Testa della statua colossale di Costantino il grande proveniente dalla basilica di Massenzio, 330 circa, Musei capitolini, Roma
Costantino il grande (306-337; dal 324 come unico imperatore)
Nel 325 convocò e presiedette a Nicea il primo concilio ecumenico della Chiesa.
Nel 326 fece uccidere, a breve distanza l'uno dall'altra, il figlio Crispo a Pola e la moglie Fausta a Nicomedia, affogata a palazzo in un bagno portato ad alta temperatura, accusati di avere una relazione clandestina.
Sul finire dello stesso anno diede inizio ai lavori di ampliamento e ammodernamento della città di Bisanzio, di cui intendeva fare la nuova capitale dell'impero, la cui inaugurazione ufficiale avverrà l'11 maggio del 330.
Secondo la tradizione fu lo stesso Costantino a tracciare con la propria lancia il perimetro sacro della mura, il pomerium, assegnando alla città lo stesso nome segreto di Roma e battezzandola ufficialmente Nova Roma (Il termine non entrò però mai nell'uso comune, preferendo gli abitanti della città e dell'Impero riferirsi ad essa come alla città di Costantino, Costantinopoli).
Nella nuova capitale venne probabilmente trasportato anche il Palladio, la statuetta già protettrice di Troia e poi di Roma, dove l'avrebbe portata Enea, che venne seppellita al centro del foro della nuova città, sotto la Colonna di Costantino. Vennero poi individuate sette alture a ricalcare i sette colli dell'antica capitale e la città venne divisa come Roma in quattordici regiones. Come a Roma, venne infine posto un cippo per indicare il centro dell'Impero, la prima pietra miliare da cui misurare tutte le distanze, il Milion.
Costantino muore a Nicomedia il 22 maggio del 337, dopo aver ricevuto il battesimo in limine vitae dal vescovo Eusebio. Viene sepolto a Costantinopoli, nella chiesa dei SS.Apostoli (cfr. il sarcofago ritrovato nella chiesa costantinopolitana di Hagia Eirene).
Alla morte di Costantino, l'impero risultava così diviso tra i quattro cesari da lui nominati (i suoi tre figli ed il nipote Delmazio) :
- Costante I (Italia, Africa, Pannonia e Dacia)
- Flavio Delmazio (Tracia, Acaia e Macedonia)
- Costantino II (Gallie, Britannia e Spagna)
- Costanzo II (provincie d'Asia e orientali)
Ad Annibaliano, fratello di Delmazio e quindi suo nipote nonchè marito della figlia Costanza (Costantina), Costantino aveva dato il titolo di “re delle genti pontiche”, affidandogli il controllo delle regioni di confine minacciate dall'impero persiano (Armenia, Mesopotamia e Cappadocia).
Alla morte di Costantino, Flavio Delmazio, figlio del fratellastro dell'imperatore (Delmazio il censore), fu assassinato dai suoi stessi soldati ed i suoi territori spartiti tra Costante e Costanzo, mentre i tre figli dell'imperatore furono proclamati augusti. Contemporaneamente anche Annibaliano viene eliminato (settembre 337, probabilmente dai sicari di Costanzo).
Costantino II, venuto a contrasto col fratello Costante, fu ucciso in battaglia nei pressi di Aquileia nel 340 mentre Costante fu successivamente rovesciato e ucciso da Magnenzio – il comandante delle truppe scelte dell'esercito campale - che fu proclamato imperatore (350). Nello stesso anno insorse anche Vetranione, che aveva il comando dell'Illirico, ma Costanzo lo convinse a desistere consentendogli di ritirarsi a vita privata mentre i suoi reggimenti passavano dalla sua parte.
Riepilogo
Alla morte di Costantino I il grande regnano insieme Costantino II (Gallie), Costanzo II (in Oriente) e Costante (Italia e Africa).
Designati cesari da Costanzo: Flavio Costanzo Gallo (351-354) e poi Giuliano (dal 355), entrambi figli di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino il grande.
Usurpatori nelle Gallie: Flavio Magno Magnenzio (350-353) e Magno Decenzio (351-353), fratello del precedente e da lui nominato cesare.
Usurpatore a Roma: Flavio Popilio Nepoziano*, imparentato con la famiglia di Costantino, si proclama augusto il 3 giugno del 350 e viene ucciso il 30 dello stesso mese.
Usurpatore in Illirico: Vetranione (350: si ritira a vita privata e muore poi nel 356).
Flavio Popilio Nepoziano raffigurato al dritto di un centelionalis da lui fatto battere (350)
* Flavio Popilio Nepoziano ("l'imperatore dei 28 giorni"): figlio di Eutropia, sorellastra dell'imperatore romano Costantino I, e di Virio Nepoziano, probabilmente morto nel 337 in occasione delle purghe della famiglia imperiale. Da parte di madre Nepoziano era nipote dell'imperatore Costanzo Cloro e di Flavia Massimiana Teodora. Fu probabilmente console nel 336.
