Costante II (641-668)
Alla morte di Eraclio (641) il trono fu
diviso fra il figlio maggiore Costantino III, figlio della
prima moglie Eudossia, ed Eracleona (diminutivo di Eraclio), il
figlio avuto dalla seconda moglie (e nipote) Martina.
Costante II
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Costantinopoli
651-654
Costantino III governò solo tre mesi prima di morire di tubercolosi lasciando sul trono il fratellastro con la madre come reggente. Il figlio di Costantino III e della moglie Gregoria, di nome Costantino Eraclio ma da tutti chiamato con il diminutivo di Costante, fu escluso dal trono.
Il generale armeno Valentino Arsacido (Arsakuni) – che era stato nominato da Costantino III - appoggiò però la sua causa e costrinse Martina ed Eracleona ad accettare la nomina di Costante a co-imperatore.
Dopo 6 mesi il generale condusse le sue truppe nella capitale e depose Eracleona e la madre (1). In questo modo nel novembre del 641 Costante divenne unico imperatore all’età di 11 anni sotto la tutela del senato e del nuovo Patriarca Paolo II (641-653) fino al raggiungimento della maggiore età (648). Valentino Arsacido fu ricompensato con la carica di Comes excubitorum – comandante della guardia imperiale – ed assunse una posizione a corte molto influente, dando in moglie al giovane imperatore la propria figlia Fausta. Nel 644 cercò di rovesciare il genero ma il suo tentativo fu stroncato dalla ferma opposizione del Senato e del Patriarca e morì linciato dalla popolazione della capitale insieme ai suoi sostenitori.
Poiché la controversia sul Monotelismo era causa di disordini interni, nel 648 Costante II promulgò un editto (Typos) con cui vietava ai suoi sudditi di discutere ulteriormente sul monotelismo. L'imperatore chiese quindi a papa Martino I, eletto al soglio pontificio il 5 luglio 649, di sottoscrivere l'editto. Al rifiuto opposto dal pontefice, che considerava l'editto un rafforzamento di quello dell'Ekthesis promulgato da Eraclio I (638) a favore del Monotelismo, l'imperatore rispose rifiutandosi di ratificare la sua elezione. Martino I reagì convocando un sinodo in Laterano, che si svolse in cinque sedute tra il 5 e il 31 ottobre 649 e in seguito alla quale vescovi e monaci ortodossi (tra cui numerosi greci residenti a Roma) condannarono come eretici i patriarchi monoteliti Sergio, Pirro e Paolo di Costantinopoli e Ciro di Alessandria.
Nonostante il fatto che ad essere accusati di empietà ed eresia non fossero direttamente gli imperatori Eraclio e Costante II ma solo i patriarchi, la condanna inasprì le relazioni politiche tra Costantinopoli e Roma, anche perché le decisioni sinodali si opponevano fermamente agli editti imperiali dell’Ekthesis e del Typos.
Costante inviò in Italia il nuovo esarca di Ravenna, Olimpio, che vi giunse mentre il sinodo era ancora riunito, con l'ordine di far sottoscrivere il Typos da tutti i 105 vescovi presenti e arrestare papa Martino I.
Secondo il Liber pontificalis, l'esarca dopo inutili tentativi di insinuare divisioni nel fronte ecclesiastico, si decise ad assassinare il pontefice. Un suo spatario avrebbe dovuto colpire il papa nel momento in cui questi si accingeva a dare la comunione all'esarca durante la funzione nella chiesa di S.Maria ad Praesepem (l'attuale S.Maria Maggiore). L’intervento divino salvò il papa: lo spatario fu reso cieco proprio nel momento in cui il pontefice porgeva la comunione a Olimpio.
Dopo il fallito attentato, l'esarca, convintosi che il papa era protetto dalla mano di Dio, lo mise a parte degli ordini ricevuti e – probabilmente con il suo appoggio – diede inizio alla secessione da Bisanzio della provincia italica (650). Spostatosi con il grosso dell'esercito in Sicilia per ragioni non del tutto chiare e posto il suo quartier generale a Siracusa, vi morì (652-653) nel corso di una epidemia di peste.
***
Dopo la morte di Olimpio, il nuovo
esarca d'Italia, Teodoro Calliopa, procedette senza indugio contro
papa Martino I, accusato di alto tradimento per aver appoggiato la
ribellione.
All'avvicinarsi dell'esarca
e del suo esercito alla città, il papa, già infermo, si rifugiò
nella basilica lateranense.
Simone Martini, Papa Martino I (identificato da
Künstle)
Cappella di san Martino, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi
1312-1317
Lunedì 17 giugno 653
una squadra armata irruppe nella basilica e consegnò ai presbiteri
gli ordini dell'esarca: il papa era da considerarsi deposto e
doveva essere condotto a Costantinopoli; sarebbe stata effettuata una
nuova elezione. A condizione che il suo clero potesse accompagnarlo,
Martino, per evitare spargimenti di sangue, si dichiarò pronto a
presentarsi nel palazzo del governo sull’Aventino. Da lì, nella
notte tra il 18 e il 19 giugno, venne condotto in segreto su una
lettiga fino al Tevere e – senza bagaglio né seguito –
accompagnato in barca a Porto dove fu caricato su una nave che doveva
condurlo a Costantinopoli.
