sabato 26 novembre 2011

chiesa di S.Polieucto, Costantinopoli

San Polieucto

I resti della chiesa di San Polieucto si trovano a Sarachane, nei pressi del monumento commemorativo del Conquistatore e lungo l'antica Mese, nel quartiere che prendeva il nome dalla presenza del palazzo costantinopolitano di Anicio Olibrio (Ta Olybria).


Fatta edificare una prima volta da Licinia Eudossia - moglie di Valentiniano III - subito dopo il 462. Fu in seguito completamente ricostruita su commissione della nipote Anicia Giuliana, una delle nobildonne più ricche di Costantinopoli, figlia di Placidia - la minore delle due figlie di Valentiniano III e Licinia Eudossia - e Flavio Anicio Olibrio, imperatore d'Occidente per pochi mesi nel 472, a sua volta moglie di Aréobindo console nel 506 sotto Anastasio I (491-518) - circa dieci anni prima di Santa Sofia (524-527), come si deduce dai bolli impressi sui mattoni.
Poche sono le notizie sulla storia tarda della chiesa, sappiamo tuttavia che fino ai primi anni dell’XI secolo era ancora in funzione e in eccellenti condizioni; in seguito, nel corso dello stesso secolo, il complesso sarebbe stato abbandonato, per cadere definitivamente in rovina alla fine del XII secolo ed essere quindi ridotto, soprattutto all’indomani della conquista latina di Costantinopoli (1204), a vera e propria cava di materiali.

Richard Martin Harrison, l'archeologo che diresse gli scavi, ha ricostruito la chiesa come una basilica di pianta all'incirca quadrata, con lato di 52 metri, una navata centrale e due laterali, con un nartece preceduto da un atrio di 26 metri di lunghezza.



A nord dell'atrio sono stati ritrovati resti di un altro edificio, identificato come il battistero della chiesa o con il palazzo di Giuliana.



Era probabilmente sormontata da cupola, come lascia ipotizzare la potenza dei muri di fondazione.
Dall'epigramma* che correva lungo i muri interni - alcuni frammenti del quale sono stati ritrovati e che è pubblicato per intero sull'Antologia palatina - si potrebbe ipotizzare che la cupola centrale fosse sostenuta da due semicupole poggianti su altrettante esedre, il che ne farebbe un antecedente di Santa Sofia: Dai due lati dell'andito centrale, colonne rizzate su colonne incrollabili sostengono i raggi di una cupola dal soffitto dorato, mentre, a destra e a sinistra, dalle incavature che si aprono in archi di cerchio, nasce un chiarore sempre cangiante come quello della luna (Antologia palatina, I,10, vv. 55-59).


elemento di trabeazione con inciso un verso dell'epigramma, la nicchia all'interno è decorata a coda di pavone

Secondo l'epigramma, la chiesa fu progettata come una replica del Tempio di Gerusalemme, con le proporzioni precise del Tempio di Salomone indicate nella Bibbia, utilizzando il cubito reale come unità di misura, come nell'originale.

Ne rimangono le fondazioni e un gran numero di elementi marmorei che presentano un'ampia gamma di motivi decorativi: pavoni che fanno la coda, alberi, racemi, vasi da cui fuoriescono strane forme vegetali.
Le straordinarie invenzioni plastiche create per la chiesa di Anicia Giuliana svolsero un ruolo innovatore, di rottura con il passato, sconvolgendo le tradizionali sintassi compositive e il classico vocabolario ornamentale, anche con esotici apporti sasanidi (C.Barsanti).
Sono stati anche ritrovati pannelli marmorei con busti del Cristo, della Vergine  e degli Apostoli sfigurati nel volto e nelle mani durante il periodo iconoclasta.

La Vergine con il Bambino, Museo archeologico, Istanbul

Alcuni pilastri e capitelli presentano decorazioni vegetali alternate a motivi geometrici del tutto identiche a quelle dei pilastri cosiddetti "acritani" della basilica di San Marco a Venezia. I pilastri, assieme ad altri elementi scultorei, sarebbero stati quindi asportati dai Veneziani da questa chiesa, che si trovava nel settore a loro assegnato, nell'ambito della spoliazione della città operata dai Crociati (1204-1261), epoca a cui risale la distruzione della chiesa.



Placidia, Musée Saint-Raymond di Tolosa


Questa testa marmorea, oggi conservata nel Musée Saint-Raymond di Tolosa, è stata identificata come ritratto di Placidia. Rappresenta una donna patrizia e proviene da Costantinopoli, dove è possibile che si trovasse nell'atrio della Basilica di San Polieucto, insieme ad un'altra statua, il cui busto si trova attualmente nel Metropolitan Museum di New York, che doveva rappresentare la figlia Anicia Giuliana.