Dopo la rivolta di Magnenzio, Nepoziano decise di prendere il potere, conquistando Roma: una volta morto Costante I, ucciso da Magnenzio, si era trovato ad essere l'unico rappresentante della dinastia costantiniana in occidente, e contava su questo fatto per riscuotere la lealtà dei sudditi nel suo conflitto con l'usurpatore.
Raccolse un certo numero di gladiatori, predoni e altri personaggi abituati al crimine, e il 3 giugno 350 si diresse su Roma, presentandosi con le vesti imperiali. Il praefectus urbi Tiziano, alleato di Magnenzio, armò alcuni civili e li condusse fuori dalla città per attaccare Nepoziano. Le milizie di Tiziano erano indisciplinate, e a causa della loro disorganizzazione vennero messe in fuga nello scontro contro le truppe di Nepoziano. Il prefetto, vedendole fuggire verso la città, diede ordine di chiudere le porte, per paura che gli uomini di Nepoziano entrassero con loro: senza un luogo dove fuggire, furono facile preda delle truppe del costantinide, che li massacrarono tutti.
Magnenzio mandò rapidamente a Roma il suo fidato magister officiorum Marcellino. Nepoziano fu ucciso nella conseguente battaglia il 30 giugno e la sua testa fu posta in cima ad una lancia e portata lungo le vie della città. Nei giorni seguenti vi fu gran massacro della nobiltà, per lo più senatori: anche la madre Eutropia venne probabilmente uccisa.
La ribellione di Nepoziano e l'uccisione di esponenti della nobiltà della città di Roma sta a significare che l'usurpazione di Magnenzio, nata per rispondere allo scontento cresciuto nella corte imperiale e nei circoli militari della Gallia contro Costante, non ebbe però il sostegno della popolazione dell'Urbe: la casata di Costantino riscuoteva ancora la lealtà ottenuta dal suo fondatore, e Magnenzio ne ebbe una ulteriore prova con la sollevazione di Vetranione.
Sgombrato il campo dagli altri pretendenti, Costanzo, al comando dell'esercito orientale rafforzato dai reggimenti illirici, mosse contro l'usurpatore Magnenzio.
Flavio Magno Magnenzio raffigurato al dritto di una maiorina da lui fatta battere dalla zecca di Aquileia (350-353)
Il nerbo dell'esercito di Costanzo era costituito dalla cavalleria pesante sul modello persiano, i catafratti, e arcieri a cavallo, quasi tutti reclutati in Asia; le fanterie legionarie, erano in pratica quelle illiriche del precedente usurpatore Vetranione.
Magnenzio poteva contare su un numero di soldati molto inferiore ma notoriamente più validi di quelli asiatici; galli, germani, britanni, pannoni, perlopiù legionari e ausiliari.
Poco prima dell'inizio della battaglia, il tribuno Claudio Silvano, uno dei comandanti di Magnenzio, disertò con la propria cavalleria a favore di Costanzo.
Costanzo dispose le proprie truppe con il fiume Drava alla propria destra e il Danubio alle spalle, in modo che ai suoi soldati fosse chiaro che potevano solo vincere o essere massacrati. Ai fianchi si trovava la cavalleria pesante mista ad arcieri, al centro la fanteria pesante con, dietro, altri arcieri e frombolieri.
La battaglia ebbe inizio nel tardo pomeriggio. Lo squilibrio delle forze era soprattutto nell'ala sinistra dello schieramento di Costanzo, rispetto a quella destra di Magnenzio, e proprio da lì partì l'attacco, in linea obliqua e avvolgente; al centro la cavalleria pesante non sfondò la linea delle fanterie legionarie. Gli ausiliari germani, nudi, affrontarono le frecce degli arcieri, e il muro di ferro della cavalleria pesante: si assistette a una duplice dimostrazione di valore, con i legionari che disciplinatamente serravano la linea e si riordinavano ad ogni carica, i germani che facevano strage di asiatici con la loro foga guerriera. Secondo Giuliano, l'ala sinistra di Costanzo II, composta dai potenti cavalieri catafratti, aggirò il lato destro di Magnenzio calando sulla fanteria, che fu gettata nella confusione e sopraffatta. Magnenzio rischiò la cattura e abbandonò il campo di battaglia, ma i suoi soldati gallici si rifiutarono di arrendersi e combatterono al comando di Marcellino, che cadde combattendo.
I soldati di entrambi gli schieramenti, presi dalla furia della battaglia, continuarono a combattere anche dopo l'arrivo della notte.
Le perdite tra i vincitori furono maggiori che tra i vinti, a testimonianza della grande resistenza di questi ultimi, 30.000 contro 24.000, ma la proporzione delle perdite fu irreparabile per Magnenzio. Giuliano incolpa Magnenzio per la sconfitta, accusandolo di aver sbagliato lo schieramento della fanteria e di essere fuggito dal campo di battaglia lasciando ad altri il compito di combattere.
Magnenzio, dopo aver riparato in Gallia, fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Monte Seleuco (l'attuale La Batie Monsalèon in Francia, agosto 353), preferendo suicidarsi piuttosto che arrendersi a Costanzo. Stessa sorte ebbe il fratello Magno Decenzio, da lui nominato cesare, che guidava i rinforzi provenienti dall'Italia.
Costanzo II rimase l'unico imperatore.
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