domenica 30 marzo 2014

La basilica di S.Maria dell'Assunta, Torcello (parte seconda)

L'apparato musivo (la storia e l'architettura della basilica sono trattati nella parte prima)

Abside


Al centro del catino si staglia, in posizione eretta ed avvolta dal maphorion blu, la Vergine Hodeghitria. Sul registro inferiore dell'abside sono invece raffigurati gli Apostoli. L'Hodeghitria dovrebbe essere opera di maestranze bizantine del XII sec. Mentre gli apostoli andrebbero attribuiti a maestranze locali comunque avvezze ai modelli bizantini. Agli stessi mosaicisti dell'Hodeghitria va anche attribuita l'Annunciazione raffigurata sull'arco trionfale. Il mosaico raffigurante gli Apostoli si sovrappone peraltro ad una decorazione a fresco, eseguita nell'XI secolo e di cui restano frammenti nella parte inferiore del cilindro absidale, in cui erano rappresentati o gli stessi Apostoli o vescovi del clero locale.

Diakonikon


Nel catino del diakonikon è raffigurato il Cristo Pantocrator, in trono tra gli arcangeli Michele e Gabriele, che sovrasta le figure di quattro Dottori della Chiesa (Ambrogio, Agostino, Martino di Tours e Gregorio Taumaturgo): il Cristo è quasi sicuramemte opera di mosaicisti costantinopolitani o comunque bizantini, mentre a maestranze italiane vanno senz'altro attribuiti i quattro Dottori. Tutti i mosaici del diakonikon vanno assegnati alla fine dell'XI secolo. A questo periodo appartiene anche la volta a crociera, decorata con un motivo di ascendenza ravennate: l'Agnus Dei entro un clipeo, da cui partono quattro festoni fitomorfi lungo le diagonali, sostenuto negli spazi di risulta da quattro angeli, di cui due tronchi al busto nei lati più lunghi (la sezione della volta è rettangolare).


 Il soggetto – per la sua somiglianza con quello della volta del presbiterio della chiesa ravennate di S.Vitale -  ha fatto ritenere a lungo che il mosaico potesse risalire alla prima fase architettonica della basilica (VII sec.): si tratta invece della riproposizione di temi iconografici e modelli paleocristiani tipica dell'età comnena.

Nel grande mosaico, realizzato sulla controfacciata tra l'XI ed il XII sec., sono raffigurate L'Apoteosi del Cristo ed il Giudizio Universale. Il racconto, articolato in sei sequenze, si legge dall’alto verso il basso, vale a dire dalla Crocifissione posta alla sommità (in cui il Cristo crocefisso è affiancato dalla Vergine e da san Giovanni) alla Separazione degli eletti dai dannati.


L'Anastasis

Cristo impugna la croce a doppia traversa e schiaccia il diavolo rannicchiato ai suoi piedi tra i frammenti dei chiavistelli e le ante divelte delle porte dell'Ade (che richiamano la croce), con la destra solleva Adamo mentre Eva è implorante alle sue spalle coprendo con il velo la mano che ha colto il frutto proibito.
A destra il Battista indica il Risorto, dietro di lui i 16 profeti (Isaia dovrebbe essere il primo a destra).
A sinistra i due re Davide e Salomone.
A destra e sinistra a gruppi di tre nelle grotte schiere di giovani che plaudono al Salvatore.
Alle estremità della composizione sono poste le imponenti figure degli Arcangeli Michele e Gabriele, in una mano reggono il globo crucisignato e nell'altra il labaro che la Guardia imperiale teneva alzato solo in presenza dell'Imperatore.


La corte celeste

Al centro Cristo in una mandorla mostra le piaghe della Passione, a destra e sinistra la Vergine e il Battista e due angeli riccamente vestiti.
Due serafini sostengono la mandorla da cui sgorga il fiume di fuoco (un fiume di fuoco colava e sgorgava davanti al trono, Deuteronomio, VII,10) che va ad alimentare le fiamme dell’Inferno.
Ai lati del Cristo giudice gli apostoli a 6 per parte, a sn., guidati da S.Pietro con in mano le chiavi, a ds., da S.Paolo che regge il libro delle Lettere.

