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domenica 7 settembre 2014

La lettera di Isidoro di Kiev a Bessarione

La lettera di Isidoro di Kiev a Bessarione
La lettera fu scritta dal cardinale Isidoro mentre si trovava a Creta in data 6 luglio 1453.


Reverendissimo padre in Cristo e signore, porgo a voi i miei più devoti saluti.


Ho scritto spesso nel passato a vostra Reverenza, dalla quale però non ho ricevuto alcuna risposta; per quale ragione, non so. E' possibile tuttavia congetturare o che le mie lettere non ti siano state consegnate o che le tue lettere non siano state a me recapitate, forse per incuria dei messaggeri; ciò che può essere attribuito anche allo stato di guerra e alle difficoltà della situazione, oppure, terza ipotesi, che la tua Reverenza è adirata verso di noi e ci avversa come pure Dio stesso, che sembra essersi mostrato quasi duro, ostile e avverso nei confronti di quella sventuratissima e infelicissima città che fu un tempo e che dagli stessi empi e ferocissimi infedeli era chiamata Costantinopoli, ora, per rio destino, davvero Turcopoli, al cui ricordo io verso fiumi continui e perenni di lacrime...

E per quel Dio immortale ai cui occhi nulla sfugge e tutto è manifesto, spessissimo ho esecrato e maledetto quel crudele turco che mi ha ferito con una freccia nella parte sinistra del capo di fronte alla porta di un monastero, non così gravemente tuttavia da uccidermi nello stesso istante, per il fatto che ero a cavallo e mi sentivo stordito e la punta di essa aveva perso in buona parte la sua forza. Credo che Dio abbia voluto tenermi in vita, perchè potessi vedere tutte le altre così grandi disgrazie di quella sfortunatissima città...
Ma, al momento presente, sarebbe lungo raccontare tutto ciò, né il tempo me lo permette. In seguito, poiché ho stabilito di venire da voi, con l'aiuto del Signore, vi narrerò di persona molte cose, che oltrepassano la misura di una lettera. Mi terrò soltanto all'essenziale, in modo che voi possiate essere informato della situazione in breve. Ecco come stanno le cose.
Quando lascia Roma verso il mese di maggio dell'anno passato (1), senza avere affatto con me alcun presidio o aiuto, mi preparai al viaggio nel modo migliore che mi è stato possibile e certo, dopo essere uscito dalla città, già al primo colpo di sprone, per così dire, e ai miei primi passi, tutto cominciò ad andarmi a rovescio e in modo sfortunato. Lascio da parte ora i particolari. Intanto ci vollero ben sei mesi per il solo viaggio (2), finchè con qualche difficoltà alla fine giunsi alla sventuratissima città di Costantinopoli il 26 del mese di ottobre e la trovai bloccata e accerchiata da ogni parte dal nemico in armi. Quali discorsi quindi io abbia tentato, che cosa abbia fatto e quali pensieri abbia rivolto nella mia mente, non potrei condensare facilmente né a parole né per iscritto. Nel giro di due mesi la flotta dei cristiani è stata raccolta, radunata e messa d'accordo in modo perfetto e saldo (3), come in altra occasione ho già scritto due volte a vostra reverenza, in modo abbastanza ampio ed esauriente. Quando sembrava che le cose dei cristiani procedessero bene e con soddisfazione, benchè non fosse venuta meno né la volontà dei turchi di assalire la città, né il loro forte desiderio, né la loro brama insaziabile, scrissi a vostra Reverenza pure sopra ogni cosa, sulla mentalità dello stesso Turco, che pensa senza sosta di sottomettere al proprio potere tutto quanto l'orbe terrestre e di distruggere interamente il nome di Cristo. Ed è ciò appunto che il folle medita: prepara un forte schieramento, un esercito stimato tra fanti e cavalieri di circa trecentomila uomini ed una flotta grandissima, di duecentoventi navi fra triremi, biremi e uniremi, più una nave mercantile o rotonda; raduna e ammassa tutti gli artigiani, ogni sorta di proiettili, ogni genere di strumenti, di congegni e artifizi che siano ritenuti adatti per assalire ed espugnare le città, ogni tipo di macchine da getto, bombarde, catapulte, in gran numero e di dimensioni enormi, le cui moli ti sarebbero sembrate cose mostruose e portentose: con questi mezzi alla fine si è impadronito di Costantinopoli. Tra le altre numerosissime macchine da getto, catapulte o bombarde, ce n'erano tre, di cui la prima lanciava proiettili di pietra del peso di quattordici talenti, una seconda di dodici ed una terza di dieci. Mentre le mura con il loro spessore e la loro solidità sopportavano bene i colpi di tutte le altre bombarde minori, non riuscirono invece a tollerare la forza dirompente di queste tre che le battevano in continuazione. Al secondo colpo la più gran parte delle mura e delle stesse torri veniva abbattuta e demolita. Allora abbiamo compreso che si compiva fino in fondo che a lungo si è conservata nelle nostre storie e che dice: “Guai a te, città dai sette colli, quando ti assedierà un giovane, perchè le tue mura fortissime saranno abbattute”. Il Turco riuscì ad abbattere le mura nei pressi della Porta di san Romano ed anche quella parte di esse che si trova tra la Porta della Fonte (4), quella Aurea e l'antica Porta della Ventura (5) e l'altra che si chiama Porta Caligaria. Presso di essa, mentre si combatteva eroicamente, il fortissimo Teodoro Caristeno (6), al momento in cui i nemici irruppero nella città, cadde gloriosamente cercando di opporsi con coraggio e grandissimo valore: quella parte delle mura era infatti la più debole di tutta la città...
Il porto era stato chiuso e bloccato con fortissime catene dal colle di Galata fino alla Porta Bella (7) e cinque triremi veneziane con altre dodici navi mercantili o rotonde di grande stazza impedivano ai turchi di entrare nel porto e avvicinarsi alla catena. Quando i turchi capirono che sarebbe stato inutile sostare in quel punto, si trasferirono nel porto di Dipplocioma [Diplokionion=Due colonne] e qui si disposero in assetto di battaglia.
