La divisione dell'Impero voluta da Diocleziano, 300 c.ca
Diocleziano (284-305): validissimo generale fu elevato alla porpora dalle legioni orientali che si rifiutarono di riconoscere Carino, primogenito dell'imperatore Caro (282-283).
Nel novembre del 285 nominò come suo vice in qualità di cesare, un valente ufficiale di nome Marco Aurelio Valerio Massimiano, che pochi mesi più tardi (1 aprile 286) elevò al rango di augusto, formando così una diarchia in cui i due imperatori si dividevano su base geografica il governo dell'impero e la responsabilità della difesa delle frontiere e della lotta contro gli usurpatori.
Diocleziano, che si considerava sotto la protezione di Giove (Iovio), mentre Massimiano era sotto la protezione "semplicemente" di Ercole (Massimiano Erculio), manteneva però la supremazia.
Data la crescente difficoltà a contenere le numerose rivolte all'interno dell'impero, nel 293 si procedette a un'ulteriore divisione funzionale e territoriale, al fine di facilitare le operazioni militari: Diocleziano nominò come suo cesare per l'oriente Galerio e Massimiano fece lo stesso con Costanzo Cloro per l'occidente. L'impero fu diviso in quattro territori (prima Tetrarchia):
- Diocleziano controllava le province orientali e l'Egitto (capitale: Nicomedia)
- Galerio controllava le province balcaniche (capitale: Sirmio)
- Massimiano governava su Italia e Africa settentrionale (capitale: Milano)
- Costanzo Cloro ebbe in affidamento la Spagna, la Gallia e la Britannia (capitale: Treviri)
Vennero create dodici circoscrizioni amministrative (le "diocesi", tre per ognuno dei tetrarchi), rette da un pretor vicarius e a loro volta suddivise in 101 province. Restava da mettere alla prova il meccanismo della successione.
Il 1º maggio del 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono: i loro due cesari diventarono augusti, Galerio per l'oriente e Costanzo Cloro per l'occidente, e provvidero a nominare a loro volta i propri successori designati: Galerio scelse Massimino Daia e Costanzo Cloro scelse Flavio Valerio Severo (seconda tetrarchia).
L'anno seguente tuttavia, con la morte di Costanzo Cloro (306), il sistema andò in crisi: il figlio illegittimo dell'imperatore defunto, Costantino venne proclamato augusto dalle truppe al posto del legittimo erede, Severo, e qualche mese dopo i pretoriani a Roma proclamarono imperatore Massenzio, figlio del vecchio augusto Massimiano Erculio, ripristinando il principio dinastico.
Nel 308 Diocleziano e Massimiano Erculio, in rotta con il figlio, si riunirono a Carnunto per cercare di riportare l'ordine: essendo stato eliminato l'anno prima Severo – catturato da Massenzio e trascinato a Roma come ostaggio fu fatto uccidere o si uccise il 16 settembre 307 - per l'Oriente restarono rispettivamente augusto e cesare Galerio e Massimino Daia, mentre per l'Occidente fu nominato un nuovo augusto, Licinio, indicando come cesare il ribelle Costantino.
Testa di Diocleziano, IV secolo
proveniente dagli scavi di Nicomedia (Izmit)
Museo Archeologico di Istanbul
Nel 311 con la morte di Galerio, Massimino Daia si impadronì di tutto l'Oriente e i tre augusti rimasti (ufficialmente elencati nell'ordine di anzianità al potere: Massimino, Costantino e Licinio) si coalizzarono contro Massenzio, che Costantino sconfisse nella battaglia di Ponte Milvio, alle porte di Roma, il 28 ottobre del 312.
Nel 313 moriva Massimino Daia e rimasero solo due augusti: Costantino per l'Occidente e Licinio per l'Oriente. L'alleanza tra i due augusti fu rafforzata dal matrimonio di Licinio con Costanza, sorellastra di Costantino, così che l'Editto di Milano, che sanciva in tutto l'impero la libertà di culto, fu promulgato con in calce la firma di entrembi gli augusti.
Nel 315 Costantino diede in sposa a Bassiano Anastasia, un'altra delle sue sorellastre, e lo nominò cesare, quindi inviò a Licinio, Flavio Costanzo, in qualità d'ambasciatore per farne riconoscere il rango: Bassiano avrebbe governato la Pannonia facendo da cuscinetto tra i due imperi. Licinio, per mezzo del fratello di Bassiano, Senacione, che era un suo consigliere, convinse il cesare a ribellarsi a Costantino. Tradito dai suoi ufficiali fedeli a Costantino la cospirazione di Bassiano venne scoperta sul nascere. Costantino lo mise a morte (316) e intimò a Licinio di consegnargli Senacione. Al rifiuto di Licinio, Costantino rispose con la guerra.