Etoimasia
(particolare)

Sul trono il manto del giudice e il libro della vita, dietro la croce a doppia traversa e gli altri strumenti della Passione custoditi da due serafini. Ai piedi del trono Adamo ed Eva s’inginocchiano in rappresentanza di tutta l’umanità. Ai lati gli Arcangeli Michele e Gabriele.
A destra dell’Etoimasia un angelo arrotola la volta celeste (e il Cielo si ritirò come un volume che si arrotola, Apocalisse, VI,14). Alle estremità della composizione due coppie di angeli suonano le trombe del giudizio e risvegliano i morti dal mare e dalla terra (vedi sopra l'immagine completa del mosaico). Sulla destra, dove il mare restituisce i suoi morti, è raffigurata Anfitrite, la sposa di Poseidone e regina del mare.

Il registro sottostante presenta al centro la Psicostasia, sulla sinistra le schiere dei beati e sulla destra quelle dei dannati.

Psicostasia

S.Michele pesa le anime con i demoni che cercano di far pendere la bilancia dalla loro parte rovesciandovi i peccati che traggono dai loro sacchi e otri.
Nella lunetta la Vergine in posizione di orante con l'invocazione:

Virgo di(vinum) natum prece pulsa, terge reatum
(O Vergine prega il divino nato, purifica il peccato)

I beati

Disposti in quattro gruppi a schema triangolare:
1 gruppo: ecclesiastici, tra cui si riconoscono con il loros a crocette, S.Gregorio di Nazianzo e S.Basilio (barba e capelli scuri)
2 gruppo: martiri, S.Teodoro stratelatos, con il manto riccamente decorato.
3 gruppo: monaci, S.Eutimio (barba bifida), S.Antonio e forse S.Saba.
4 gruppo: S.Maria Egiziaca (braccia e gambe stecchite), una monaca, S.Caterina di Alessandria, con una ruota come fibbia del manto, vestita come la Giovannina del corteo di Teodora in S.Vitale.

I superbi

Sospinti da due angeli sono qui raffigurati i superbi, tra i quali si distinguono (cerchiati in rosso):
1. Costantino V Copronimo (741-775), in basso a sinistra, il maggiore responsabile delle persecuzioni iconoclaste.
2. Nestorio, calvo e con il loros intrecciato e le 2 crocette, l'eresiarca.
3. Eudossia (Aelia Eudossia), in alto e col diadema, la moglie dell'imperatore Arcadio (395-408) che perseguitò S.Giovanni Crisostomo.
Lucifero siede sul dorso del Leviatano (è re su tutte le fiere più superbe, Giobbe, 41,26) e tiene in grembo - su di una falda verde, simbolo della speranza nel male - l'Anticristo in blasfema contrapposizione alla Vergine Hodighitria nel catino absidale e ad Abramo nel riquadro raffigurante il Paradiso.

Nel registro più basso, ai lati della porta d'ingresso, a sinistra il Paradiso e a destra gli altri sei gironi infernali.

Il Paradiso

Da ds.a sn.: S.Pietro, S.Michele; un cherubino a guardia della porta, il buon ladrone con la croce, la Vergine in posizione di orante, Abramo che tiene in grembo il Salvatore* e le schiere degli eletti in numero di 12 secondo il testo dell’Apocalisse (dodicimila per ognuna delle 12 tribù d’Israele).
* La figura in braccio ad Abramo è usualmente identificata con quella del Salvatore. A.A. Vitello (cfr. commento) ha però fatto notare come la mancanza di aureola sia incompatibile con l'iconografia del Cristo. Suggerisce invece in maniera convincente l'identificazione con la figura del mendicante Lazzaro che compare nella Parabola del ricco e di Lazzaro nel Vangelo di S.Luca:
C'era un uomo ricco, che era vestito di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti (Luca, XVI, 19-25).

Questa interpretazione è sostenuta anche dalla presenza, nel pannello raffigurante i dannati, del ricco Epulone (1) nell'atto di chiedere dell'acqua.

L'Inferno

Da sinistra a destra: Lussuriosi (tra i quali il ricco Epulone è l'unico raffigurato a figura intera), Golosi, Iracondi (immersi in acque gelide), Invidiosi (con i crani rosi dai vermi), Avari (rappresentati con le teste ingioiellate), Accidiosi (rappresentati come teschi ed ossa umane disperse).
Da notare che i tre peccati principali ricordati da S.Giovanni (Superbia, Lussuria, Avarizia) sono nei riquadri rossi.