Pochi giorni dopo il Turco ordinò di aprire una via, spianando la via tra i colli dietro Galata di tremila passi e più per trascinarvi da una parte all'altra del colle di Galata novantadue tra biremi e uniremi, ed essendo riuscito a trasportarle in tal modo all'interno del porto, si impadronì di esso e ne divenne interamente signore. Ha escogitato poi un'altra astuzia straordinaria, ciò che si racconta sia stato fatto un tempo anche da Serse: costruì cioè un ponte e lo fece fare lunghissimo dalla zona di mare di santa Galatina (8) fino alle mura del Kynegon, la cui estensione è più del doppio di quella del famoso ponte sull'Ellesponto fatto costruire un tempo da Serse; su di esso potevano transitare non solo truppe di fanteria, ma anche molti cavalieri. Tentò anche di usare un terzo mezzo contro la città: fece scavare da lontano in direzione di Porta Caligaria cinque cunicoli e delle mine sotterranee per poter entrare di soppiatto nella città. Quando però gli scavatori giunsero in prossimità delle fondamenta delle mura e delle torri e quando già stavano per farle cadere, i nostri scavarono ugualmente dei cunicoli dall'interno della città esattamente nella stessa direzione, e così i nemici, da quella parte, furono posti in fuga e ributtati indietro...
Chi potrà descrivere le macchine da getto, gli ordigni, le catapulte e i congegni, detti ora falconi (9)? Fece costruire più di trecento scale, innalzare bastioni e terrapieni davanti alle mura alti come colli, erigere castelli immensi di legno che superavano le torri esterne della città...
Tra questi preparativi il Turco impiegò cinquantatre giorni, pur continuando l'assedio di Costantinopoli, ma senza giungere ad alcun risultato. La cognizione del futuro è certo una delle cose più difficili: eppure, mentre essa rese ciechi gli occhi della nostra mente, li aprì invece a lui, a tal punto che egli riuscì a tenere sotto controllocon grande precisione sia la furia della battaglia, sia il giorno e l'ora dell'assalto. Ha infatti a sua disposizione astrologi persiani molto scrupolosi, ed è appoggiandosi ai loro suggerimenti e alle loro decisioni che spera di riuscire ad ottenere il dominio supremo ed assoluto. Il giorno 29 maggio da poco trascorso al sorgere del sole, quando i suoi raggi colpivano i nostri negli occhi, i turchi investendo per mare e per terra la città assalirono quella parte di mura presso la Porta di San Romano che era quasi interamente distrutta, dove si trovavano molti uomini valorosi latini e greci, ma senza il loro re e imperatore, che era già stato ferito e trucidato e il cui capo fu poi presentato in dono al Turco, il quale alla sua vista esultò per la grande gioia, lo coprì di ingiurie e di insolenze e subito dopo lo inviò come trofeo ad Adrianopoli. Assieme a lui si trovava un condottiero il cui nome era Giovanni Giustiniani, che molti accusano di essere stato la causa prima della presa e di così grande catastrofe. Ma lasciamo stare. La scalata alle mura in quella parte era d'altronde facile, perchè, come si è già detto, essa era stata buttata giù e quasi diroccata interamente dai colpi delle bombarde, per cui fu facile ai nemici irrompere nella città, non trovandosì lì nessuno in grado di contrastare l'impeto dei nemici e di difendere quel punto. Era cosa incredibile vedere la città che da una parte si difendeva tutta quanta all'interno delle mura e dall'altra all'esterno era assalita... Tutte le vie, le strade ed i vicoli erano pieni di sangue e di umore sanguigno che colava dai cadaveri degli uccisi e fatti a pezzi. Dalle case venivano tirate fuori le donne, nobili e libere, legate tra loro con una fune al collo, la serva assieme alla padrona e a piedi nudi, per lo più, e così pure i figli, rapiti con le loro sorelle, separati dai loro padri e dalle loro madri, erano trascinati via da ogni parte. Avresti potuto vedere – o sole, o terra! - schiavi e servi turchi d'infimo grado portar fuori e spartirsi fanciulle giovanissime e nobilissime, laiche e religiose, trascinarle fuori dalla città, non come buoi o pecore o altri animali domestici e mansueti, ma come se fossero un gregge indomabile di fiere spaventevoli, selvagge e crudeli, circondate tutt'attorno da spade, sicari, guardie e assassini...
Appena fu loro possibile buttarono giù e fecero a pezzi nella chiesa che si chiamava Santa Sofia e che ora è una moschea turca, tutte le statue, tutte le icone e le immagini di Cristo, dei santi e delle sante, compiendovi ogni sorta di nefandezza. Saliti come invasi sul ripiano dell'ambone, sulle are e sugli altari, si facevano beffe, esultando, della nostra fede e dei riti cristiani e cantavano inni e lodi a Maometto. Abbattute le porte del santuario [l'iconostasi], ghermivano tutte le cose sacre e le sante reliquie e le gettavano via come cose spregevoli e abbiette. Preferisco passare sotto silenzio ciò che han fatto nei calici, nei vasi consacrati, sui drappi. I paramenti intessuti d'oro con le immagini di Cristo e dei santi li usavano come giacigli in parte per i cani, in parte per i cavalli. Calpestavano con i piedi gli Evangeli ed i libri delle chiese, abbattevano monumenti di marmo lucido e splendente, tutto facevano a pezzi...
Come io sia sfuggito dalle loro empie mani, lo potrai apprendere tra breve quando arriverò in Italia, e allora saprai tutto. Poiché il Turco medita certamente di passare in Italia con una schiera fortissima ad un grandissimo esercito, si presume che abbia approntato trecento triremi, tra piccole e grandi, e più di venti navi mercantili grossissime, ed anche un esercito di fanti e cavalieri di un numero straordinario: ritieni anche tu tale notizia del tutto veritiera, io non dubito che ciò avverrà, se è vero che ogni giorno egli ascolta in arabo, in greco e in latino la vita di Alessandro Magno. Proprio per questo inviando senza indugio da Creta una piccola nave consegnai a fra Giovanni delle lettere per il santissimo signore nostro il papa, per il sacro collegio dei cardinali, e così pure per il re d'Aragona (10) e per le più grandi città d'Italia come anche per la vostra Bologna (11), esortando tutti, sollecitandoli e stimolandoli a volgere il loro sguardo e la loro attenzione ad annientare questi infedeli. Per cui anche vostra Reverenza, a cui auguro di vivere a lungo sana e salva, si degni di venire incontro a quest'opera salutare, pia e necessaria