Testa di Licinio, IV secolo
Museo Chiaramonti, Città del Vaticano
Battaglia di Cibalae (8 ottobre 1316): Licinio aveva riunito il suo esercito a Cibalae (l'attuale Vinkovci), città della Pannonia, posta su una collina. Stretta è la strada che portava alla città, circondata in gran parte da una palude profonda, larga cinque stadi. Il resto è montagna, dove si ergeva un colle sopra il quale sorgeva la città. Da lì si apriva una pianura vasta e sconfinata nella quale Licinio decise di accamparsi, disponendo le proprie schiere in lunghezza sotto il colle per nascondere la debolezza delle ali (di cavalleria).
Gli arcieri diedero inizio alla battaglia con una serie di lanci, seguiti dallo scontro delle fanterie, che durò l'intera giornata. La battaglia fu decisa da un iniziale attacco della cavalleria di Costantino (posta dallo stesso in prima fila e comandata dall'imperatore in persona), che attaccò l'ala sinistra, distruggendola, mentre Licinio resisteva al centro. Costantino lo attaccò quindi sul fianco, costringendolo a fronteggiare la nuova minaccia, alla quale seguì una carneficina degli uomini di Licinio: 20.000 di loro morirono, e l'imperatore sconfitto dovette fuggire con la cavalleria verso Sirmio (città della Pannonia bagnata dalla Sava prima di gettarsi nell'Istro), approfittando del calar delle tenebre, ma abbandonando viveri, bestiame ed ogni altro equipaggiamento.
Da Sirmio, Licinio arretrò verso la Tracia dove pensava di raccogliere un nuovo esercito, tagliando dietro di sé il ponte sulla Sava. Costantino una volta conquistati Cibalae e poi Sirmio (l'attuale Sremska Mitrovica) fece ricostruire in due mesi il ponte sulla Sava e lanciò l'esercito all'inseguimento di Licinio.
Nel frattempo Licinio decise di elevare al rango di co-augusto (o cesare secondo Zosimo) Aurelio Valerio Valente, un atto che mostrava disprezzo per Costantino, il quale rifiutò le offerte di pace e lo affrontò nuovamente nella:
Battaglia di Mardia - l'attuale Harmanli in Bulgaria – (fine 316 o inizi 317): La battaglia ebbe inizio alle prime luci dell'alba. Durante il primo attacco gli eserciti, mantenendosi ad una certa distanza, si servirono degli arcieri, poi esauriti tutti i dardi si affrontarono nella mischia con lance, spade e pugnali in un corpo a corpo.
Costantino vinse la battaglia, anche se di misura (secondo Zosimo fu molto equilibrata fino a quando ad un segnale convenuto entrambi gli eserciti si ritirarono), inviando un contingente di cinquemila fanti a conquistare un'altura: al momento opportuno, questi uomini attaccarono alle spalle le truppe di Licinio, causando gravi perdite al nemico. L'esercito di Licinio riuscì ad evitare una rotta rovinosa, disponendosi su due fronti e continuando a combattere fino all'arrivo della notte, quando poté sganciarsi con ordine e rifugiarsi tra le montagne della Macedonia.
Il 1º marzo 317, i due avversari firmarono una pace che prevedeva la cessione dell'Illirico a Costantino e l'esecuzione di Aurelio Valerio Valente.
Nello stesso anno vennero nominati cesari Crispo, figlio di Costantino e della sua prima moglie Minervina morta di parto, per l'Occidente e Liciniano di appena due anni, figlio di Licinio e Costanza per l'Oriente. Si riproponeva così nella forma l'organizzazione tetrarchica voluta da Diocleziano, snaturandone però la sostanza con l'introduzione del principio dinastico nel meccanismo di successione.
Nel 323 lo sconfinamento dell'esercito d'Occidente in Mesia e Tracia – territori nella sfera d'influenza di Licinio – per contrastare un'invasione dei Goti, fornì il casus belli per il riaccendersi della guerra civile.