La decorazione è opera in gran parte di maestranze veneziane della fine dell'XI secolo o al massimo dell'inizio del XII (2). Alcune parti furono ricomposte da mosaicisti bizantini e veneziani alla fine del XII secolo, e fra queste parte della Corte celeste, l'angelo della Psicostasia e la Vergine entro la lunetta (quest'ultima con caratteri decisamente più occidentali).
Purtroppo molte parti del mosaico sono state arbitrariamente restaurate nel XIX secolo, alterando irreparabilmente la loro qualità.

Note:
(1) Il nome di Epulone (dal latino epulo che, nell'antica Roma, era il nome del sacerdote adibito all'organizzazione dei banchetti pubblici in alcune ricorrenze religiose), in riferimento all'uomo ricco della parabola, non compare nel testo evangelico ma viene usato a partire dal V secolo. 

(2) Una versione della scena del Giudizio, quasi identica a quella rappresentata nel mosaico di Torcello, è riprodotta su una tavoletta d'avorio attualmente conservata presso il Victoria and Albert Museum di Londra.


L'avorio è stato datato all'XII sec, ed identificato come manufatto prodotto in area veneto-bizantina da  A.S. Keck (A Group of Italo-byzantine Ivories, Art Bulletin n.12, 1930)

























sabato 29 marzo 2014

La Basilica di S.Maria dell'Assunta, Torcello (parte prima)

La Basilica di S.Maria dell'Assunta, Torcello


L’aspetto e la dedica attuali sono quelli impressi all’edificio dalla ristrutturazione voluta dal vescovo Orso Orseolo (1008 circa), figlio del doge Pietro II Orseolo (991-1009), mentre la prima fabbrica – di cui rimane solo parte della facciata occidentale inferiore - risale al VII sec. e, edificata per volere dell’esarca di Ravenna Isacio (625-643), fu consacrata e dedicata alla Madre di Dio dal vescovo Mauro nel 639, come recita un'epigrafe ancora oggi visibile nel presbiterio della chiesa (1).
La basilica presenta attualmente una pianta a tre navate con porticato antistante a sei colonne, frutto di rimaneggiamenti successivi.

 
Il Battistero
Risale alla prima fabbrica (VII sec.) e presenta una pianta circolare all’esterno che racchiude all'interno un colonnato ottagonale. Accanto alla porta principale sul lato est, due nicchioni che probabilmente accoglievano due altari. Al centro si nota la fonte battesimale. Precede la basilica con evidente funzione liturgica d’introduzione (2).
 
 
 
 
La facciata occidentale
E' ripartita in sei nicchie da sette lesene e tagliata poco sopra il raccordo delle navate laterali (forse dove terminava il prospetto del IX sec). Le due finestre ad occhio e le due centinate che si vedono furono accecate per realizzare il mosaico della controfacciata come anche quelle centinate delle navate laterali. In alto, in marmo, lo stemma del vescovo Pietro Nani a ricordo dei restauri del 1423.
 
 
Veduta laterale del portico a sei colonne antistante la chiesa
 
Il lato meridionale
Solo sul fianco della navata sud sono aperte sei finestre, le quattro centrali delle quali presentano imposte in pietra d’Istria. La muratura è scandita da paraste.
 
 
 
La facciata orientale
 
 
L’abside principale presenta un’absidiola in corrispondenza della cripta e al centro una finestra protetta da listello paracqua.
Le absidi laterali sono ripartite da lesene che terminano con una mensolina decorata a crocetta.
 
 
L’abside centrale sembra risalire alla chiesa del VII sec., successivamente sopraelevata, mentre le due laterali sembrano risalire al IX sec. (3) – per la differenza delle decorazioni – rimaneggiati durante la ristrutturazione orseoliana.
La quarta abside, posta in corrispondenza della sacrestia e ripartita da lesene, è di epoca ancora successiva.
Al di sopra dell’abside centrale s’innalza un sistema articolato da quattro paraste a simulare una galleria cieca.
 
 
 
Il campanile
Alto 55 m., è opera del XII sec, è ripartito lateralmente da lesene, con la cella campanaria ripartita a sua volta da tre colonnine con arco a piedritto.
 