Il 17 settembre, dopo una lunga sosta
nell'isola di Nasso, il papa raggiunse la città imperiale. Fino a
sera il prigioniero, privato della sua dignità, venne lasciato
sull’imbarcazione, e poi fu condotto dalle guardie in barella nel
carcere di Prandearia, dove seguirono novantatré giorni di
isolamento.
Il 20 dicembre finalmente fu avviato il
procedimento davanti al sacellarius con la partecipazione di
testimoni. Dall’interrogatorio si deduce che l’accusa era
incentrata esclusivamente sull’alto tradimento e si evitò
accuratamente di far riferimento a problemi teologici e a posizioni
di fede.
L’interrogatorio si concluse
frettolosamente, fu pronunciato il verdetto di condanna a morte,
fecero il loro ingresso gli aiutanti del carnefice che spogliarono il
pontefice dei suoi abiti ecclesiastici, gli misero la gogna e lo
trascinarono attraverso la città fino al pretorio dove fu rinchiuso
nella prigione di Diomede. Qui apprese che il patriarca Paolo II,
ormai morente, era riuscito ad ottenere dall'imperatore la
commutazione della pena.
Il 17 marzo 654 gli fu comunicata la
sentenza definitiva: l’esilio a Cherson sul Mar Nero che raggiunse
il 15 maggio.
Martino I morì a
Cherson il 16 settembre 655, e alcuni suoi fedeli lo
seppellirono davanti alle mura della città nel Monastero di S.Maria
ad Blachernas.
***
Nel 660 Costante condannò a morte il
fratello Teodosio, che aveva costretto a farsi prete, con l’accusa
di tradimento. I motivi reali del fratricidio non sono ancora ben
chiari agli storici. Quel che è certo è che a causa dell’assassinio
del fratello la sua popolarità calò di molto, al punto che il
popolò iniziò a chiamarlo “caino”.
Nello stesso anno Costante organizzò
una grande spedizione militare in Occidente.
Lasciato il figlio maggiore Costantino
come co-imperatore a Costantinopoli, alla testa di contingenti dei
temi Opsiciano e Anatolico e a bordo della flotta fornita dal tema
dei Carabisiani, salpò per l’Italia.
Dopo un primo soggiorno a Tessalonica e
uno più breve ad Atene, l’imperatore approdò all'inizio
del 663 a Taranto, che fu scelta come base di appoggio per
l’operazione.
La spedizione era stata preparata
accuratamente ed era finalizzata a riprendere il controllo definitivo
dell’Africa e riconquistare almeno l’Italia meridionale
longobarda provvedendo poi alla distribuzione delle terre ai soldati
come era stato fatto in Oriente.
Da
Taranto mosse con l’esercito verso l’interno, seguendo un
tracciato tortuoso: solo in parte seguì infatti la via Appia e la via
Traiana.
Assediata
invano Acerenza; riuscì invece a prendere e a distruggere Ortona,
Ecana e Lucera, oltre probabilmente ad altri villaggi di cui
ignoriamo il nome.
Giunto
sotto le mura di Benevento (che in quel tempo era governata dal
giovane duca Romualdo, essendo suo padre Grimoaldo divenuto re dei
Longobardi a Pavia), Costante cinse d’assedio la città. Romualdo
chiese di venire a patti, probabilmente nella speranza di guadagnare tempo
fino all’arrivo del padre da nord con un esercito di rinforzo.
Costante, dopo aver chiesto ed ottenuto in ostaggio Gisa, sorella
del duca, tolse l’assedio e si diresse a Napoli.
Lungo
il percorso subì l’azione di guerriglia del conte di Capua,
Mitola, che sconfisse i bizantini in uno scontro al guado del fiume Calore a poca distanza da Benevento. Poco dopo, quando ormai Grimoaldo aveva raggiunto Benevento con i rinforzi, una vera e propria rottura della tregua culminò con uno scontro di proporzioni più ampie, la battaglia di Forino, dove i longobardi guidati da Romualdo sconfissero una parte del contingente bizantino guidata dall'armeno Saburro.
Partito da Napoli, il
5 luglio del 663 l’imperatore giunse a Roma, dove fu ricevuto dal
pontefice Vitaliano, dal clero e dal popolo usciti ad incontrarlo
fino al sesto miglio della via Appia; appena entrato in città si
recò in pellegrinaggio a san Pietro.