Devoto in tutto alla tua Reverenza
Isidoro cardinale
Creta, 6 luglio 1453.


Note:

(1) Isidoro partì da Roma il 20 maggio 1452 e giunse a Costantinopoli il 26 ottobre dello stesso anno.
(2) Il cardinale fece una lunga sosta a Chio – dove invitò l'arcivescovo Leonardo ad unirsi alla delegazione - per reclutare uomini e imbarcare vettovaglie. A quanto pare ebbe qualchè difficoltà ad ottenere dai mercanti genovesi quanto richiedeva.
(3) Allude alla chiusura del porto con la catena e allo schieramento delle navi cristiane dietro di essa.
(4) Porta Fontis nel testo latino. E' la cosiddetta Porta pegana che deve il nome alla vicinanza fuori le mura del monastero della Zoodochos peghé dove c'era appunto una fonte miracolosa (peghé). Dopo la conquista ottomana cominciò ad essere chiamata Porta di Selymbria.

Porta pegana

(5) Va identificata con la Porta Xylokerkos (Porta dell'Ippodromo di legno), nei cui pressi, attraverso una posterla detta Kerkoporta, avvenne una prima infiltrazione delle truppe turche.
(6) Nobile bizantino responsabile della difesa di Porta Caligaria, probabilmente sostituito alla sua morte da Emanuele Goudelas e dai genovesi Gerolamo Italiano e Leonardo da Langasco che precedentemente combattevano alla Porta Xylokerkos.
(7) Porta Pulchra nel testo latino. E' la Porta di Neorion, che dava sul porto omonimo. L'appellativo di Porta Bella (Horaia) potrebbe derivare dalla corruzione dell'antico toponimo oppure da abbellimenti realizzati nel corso del restauro della porta negli ultimi anni dell'impero.
(8) La zona dovrebbe corrispondere a quella dell'attuale Kasimpasa.
(9) Pezzo d'artiglieria intermedio tra la bombarda e la colubrina.
(10) Alfonso V d'Aragona (1416-1458). Dal 1442 era divenuto anche re di Napoli.
(11) Al momento in cui venne scritta la lettera, il cardinale Bessarione ricopriva la carica di legato pontificio a latere per la città di Bologna, la Romagna e la Marca di Ancona.

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