 
Note:
 
(1) L'epigrafe lapidea fu scoperta murata alla base di uno dei muri del presbiterio nel 1895. Quando si tentò di estrarla, la pietra si spezzò in numerosi frammenti. Fu quindi restaurata e ricollocata, nel 1954, su uno dei muri vicini all’altare maggiore.
L'iscrizione recita:

[ IN N(OMINE) D(OMI) ] D(E)I N(OSTRI) IH (S) V XP(ISTI), IMP(ERANTE) D(OM)N(O)
N(OSTRO) HERA||
[CLIO P(ER)P(ETVO)] AVGVS(TO), A[N](NO) XXVIIII IND(ICTIONE) XIII FACTA ||
[ EST ECCL(ESIA) S(ANC)]T(E) MARIE D(E)I GENET(RICIS) EX IVSS(IONE) PIO ET ||
[DEVOTO D(OM)]N(O) N(OSTRO) ISAACIO EXCELL(ENTISSIMO) EX(AR)C(HO)
PATRICIO ET D(E)O VOL(ENTE) ||
[DEDICATA PR]O EIVUS MER[IT(IS)] ET [EI]VS EXERC(ITV). HEC FABR(ICA)T(A)ES[T] ||
[A FUNDAM(ENTIS) PER B(ENE) ] MERITVM M [A]VR[ICIV]M GLOR[I]OSVUM
MAGISTROMIL(ITVUM) ||
[PROV(INCIE) VENETI]AR[VM] RESE[D]EN[T]EM IN HVNC LOCVM SVVM ||
[CONSECRANTE] S (ANC)T(O) ET [REV(ERENDISSIMO) MAVRO E]PISC(OPO) HVIVS
ECCL(ESIE) F(E)L(I)T(ER).”
[ ] = lacuna; ( ) = abbreviazione
 
 
In nome di Gesù Cristo nostro, durante l'impero del nostro signore Eraclio sempre Augusto, nell'anno ventinovesimo, indizione tredicesima, è stata fatta la chiesa di santa Maria Madre di Dio, secondo le disposizioni ricevute dal pio e devoto signore nostro il patrizio Isacco eccellentissimo esarca e, per volontà di Dio è stata dedicata per i suoi meriti e il suo esercito.
Questa è stata fabbricata dalle fondamenta dal benemerito Maurizio glorioso magister militum della provincia delle Venezie che risiede in questo luogo suo con la consacrazione del santo e reverendissimo Mauro vescovo di questa chiesa.
Felicemente
 
(2) L'anteposizione del battistero al portico o nartece (il luogo dove avveniva la catechesi) ricorre anche nella basilica di Aquileia (IV sec.).

(3) Nel IX sec. il vescovo Adeodato II (864-867) fece allungare l'abside e stendere il pavimento musivoa tessere bianche e nere e motivi floreali.

 
L'apparato musivo all'interno della basilica è trattato nella seconda parte

 


 
 

