro il 1191 poiché in questa data – come attestato da un'iscrizione dedicatoria oggi collocata sul fronte di un leggio – papa Celestino III (1191-1198) vi fece traslare i resti dei SS. Gordiano ed Epimaco e la riconsacrò.
La chiesa è preceduta da un portico
con quattro colonne di spoglio (di cipollino, di granito bigio, di
granito rosso, di marmo bianco scanalato) che sostengono cinque
archi; i capitelli sono antichi e sono tutti ionici, tranne uno che è
dorico. La porta marmorea è senza sguincio ed ha intorno un ornato
cosmatesco, con una cornice a mosaico in porfido rosso e verde; sopra
è disegnato a monocromo nero un busto del Redentore tracciato su
finto bugnato.
Il portico doveva essere in origine completamente
affrescato, ma l'intonaco è in gran parte caduto sì che ne
rimangono solo alcuni lacerti sulla destra, uno dei quali sembra
rappresentare la folla in ascolto della predica del Battista.
In base
ad alcune similitudini stilistiche con le pitture della chiesa
infriore di San Clemente è stato datato alla fine dell'XI sec.
In un angolo del portico è attualmente
collocata la cuspide originale fatta realizzare dal Borromini per il
vicino già citato oratorio di San Giovanni in Oleo sostituita in
loco da un calco in gesso.
L'interno presenta una pianta
basilicale a tre navate, partite da due file di cinque colonne di
spoglio . I capitelli sono tutti ionici: due antichi, del I secolo
mentre gli altri otto sono stati eseguiti per essere adattati alle
colonne, probabilmente nel V secolo. Le pareti della navata centrale
hanno una fila di monofore a tutto sesto, riaperte dopo il
ritrovamento degli affreschi e la demolizione delle strutture e delle
decorazioni barocche.
da Giovanni Mario Crescimbeni, L'istoria della chiesa di San Giovanni a Porta Latina, 1716
Le navate laterali terminano con due
ambienti rettangolari, in cui sono state ricavate le absidi e
comunicano con il presbiterio mediante arcate. L'abside centrale è
semicircolare all'interno, semiesagonale all'esterno e vi si aprono
tre grandi finestre.
L'esterno dell'abside in una fotografia del 1940, prima della riapertura dei finestroni
La decorazione parietale dell'interno
Arco
trionfale e pareti del presbiterio:
Al centro dell'arco trionfale è
raffigurato il Libro dei sette sigilli (indice dei segreti nascosti
di Dio) che doveva essere sorretto da una cattedra sormontata da
croce gemmata; ai lati, due angeli in atteggiamento riverente e,
dietro di essi, i simboli dei quattro Evangelisti. Sui
peducci dell’arco sono dipinte due figure stanti, da Styger
identificate con Giovanni Evangelista (a destra) e Giovanni Battista.
Il personaggio sulla destra sorregge un volume con l’iscrizione “in
principio erat verbum”, l'incipit del Vangelo di Giovanni. In alto
corre una greca multicolore e prospettica interrotta da riquadri, nei
quali si affacciano busti di angeli dalle mani velate. Una ghirlanda
avvolta da un nastro chiude verticalmente i lati corti dell’arco.
Le pareti laterali del presbiterio ospitano i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file di sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole, estremamente lacunose, inquadravanono gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale, mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi.
L'arco trionfale
Le pareti laterali del presbiterio ospitano i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file di sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole, estremamente lacunose, inquadravanono gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale, mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi.
I 12 vegliardi raffigurati sulla parete sinistra del presbiterio, più in basso i timpani delle edicole con i simboli degli evangelisti Marco e Matteo
L’iconografia delle
pitture dell’arco e del presbiterio è basata sull'Apocalisse
(4-5), i cui prototipi figurativi sono da riconoscere nella pittura
romana di V-VI secolo. A Porta Latina, la traduzione figurata del
tema è però caratterizzata da una contaminazione tra fonti diverse,
rintracciabili non solo in esempi di pittura monumentale
paleocristiana, ma anche nella produzione miniata di VI-X secolo.
Inoltre, l’ipotesi di Krautheimer che vuole la chiesa fondata nel
V-VI secolo, e la notizia di un suo rifacimento nell’VIII, inducono
a ritenere che i soggetti apocalittici dell’Adorazione dei Viventi
e dei Vegliardi, dei due Giovanni e degli Evangelisti, fossero già
stati illustrati sulle pareti del presbiterio prima del XII secolo. Del tutto innovativa è la presenza degli evangelisti nelle pareti del presbiterio, in prossimità dell'altare.
Navata centrale:
Lungo le pareti della
navata centrale le scene vetero e neotestamentarie si succedono con
un andamento anulare che consente una lettura continua dei cicli
scena dopo scena, senza ‘percorsi ciechi’ che obblighino a
ritornare, passando da un registro all’altro, al punto di partenza.
