venerdì 9 settembre 2016

Navarino (Pylos)

Navarino (Pylos)

Pianta della baia di Navarino.
Cerchiati in rosso il Palaiocastro (a sn.) ed il Neocastro (a ds.).

Conquistata dai crociati dopo la caduta di Costantinopoli (1204), nel 1281 entrò a far parte dei possedimenti di Nicola II di Saint Omer, signore di Tebe, che dal 1287 al 1289 ricoprì la carica di bailo del Principato d'Acaia per conto del regno angioino di Napoli. A questo periodo risale probabilmente la costruzione del castello noto come Palaiocastro che domina l'accesso settentrionale alla baia di Navarino. Attualmente è raggiungibile soltanto percorrendo un ripido sentiero che parte dall'ingresso alle cosiddette Cave di Nestore, sopra la spiaggia di Voidokilia, e conduce ad una breccia della cinta muraria.
 
Palaiocastro
 
Dopo la conquista latina, la città comincia a comparire nelle fonti con il nome greco di Ἀβαρῖνος che diviene Navarino in italiano. L'etimologia del nome deriva probabilmente da una parola slava che significa "aceri" di cui è piena la zona.
Dal 1423 Navarino entrò a far parte ufficialmente dei possedimenti veneziani in Morea. Qui s'imbarcò nel 1437 Giovanni VIII Paleologo per raggiungere il Concilio di Ferrara-Firenze.
Il 20 maggio 1501 fu espugnata dagli ottomani con un attacco congiunto di forze terrestri e navali.
Riconquistata dal Morosini dopo 12 giorni di assedio agli inizi della guerra di Morea (1686), tornò in mani ottomane nel 1715.
Gli insorti greci conquistano la città dopo mesi di assedio gli inizi della Guerra d'Indipendenza (1821-1828) e la tengono fino al 1825.
Il 20 marzo 1825, 14.000 uomini al comando di Ibrahim Pasha – il figlio adottivo del vicerè d'Egitto Mehemet Alì che guidava le truppe egiziane inviate in Morea su richiesta del sultano Mahmud II (1808-1839) per reprimere la rivolta greca - cinsero d'assedio la città. Navarino era difesa da una guarnigione di 2.000 greci al comando dell'arcivescovo di Modone e di Giorgio Mavromichalis, il figlio del Bey del Mani Petro Mavromichalis, mentre la difesa del forte (Neocastro, vedi oltre) e le artiglierie (40 bocche da fuoco quasi tutte concentrate nel Neocastro) erano affidate ad un ingegnere piemontese, il maggiore Giacinto Provana di Collegno.
 
Acquedotto
 
Tagliato l'acquedotto che riforniva la città, gli egiziani cominciarono a cannoneggiarla e, nella notte tra il 19 ed il 20 aprile, sbaragliarono lungo la strada tra Modone e Navarino il contingente di circa 8.000 uomini inviato dal governo provvisorio greco in soccorso della città.
L'8 maggio le truppe di Ibrahim Pasha occupano l'isola di Sphacteria che fronteggia la città massacrando i suoi 350 difensori guidati da Alessandro Mavrokordatos, che si salvò gettandosi in acqua, tra i quali si trovava anche il patriota italiano conte Santorre di Santa Rosa che cadde combattendo. Due giorni dopo si arrende la guarnigione del Palaiocastro: la città è adesso completamente accerchiata da terra e da mare e capitola il 23 dello stesso mese.
Il 20 ottobre 1827 nella baia di Navarino fu combattuta l'ultima grande battaglia della marineria a vela. La flotta franco-russo-britannica guidata dall'ammiraglio inglese Codrington – inviata con compiti d'interposizione tra gli insorti greci e le forze ottomane – ingaggiò battaglia penetrando nella baia e annientò la flotta turco-egiziana agli ordini diretti di Ibrahim Pascià.
La flotta alleata era formata da 10 navi da guerra, 10 fregate e 2 corvette contro le 3 navi da guerra, 17 fregate, 58 corvette e 5-6 brulotti turco-egiziani, per un totale di 1258 bocche da fuoco per gli alleati e 2180 per i turco-egiziani.
L'inferiorità numerica europea era però ampiamente compensata dal calibro maggiore e dalla velocità di fuoco delle artiglierie, dalla maggiore solidità delle navi e dall'addestramento degli equipaggi. Dopo quattro ore di combattimento soltanto una nave da guerra ottomana, completamente disalberata, due fregate e cinque corvette erano ancora in grado di rispondere al fuoco. Oltre all'intera flotta gli ottomani persero circa tremila uomini contro le 181 vittime che si contarono tra i marinai della flotta alleata.
 