 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



domenica 16 marzo 2014

Porta Salaria

Porta Salaria

 
La Porta consentiva alla via Salaria il passaggio attraverso le Mura Aureliane.
Sebbene in qualche fonte scritta ricorra il nome di Porta Sancti Silvestri, in quanto la via Salaria porta alle Catacombe di Santa Priscilla dove san Silvestro papa (314-335) era sepolto, a differenza di molte altre porte, Porta Salaria non ricevette un nome cristiano durante il Medioevo, probabilmente perché il traffico sulla via Salaria, importante arteria per il trasporto di sale, era ancora notevole, e questa caratteristica della via era ancora predominante su qualsiasi altra utilizzazione della stessa.
La porta era ad un solo fornice, con un arco in pietra sormontato da una cortina in mattoni, ed era affiancata da due torri semicircolari, l'occidentale delle quali (secondo J.A.Richmond) risaliva alla originaria cinta aureliana, come quella orientale di Porta Pinciana e quella occidentale di Porta Latina.
Il fatto che le due torri non fossero coeve sembra suffragato dalle loro diverse dimensioni: quella orientale aveva infatti un diametro di quasi 7,60 metri, mentre l’altra raggiungeva i 9,20. Non si può escludere che anche le altezze fossero diverse. Come per il resto delle Mura Aureliane, anche la Porta Salaria includeva costruzioni preesistenti, alcune tombe del Sepolcreto Salario (tra i più vasti e antichi cimiteri dei dintorni dell’Urbe) vennero infatti completamente inglobate nelle torri, con i rivestimenti in travertino spiccanti sullo sfondo della struttura in mattoni.
Durante il restauro voluto dall'imperatore Onorio (403), venne rinforzato l'arco, completandolo con parti in opus mixtum, e sopra di esso vennero aperti tre finestroni ad arco.
Il 24 agosto 410 da questa porta entrò il re visigoto Alarico, dando inizio al sacco della città. L’equivoco e dubbio atteggiamento tenuto, nella circostanza, da Onorio, non sembra privo di responsabilità nell’avvenimento, e il fatto che i battenti della porta fossero solo socchiusi, benché Alarico fosse accampato lì nei pressi, sembrerebbe accreditare i sospetti di una certa connivenza da parte dell’imperatore.
Nel 537 il tratto di mura tra la Porta Salaria e il Castro Pretorio fu teatro dell'inutile assedio dei goti di Vitige contro le truppe bizantine di Belisario asserragliate in città.
Il 20 settembre 1870 il tratto di mura tra Porta Pia e Porta Salaria (il più debole anche perché più esposto) fu lo scenario della fine del potere temporale dei papi.
Dopo cinque ore di cannoneggiamento fu possibile all'artiglieria del Regno d'Italia aprire una breccia nelle mura, la cosiddetta "Breccia di Porta Pia".
La Porta Salaria fu così danneggiata da questo attacco, che l'anno seguente venne demolita, per poi essere ricostruita nel 1873 su progetto di Virginio Vespignani.
 
Porta Salaria ricostruita dall'arch. Vespignani in una fotografia del 1890
 
Nel 1921 fu deciso di rimuoverla definitivamente, per facilitare la viabilità, e al suo posto si apre ora Piazza Fiume.
 
Piazza Fiume
 
Nell'immagine sottostante si nota parte del tracciato originario della porta disegnato dai sampietrini che furono disposti per evidenziarlo (ma successivamente alterato dai lavori per i sottopassaggi). Tra il marciapiede e il salvagente dell'autobus è ancora visibile un frammento dell'antico basolato. Alla destra dell'uomo aggetta verso la Salaria la sagoma della torre di destra della porta.
 
 
Il tratto di mura occidentale ospita esternamente, ottimamente conservata, l'unica latrina sospesa preservata delle 260 presenti nelle mura, costituita da una sporgenza semicilindrica poggiante su due mensole di travertino.
 
Latrina pensile
 
 
 
 

lunedì 3 marzo 2014

Costante II (641-668)


Costante II (641-668)

Costante II
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Costantinopoli
651-654 
 
Alla morte di Eraclio (641) il trono fu diviso fra il figlio maggiore Costantino III, figlio della prima moglie Eudossia, ed Eracleona (diminutivo di Eraclio), il figlio avuto dalla seconda moglie (e nipote) Martina.
Costantino III governò solo tre mesi prima di morire di tubercolosi lasciando sul trono il fratellastro con la madre come reggente. Il figlio di Costantino III e della moglie Gregoria, di nome Costantino Eraclio ma da tutti chiamato con il diminutivo di Costante, fu escluso dal trono.
Il generale armeno Valentino Arsacido (Arsakuni) – che era stato nominato da Costantino III - appoggiò però la sua causa e costrinse Martina ed Eracleona ad accettare la nomina di Costante a co-imperatore.
Dopo 6 mesi il generale condusse le sue truppe nella capitale e depose Eracleona e la madre (1). In questo modo nel novembre del 641 Costante divenne unico imperatore all’età di 11 anni sotto la tutela del senato e del nuovo Patriarca Paolo II (641-653) fino al raggiungimento della maggiore età (648). Valentino Arsacido fu ricompensato con la carica di Comes excubitorum – comandante della guardia imperiale – ed assunse una posizione a corte molto influente, dando in moglie al giovane imperatore la propria figlia Fausta. Nel 644 cercò di rovesciare il genero ma il suo tentativo fu stroncato dalla ferma opposizione del Senato e del Patriarca e morì linciato dalla popolazione della capitale insieme ai suoi sostenitori.