Battaglia di Adrianopoli (3 luglio 324):
Licinio era accampato presso Adrianopoli (l'attuale Edirne), Costantino giunse da Tessalonica con l'esercito, mentre la flotta raggiunse la foce dell'Ebro, proveniente dal Pireo, e si accampò presso il fiume. I due eserciti si disposero su un fronte di circa 20 stadi (Zosimo sostiene 200 – pari a poco più di 35 km. - ma la cifra appare inverosimile), Licinio a partire dal monte che sovrasta la città di Adrianopoli al punto in cui il fiume Tonzos si butta nell'Ebro.
I due eserciti si fronteggiarono per diversi giorni dalle opposte sponde dell'Ebro finchè Costantino, stanco di attendere, non ordinò ai suoi di portare legna e intrecciare funi nei pressi di un punto dove il fiume si restringeva per far intendere al nemico che vi intendeva costruire un ponte. Distolta l'attenzione del nemico con questo diversivo, portò 5.000 arcieri e 80 cavalieri su una collina al riparo di una fitta boscaglia, quindi, al comando di un piccolo contingente di cavalieri (Zosimo sostiene solo 12 ma anche in questo caso la cifra è poco credibile), guadò il fiume e piombò inatteso sul nemico seminando il panico.
Appena l'Ebro fu superato, anche altri cavalieri e poi tutto l'intero esercito, seguì l'augusto facendo strage del nemico che lasciò sul campo ben 34.000 morti.
Al tramonto Licinio, radunati i superstiti, si ritirò verso Bisanzio.
Battaglia dell'Ellesponto (Stretto dei Dardanelli, luglio 324): mentre Costantino cingeva d'assedio Bisanzio, il cesare Crispo, a capo della flotta, ricevette l'ordine di portarsi prima all'imboccatura dell'Ellesponto (l'attuale Stretto dei Dardanelli), e poi di forzare il blocco nemico. Crispo entrò nello stretto con sole 80 navi, le migliori della sua flotta; Abanto – che comandava la flotta di Licinio - al contrario, volle schierare tutte le sue 200 navi, in modo da essere certo di poter circondare la flotta avversaria. La scelta di Abanto si dimostrò errata, in quanto le sue navi, in uno spazio ridotto, si intralciarono a vicenda, urtandosi tra loro ed avanzando verso il nemico in modo disordinato; al contrario quelle di Crispo poterono manovrare meglio, affondando molte navi avversarie. Il calare della notte pose fine alla battaglia: Abanto si ritirò con alcune navi ad Aianton, altre trovarono rifugio ad Eleunte, in Tracia.
Il giorno successivo, spirando il vento da nord, Abanto esitò in un primo momento a schierare la flotta per l'attacco; Crispo portò all'interno dello stretto tutta la sua flotta, mettendo in difficoltà Abanto. Verso mezzogiorno il vento cambiò, spirando ora da sud e spingendo alcune navi di Abanto, prossime alla riva asiatica, contro la costa, alcune facendole arenare, altre affondandole contro gli scogli. Abanto si salvò raggiungendo la riva a nuoto dopo aver visto colare a picco la propria ammiraglia e mettendosi in salvo con sole 4 imbarcazioni. La flotta di Crispo completò l'opera, affondando tutte le restanti navi nemiche.
Dopo la disfatta navale che permise all'esercito di Costantino di ricevere i rifornimenti, Licinio arretrò ulteriormente ritirandosi verso Calcedonia con le sue truppe migliori e lasciando quelle più deboli a difesa di Bisanzio, pensando di poter raccogliere in Asia minore un nuovo esercito per continuare la guerra. Costantino traghettò a sua volta il grosso del suo esercito sulla sponda asiatica del Bosforo all'inseguimento del nemico. Licinio, messo con le spalle al muro, uscì dalla città e schierò l'esercito a battaglia nei pressi di Crisopoli.
Battaglia di Crisopoli (l'attuale Uskudar, 18 settembre 324): senza particolari accorgimenti tattici, Costantino lanciò un massiccio attacco frontale che travolse l'esercito di Licinio mettendolo in rotta. Licinio riuscì a riparare su Nicomedia con i pochi superstiti.
Assediato da Costantino e ormai senza speranza, Licinio decise di arrendersi ed uscì dalla città consegnandogli la porpora imperiale. Costantino gli risparmiò la vita e lo esiliò a Tessalonica ma l'anno successivo, accusandolo di aver complottato contro di lui, lo fece giustiziare.
La Tetrarchia era definitivamente finita e Costantino era l'unico signore di tutto l'impero.
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