Era
il primo imperatore romano che metteva piede nella vecchia capitale
dopo la caduta dell’impero di Occidente. Vi si fermò per 12
giorni. Il sovrano visitò le principali basiliche distribuendo
benefici ed assistendo a numerose cerimonie religiose. Ma la sua
finalità era anche quelle di raccogliere fondi per la
riorganizzazione dei domini occidentali. Non si sa quale effetto
fecero su di lui gli antichi monumenti della gloria passata di Roma (2). Il
comportamento fu quello che tutti avevano nell’alto medioevo, usare
gli antichi monumenti come riserva di materiale: rimosse le tegole di
bronzo dorato che rivestivano il tetto del Pantheon (che dai tempi di
Foca era diventato una chiesa dedicata alla Vergine) e le inviò per
nave in Sicilia dove pensava di porre la capitale di un rinnovato
impero d’Occidente.
Il
9 luglio, domenica, Costante partecipò ad una processione e ad una
messa solenne in san Pietro; il 15 fece un bagno nel palazzo del
Laterano e fu ospite alla mensa di Vitaliano.
Il
17 partì per Napoli, donde scese a Reggio Calabria.
Verso
la fine del 663 attraversò lo stretto di Messina e giunse a
Siracusa, dove cercò di organizzare un’efficace difesa contro gli
Arabi, che già erano affacciati sulle coste mediterranee dell’
Africa.
Cominciò
a distribuire terre ai soldati come aveva già fatto in Oriente.
Furono creati depositi militari e le risorse furono trovate con un
incremento del fiscalismo lamentato dalle fonti occidentali e della
chiesa romana dell'epoca. Fece anche trasferire a Siracusa la corte e
la zecca imperiale.
Il
l0 marzo del 666 decretò l’autocefalia della chiesa di Ravenna da Roma.
Nel 667 le riforme erano forse già
completate ma cominciarono i problemi con l’esercito giunto
dall’Oriente al seguito dell’imperatore.
Ormai il progetto era chiaro: Costante
mirava alla rinascita della carica di imperatore di Occidente e
questo voleva dire che vi erano poche possibilità per un ritorno
delle truppe in Oriente.
Nel
668 l’imperatore associò al trono anche i figli Eraclio e Tiberio
(Costantino lo aveva già elevato al trono prima di partire per
l’Italia). Poi li convocò tutti in Italia insieme alla moglie
Fausta, molto probabilmente per sancire la spartizione dell’Impero
fra i co-imperatori.
Non
fecero in tempo a raggiungerlo: Il 15 luglio (o il 15 settembre) del
668 Costante fu ucciso da un complotto ordito da membri della corte e alti gradi dell'esercito stanziato in Sicilia. Un cortigiano di nome Andrea - figlio di Troilo - gli versò sul capo acqua calda e sapone mentre egli si trovava
in una vasca dei bagni di Dafne, e poi, approfittando della
momentanea cecità, lo colpì sul capo con un vaso di bronzo. Il generale armeno Mesezio (Mzez Gnouni), conte (Comes) degli Opsiciani, fu proclamato
imperatore dalle truppe stanziate a Siracusa.
Il romanzo ricostruisce con accuratezza storica la parabola dell'imperatore Costante II, proponendo un suggestivo retroscena al contesto in cui maturò il suo assassinio.
Mesezio
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Siracusa durante l'usurpazione.
L'usurpatore indossa corazza ed elmo piumato mentre tiene nella destra il globo crucigero e uno scudo nella sinistra.
668-669
Prima
ancora che la squadra navale inviata da Costantinopoli dal legittimo
erede Costantino IV (668-685) giungesse nelle acque di Siracusa, l'usurpazione
di Mesezio fu però stroncata dalle truppe inviate in Sicilia dall'esarca
di Ravenna Gregorio. I resti di Costante furono traslati a Costantinopoli dove venne sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli.
Note:
(1) Martina
ed Eracleona vennero esiliati a Rodi dopo essere stati mutilati (a
Martina venne tagliata la lingua e ad Eracleona il naso). E' questa
la prima volta che la mutilazione del taglio del naso compare in
ambito bizantino.
(2) A testimonianza del soggiorno di Costante II nella città eterna, rimangono due graffiti con il suo nome - incisi probabilmente da membri del suo seguito - uno all'interno della Colonna di Traiano e l'altro sul basamento dell'Arco di Giano Quadrifonte.
(3) All'epoca
di Costante II, il thema degli Opsiciani comprendeva la parte
settentrionale dell'Asia Minore bizantina ed aveva per capoluogo
Nicea. Era il quarto in ordine di importanza e forniva all'esercito
imperiale molti picchieri,
arcieri e cavalleria leggera. Traeva il nome (letteralmente,
opsiciani=ossequienti) da quello di un antico corpo della guardia
imperiale e, a differenza degli altri themata,
era l'unico ad essere governato da un Comes
(conte) anziché da uno Strategos.
Narrativa moderna e contemporanea:
Carlo Augusto Monteforte, Un basileus
in Sicilia, Morrone Editore, 2011.Narrativa moderna e contemporanea:
Il romanzo ricostruisce con accuratezza storica la parabola dell'imperatore Costante II, proponendo un suggestivo retroscena al contesto in cui maturò il suo assassinio.
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