Poiché la controversia sul Monotelismo era causa di disordini interni, nel 648 Costante II promulgò un editto (Typos) con cui vietava ai suoi sudditi di discutere ulteriormente sul monotelismo. L'imperatore chiese quindi a papa Martino I, eletto al soglio pontificio il 5 luglio 649, di sottoscrivere l'editto. Al rifiuto opposto dal pontefice, che considerava l'editto un rafforzamento di quello dell'Ekthesis promulgato da Eraclio I (638) a favore del Monotelismo, l'imperatore rispose rifiutandosi di ratificare la sua elezione. Martino I reagì convocando un sinodo in Laterano, che si svolse in cinque sedute tra il 5 e il 31 ottobre 649 e in seguito alla quale vescovi e monaci ortodossi (tra cui numerosi greci residenti a Roma) condannarono come eretici i patriarchi monoteliti Sergio, Pirro e Paolo di Costantinopoli e Ciro di Alessandria.

Nonostante il fatto che ad essere accusati di empietà ed eresia non fossero direttamente gli imperatori Eraclio e Costante II ma solo i patriarchi, la condanna inasprì le relazioni politiche tra Costantinopoli e Roma, anche perché le decisioni sinodali si opponevano fermamente agli editti imperiali dell’Ekthesis e del Typos.
Costante inviò in Italia il nuovo esarca di Ravenna, Olimpio, che vi giunse mentre il sinodo era ancora riunito, con l'ordine di far sottoscrivere il Typos da tutti i 105 vescovi presenti e arrestare papa Martino I.
Secondo il Liber pontificalis, l'esarca dopo inutili tentativi di insinuare divisioni nel fronte ecclesiastico, si decise ad assassinare il pontefice. Un suo spatario avrebbe dovuto colpire il papa nel momento in cui questi si accingeva a dare la comunione all'esarca durante la funzione nella chiesa di S.Maria ad Praesepem (l'attuale S.Maria Maggiore). L’intervento divino salvò il papa: lo spatario fu reso cieco proprio nel momento in cui il pontefice porgeva la comunione a Olimpio.
Dopo il fallito attentato, l'esarca, convintosi che il papa era protetto dalla mano di Dio, lo mise a parte degli ordini ricevuti e – probabilmente con il suo appoggio – diede inizio alla secessione da Bisanzio della provincia italica (650). Spostatosi con il grosso dell'esercito in Sicilia per ragioni non del tutto chiare e posto il suo quartier generale a Siracusa, vi morì (652-653) nel corso di una epidemia di peste.

***

Dopo la morte di Olimpio, il nuovo esarca d'Italia, Teodoro Calliopa, procedette senza indugio contro papa Martino I, accusato di alto tradimento per aver appoggiato la ribellione.
All'avvicinarsi dell'esarca e del suo esercito alla città, il papa, già infermo, si rifugiò nella basilica lateranense.

Simone Martini, Papa Martino I (identificato da Künstle)
Cappella di san Martino, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi
1312-1317

Lunedì 17 giugno 653 una squadra armata irruppe nella basilica e consegnò ai presbiteri gli ordini dell'esarca: il papa era da considerarsi deposto e doveva essere condotto a Costantinopoli; sarebbe stata effettuata una nuova elezione. A condizione che il suo clero potesse accompagnarlo, Martino, per evitare spargimenti di sangue, si dichiarò pronto a presentarsi nel palazzo del governo sull’Aventino. Da lì, nella notte tra il 18 e il 19 giugno, venne condotto in segreto su una lettiga fino al Tevere e – senza bagaglio né seguito – accompagnato in barca a Porto dove fu caricato su una nave che doveva condurlo a Costantinopoli.
Il 17 settembre, dopo una lunga sosta nell'isola di Nasso, il papa raggiunse la città imperiale. Fino a sera il prigioniero, privato della sua dignità, venne lasciato sull’imbarcazione, e poi fu condotto dalle guardie in barella nel carcere di Prandearia, dove seguirono novantatré giorni di isolamento.
Il 20 dicembre finalmente fu avviato il procedimento davanti al sacellarius con la partecipazione di testimoni. Dall’interrogatorio si deduce che l’accusa era incentrata esclusivamente sull’alto tradimento e si evitò accuratamente di far riferimento a problemi teologici e a posizioni di fede.
L’interrogatorio si concluse frettolosamente, fu pronunciato il verdetto di condanna a morte, fecero il loro ingresso gli aiutanti del carnefice che spogliarono il pontefice dei suoi abiti ecclesiastici, gli misero la gogna e lo trascinarono attraverso la città fino al pretorio dove fu rinchiuso nella prigione di Diomede. Qui apprese che il patriarca Paolo II, ormai morente, era riuscito ad ottenere dall'imperatore la commutazione della pena.
Il 17 marzo 654 gli fu comunicata la sentenza definitiva: l’esilio a Cherson sul Mar Nero che raggiunse il 15 maggio.
Martino I morì a Cherson il 16 settembre 655, e alcuni suoi fedeli lo seppellirono davanti alle mura della città nel Monastero di S.Maria ad Blachernas.