La creazione del Mondo
La sequenza delle scene
della Genesi ha inizio sulla parete destra con la Creazione del
Mondo, e prosegue – dall’abside verso la controfacciata – con
le Storie dei Progenitori, di Caino e Abele, di Noè, di Abramo e di
Giacobbe, per terminare con il Sogno di Giuseppe. Il ciclo continua
sulla controfacciata e, successivamente, sulla parete sinistra fino
all’abside.
Il programma
neotestamentario segue lo stesso percorso, ma si sviluppa lungo i due
registri inferiori delle pareti della navata centrale senza
interessare la controfacciata. Comprendeva originariamente 30 scene a
partire dall'Annunciazione per concludersi con l'Apparizione sul lago
di Tiberiade.
Schema del programma iconografico della navata centrale
Dal momento che il
ciclo delle storie veterotestamentarie scorre parallelo a quello
delle storie neotestamentarie che occupa i due registri più bassi,
vengono a crearsi degli accoppiamenti che non sembrano affatto
casuali. Emblematico è quello tra la scena della Cacciata dal
Paradiso e la Crocefissione correlate dal titulus
che corre al di sotto
dell’episodio veterotestamentario e al di sopra di quello
neotestamentario: «Inmortalem decus per lignum perdidit hoc lignum».
Dove la perdita dello splendore del Paradiso (la parola "decus",
splendore, sottintende "coeli") a causa del legno
dell'albero della Conoscenza verrebbe riscattata dal legno salvifico
della croce.
Cacciata dal Paradiso e Crocefissione
Controfacciata:
Il primo registro della
controfacciata ospita le seguenti scene veterotestamentarie: Il
Lavoro dei Progenitori, Il sacrificio di Caino e Abele, l’Uccisione
di Abele, La condanna di Caino.
Caino e Abele offrono sacrifici al Signore.
Da notare come le fiamme del fuoco si alzino vigorose dal lato di Abele, mentre si levano basse su quello di Caino a simboleggiare la direzione della benevolenza del Signore.
Nel registro inferiore,
separata dalle sovrastanti scene bibliche da una larga cornice a
fasce ondulate, è una versione abbreviata del Giudizio con Cristo
Giudice tra gli angeli. Ai lati del Salvatore, assiso entro un
clipeo, stanno gli arcangeli con globo e cartigli, sui quali Styger e
Wilpert leggevano versi rivolti ai beati e ai dannati (rispettivamente Venite benedicti fratres e Ite maledicti). Due angeli per
parte chiudono il registro. In basso, sotto i piedi del Cristo, è
posto un altare con gli Strumenti della Passione.
La controfacciata
Catino absidale:
Nel catino absidale si trova
un affresco realizzato nel 1715 da Antonio Rapreti sulla base di
cartoni preparatori lasciati dal cavalier d'Arpino. L'affresco –
che raffigura San Giovanni trascinato in giudizio dinanzi
all'imperatore Domiziano – è stato riportato alla luce soltanto
nel 2007 giacchè era stato ricoperto per proteggerlo dai
bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e se ne era persa la
memoria.
Nel 1578 la chiesa fu teatro
di un clamoroso scandalo. Situata fuori mano in una zona spopolata e
immersa nel verde delle vigne e delle ville, era divenuta luogo di
convegno per una conventicola di omosessuali, quasi tutti di
nazionalità portoghese, che vi celebravano riti blasfemi in cui si
giuravano amore e fedeltà matrimoniali. Colti in flagrante a seguito
di una delazione dalla guardia pontificia, undici di loro vennero
arrestati il 20 luglio e rapidamente processati per sodomia con la
conseguente condanna al rogo per otto di loro.
Sarebbe stato carino almeno citare le fonti, visto che il tuo testo è frutto di un copia e incolla della mia tesi di laurea e della tesi della mia collega, Silvia Di Summa.
RispondiEliminahttp://culturacheappaga.blogspot.com/2012/09/i-dipinti-murali-di-san-giovanni-porta.html
EliminaQuesto è il link all'estratto delle vostre tesi disponibile in rete, così tutti i lettori possono rendersi conto. In linea di principio sono comunque poco propenso a citare le fonti quando si tratta del prelievo di brani meramente descrittivi, lo faccio invece abitualmente nel caso di interpretazioni inedite o di particolari notazioni critiche, cos che non è avvenuta in questo caso
Anche le descrizioni non sono mai neutre: è molto importante infatti ciò che si tralascia, ciò che si mette in rilievo, i particolari che si segnalano. Una descrizione fatta bene è preziosa. Quindi le autrici delle tesi andavano nominate e ringraziate, non semplicemente copiincollate. Questa la mia opinione di lettrice e di studiosa.
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