Anicia Giuliana, Metropolitan Museum di New York
 
 

*L'epigramma trascritto dai compilatori dell'Antologia Palatina è composto da 76 versi. Secondo Paul Beck (1993) si tratterebbe però di due composizioni poetiche indipendenti: la prima delle quali (vv. 1-41) correva lungo il fregio interno della chiesa mentre la seconda (vv. 42-76) accompagnava i mosaici di un ciclo costantiniano che decoravano le pareti dell'atrio.
 
E scorgerà sulla volta del nartece una grande meraviglia: alcune composizioni sacre, che mostrano come il saggio Costantino, fuggendo gli idoli, spense in sé il fuoco dell'empietà e trovò la luce della Trinità purificando le sue membra nelle acque (vv. 69-73).

Gli studiosi sono concordi nel ritenere che questa descrizione rimandi alla versione leggendaria del battesimo di Costantino a Roma ad opera di papa Silvestro nel 314 anziché a quella storica ad opera di Eusebio di Cesarea in limine vitae dell'imperatore nel 337 a Nicomedia.
Gli Acta Silvestri, un testo agiografico che fu redatto in Occidente sul finire del V secolo come risultato della fusione di leggende eterogenee ed incoerenti tra loro, riportano che Costantino contrasse la lebbra nel corso di un'epidemia che imperversava sulla città di Roma. I sacerdoti di corte (Capitolii Pontifices), raccolti attorno al suo capezzale, sentenziarono che l'imperatore si sarebbe salvato bagnandosi nel sangue caldo di 300 fanciulli. I soldati cominciano a sequestrare i fanciulli ma, dinanzi al pianto delle madri, l'imperatore si commuove e da ordine di rilasciarli.
Durante la notte gli apostoli Pietro e Paolo appaiono in sogno all'imperatore e gli dicono che guarirà dalla lebbra se convocherà il vescovo di Roma Silvestro, rifugiatosi sul monte Soratte, e sradicherà il paganesimo dall’Urbe, rigettando nell’abisso i falsi dei che lo hanno abbandonato.
Silvestro gli impone una settimana di digiuno purificatore, poi lo conduce là dove un tempo sorgeva il tempio dei Dioscuri, tra le mura diroccate ed i marmi corrosi dove ancora sgorga l’acqua sacra della fonte Giuturna. Costantino si immerge per tre volte nelle acque mentre l’eremita lo battezza consacrandone l’anima all’unico vero Dio.
L'espressione dell'epigramma “spegnere il fuoco dell'empietà” costituirebbe un rimando alla guarigione dalla lebbra mentre “fuggire gli idoli” significherebbe il rigetto del paganesimo e l'abbandono delle persecuzioni contro i cristiani (cfr. A.Pizzone, Da Melitene a Costantinopoli: S.Polieucto nella politica dinastica di Giuliana Anicia. Alcune osservazioni in margine ad A.P.I 10, nota 95).

La scelta di ornare l'atrio della chiesa con un ciclo musivo (forse quattro pannelli) dedicato a Costantino il grande corrisponde al tentativo di immettere la dinastia teodosiana – a cui apparteneva Giuliana – nel solco politico-religioso, nonché nella discendenza, tracciato dal primo imperatore cristiano, ribadito anche nell'epigramma : Dopo Costantino che ornò così bene la sua Roma, dopo la santa ed aurea luce di Teodosio, dopo una così lunga serie di antenati imperiali, non ha essa (Giuliana) compiuto un'opera sublime, degna della sua stirpe, e in pochi anni? (vv. 42-45).
La scelta di rappresentare il Battesimo di Costantino secondo la versione divulgata dagli Acta Silvestri, alluderebbe invece esplicitamente non tanto alla sconfitta del paganesimo quanto alla vittoria dell'ortodossia cattolica sancita per la prima volta sotto tutela costantiniana al Concilio di Nicea (325). Giuliana avrebbe rivendicato in questo modo il ruolo di primo piano da lei svolto nel favorire la ricomposizione del cosiddetto scisma acaciano celebrata ufficialmente nel marzo del 519 sotto Giustino I (518-527) (1).


Riguardo la paternità dell'epigramma, in base ad alcune analogie stilistiche con altri epigrammi dell'Antologia Palatina relativi alle fondazioni di Giuliana, C.Connor (1999) ha suggerito che possa essere opera di Anicia Giuliana stessa. In base ad alcuni elementi metrici e stilistici che lo accosterebbero ad alcuni epigrammi di Cristodoro raccolti nel secondo libro dell'Antologia, F.Tissoni (2001) propende invece per attribuirlo a quest'ultimo.

Note:

(1) Una articolata illustrazione della versione del battesimo di Costantino riportata dagli Acta Silvestri è rappresentata in un ciclo di affreschi nell'Oratorio di San Silvestro all'interno del complesso dei Santi Quattro Coronati a Roma. Realizzato nel 1247, molto probabilmente da maestranze bizantine, stranamente il ciclo di affreschi viene sfruttato – come nel caso di S. Polieucto – per sostenere una tesi politica (nella fattispecie, la supremazia del papato sull'impero).
















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