***

Nel 660 Costante condannò a morte il fratello Teodosio, che aveva costretto a farsi prete, con l’accusa di tradimento. I motivi reali del fratricidio non sono ancora ben chiari agli storici. Quel che è certo è che a causa dell’assassinio del fratello la sua popolarità calò di molto, al punto che il popolò iniziò a chiamarlo “caino”.
Nello stesso anno Costante organizzò una grande spedizione militare in Occidente.
Lasciato il figlio maggiore Costantino come co-imperatore a Costantinopoli, alla testa di contingenti dei temi Opsiciano e Anatolico e a bordo della flotta fornita dal tema dei Carabisiani, salpò per l’Italia.
Dopo un primo soggiorno a Tessalonica e uno più breve ad Atene, l’imperatore approdò all'inizio del 663 a Taranto, che fu scelta come base di appoggio per l’operazione.
La spedizione era stata preparata accuratamente ed era finalizzata a riprendere il controllo definitivo dell’Africa e riconquistare almeno l’Italia meridionale longobarda provvedendo poi alla distribuzione delle terre ai soldati come era stato fatto in Oriente.
Da Taranto mosse con l’esercito verso l’interno, seguendo un tracciato tortuoso: solo in parte seguì infatti la via Appia e la via Traiana.
Assediata invano Acerenza; riuscì invece a prendere e a distruggere Ortona, Ecana e Lucera, oltre probabilmente ad altri villaggi di cui ignoriamo il nome.
Giunto sotto le mura di Benevento (che in quel tempo era governata dal giovane duca Romualdo, essendo suo padre Grimoaldo divenuto re dei Longobardi a Pavia), Costante cinse d’assedio la città. Romualdo chiese di venire a patti, probabilmente nella speranza di guadagnare tempo fino all’arrivo del padre da nord con un esercito di rinforzo. Costante, dopo aver chiesto ed ottenuto in ostaggio Gisa, sorella del duca, tolse l’assedio e si diresse a Napoli.
Lungo il percorso subì l’azione di guerriglia del conte di Capua, Mitola, che sconfisse i bizantini in uno scontro al guado del fiume Calore a poca distanza da Benevento. Poco dopo, quando ormai Grimoaldo aveva raggiunto Benevento con i rinforzi, una vera e propria rottura della tregua culminò con uno scontro di proporzioni più ampie, la battaglia di Forino, dove i longobardi guidati da Romualdo sconfissero una parte del contingente bizantino guidata dall'armeno Saburro.
Partito da Napoli, il 5 luglio del 663 l’imperatore giunse a Roma, dove fu ricevuto dal pontefice Vitaliano, dal clero e dal popolo usciti ad incontrarlo fino al sesto miglio della via Appia; appena entrato in città si recò in pellegrinaggio a san Pietro.
Era il primo imperatore romano che metteva piede nella vecchia capitale dopo la caduta dell’impero di Occidente. Vi si fermò per 12 giorni. Il sovrano visitò le principali basiliche distribuendo benefici ed assistendo a numerose cerimonie religiose. Ma la sua finalità era anche quelle di raccogliere fondi per la riorganizzazione dei domini occidentali. Non si sa quale effetto fecero su di lui gli antichi monumenti della gloria passata di Roma (2). Il comportamento fu quello che tutti avevano nell’alto medioevo, usare gli antichi monumenti come riserva di materiale: rimosse le tegole di bronzo dorato che rivestivano il tetto del Pantheon (che dai tempi di Foca era diventato una chiesa dedicata alla Vergine) e le inviò per nave in Sicilia dove pensava di porre la capitale di un rinnovato impero d’Occidente.
Il 9 luglio, domenica, Costante partecipò ad una processione e ad una messa solenne in san Pietro; il 15 fece un bagno nel palazzo del Laterano e fu ospite alla mensa di Vitaliano.
Il 17 partì per Napoli, donde scese a Reggio Calabria.
Verso la fine del 663 attraversò lo stretto di Messina e giunse a Siracusa, dove cercò di organizzare un’efficace difesa contro gli Arabi, che già erano affacciati sulle coste mediterranee dell’ Africa.
Cominciò a distribuire terre ai soldati come aveva già fatto in Oriente. Furono creati depositi militari e le risorse furono trovate con un incremento del fiscalismo lamentato dalle fonti occidentali e della chiesa romana dell'epoca. Fece anche trasferire a Siracusa la corte e la zecca imperiale.
Il l0 marzo del 666 decretò l’autocefalia della chiesa di Ravenna da Roma.
Nel 667 le riforme erano forse già completate ma cominciarono i problemi con l’esercito giunto dall’Oriente al seguito dell’imperatore.
Ormai il progetto era chiaro: Costante mirava alla rinascita della carica di imperatore di Occidente e questo voleva dire che vi erano poche possibilità per un ritorno delle truppe in Oriente.
Nel 668 l’imperatore associò al trono anche i figli Eraclio e Tiberio (Costantino lo aveva già elevato al trono prima di partire per l’Italia). Poi li convocò tutti in Italia insieme alla moglie Fausta, molto probabilmente per sancire la spartizione dell’Impero fra i co-imperatori.
Non fecero in tempo a raggiungerlo: Il 15 luglio (o il 15 settembre) del 668 Costante fu ucciso da un complotto ordito da membri della corte e alti gradi dell'esercito stanziato in Sicilia. Un  cortigiano di nome Andrea - figlio di Troilo - gli versò sul capo acqua calda e sapone mentre egli si trovava in una vasca dei bagni di Dafne, e poi, approfittando della momentanea cecità, lo colpì sul capo con un vaso di bronzo. Il generale armeno Mesezio (Mzez Gnouni), conte (Comes) degli Opsiciani, fu proclamato imperatore dalle truppe stanziate a Siracusa.

Mesezio
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Siracusa durante l'usurpazione.
L'usurpatore indossa corazza ed elmo piumato mentre tiene nella destra il globo crucigero e uno scudo nella sinistra.
668-669
 
Prima ancora che la squadra navale inviata da Costantinopoli dal legittimo erede Costantino IV (668-685) giungesse nelle acque di Siracusa, l'usurpazione di Mesezio fu però stroncata dalle truppe inviate in Sicilia dall'esarca di Ravenna Gregorio. I resti di Costante furono traslati a Costantinopoli dove venne sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli.

 
Note:

(1) Martina ed Eracleona vennero esiliati a Rodi dopo essere stati mutilati (a Martina venne tagliata la lingua e ad Eracleona il naso). E' questa la prima volta che la mutilazione del taglio del naso compare in ambito bizantino.

(2) A testimonianza del soggiorno di Costante II nella città eterna, rimangono due graffiti con il suo nome - incisi probabilmente da membri del suo seguito - uno all'interno della Colonna di Traiano e l'altro sul basamento dell'Arco di Giano Quadrifonte

(3) All'epoca di Costante II, il thema degli Opsiciani comprendeva la parte settentrionale dell'Asia Minore bizantina ed aveva per capoluogo Nicea. Era il quarto in ordine di importanza e forniva all'esercito imperiale molti picchieri, arcieri e cavalleria leggera. Traeva il nome (letteralmente, opsiciani=ossequienti) da quello di un antico corpo della guardia imperiale e, a differenza degli altri themata, era l'unico ad essere governato da un Comes (conte) anziché da uno Strategos.


Narrativa moderna e contemporanea:
 
Carlo Augusto Monteforte, Un basileus in Sicilia, Morrone Editore, 2011.
Il romanzo ricostruisce con accuratezza storica la parabola dell'imperatore Costante II, proponendo un suggestivo retroscena al contesto in cui maturò il suo assassinio.