Neocastro: fu fatto costruire dall'ammiraglio ottomano Uluç Ali Reis nel 1573 per controllare l'accesso meridionale alla baia.
Il forte consiste in due larghe batterie, la cui costruzione precede probabilmente quella della cittadella (3) a pianta esagonale eretta sulla sommità di una collinetta e rafforzata agli angoli da bastioni a punta di freccia.
 
1. Ingresso settentrionale
2. Ingresso principale
3. Cittadella
4. Ingresso alla cittadella
5. Bastione Verga
6. Forte Santa Barbara
7. Forte Santa Maria
a,b,c. Bastioni circolari
(in giallo le opere di fortificazione progettate dai veneziani e mai realizzate)
 
Ingresso alla cittadella (4)
 
Interno della cittadella
 
Tra le batterie fu quindi costruita una cinta muraria che racchiudeva uno spazio al cui centro venne edificata una moschea. Al forte si accedeva per mezzo di due porte, quella principale (attualmente chiusa) (2) si apriva sul lato settentrionale delle mura nei pressi dell'angolo NE dove sorge un bastione circolare (c); l'altra (da cui si accede attualmente) (1) si apriva nelle mura settentrionali.
 
Porta orientale (2)
 
La Porta orientale e, in primo piano, il bastione NE (c)
 
Porta settentrionale (1)
 
Durante l'assedio veneziano del 1686 fu colpita la polveriera che esplose distruggendo il bastione più settentrionale della cittadella.
Un altro bastione di forma circolare - costruito dagli ottomani lungo il fianco meridionale delle mura e noto come Bastione Verga (5) - adibito dall'esercito italiano a deposito i munizioni durante il secondo conflitto mondiale, bombardato dagli inglesi, esplose nel 1943.
Tra il 1686 ed il 1715, i veneziani progettarono una serie di opere che dovevano rafforzare le difese ma realizzarono solo due curiosi rivellini addossati all'esterno delle mura e noti come Forte di Santa Barbara (6) e Forte di Santa Maria (7).
 
Ingresso al Forte di Santa Barbara
 
Interno del Forte di Santa Barbara
 
Il Forte di Santa Barbara, che poteva ospitare una batteria di 15 pezzi d'artiglieria disposti su due livelli, fu gravemente danneggiato dagli ottomani durante l'assedio del 1825 e venne ricostruito dal corpo di spedizione francese del generale Maison che tenne il forte tra il 1828 ed il 1833.
Nello stesso periodo furono costruite le caserme tuttora visibili nei pressi dell'ingresso settentrionale (1).
 
Uno dei bastionia punta di freccia che rafforzano gli angoli della cittadella.
 

Chiesa della Trasfigurazione: fu costruita dagli ottomani come moschea tra il 1573 ed il 1595. Quando nel 1686 i veneziani occuparono la fortezza, la moschea fu convertita in chiesa cattolica e ridedicata a San Vito, la cui festa ricorreva il giorno in cui fu conquistata la città.
Riconvertita in moschea con il ritorno degli ottomani (1715), fu adibita a deposito di munizioni durante l'occupazione francese e riottenne il suo status di edificio di culto, consacrato al rito ortodosso, nel 1842.
 
 
La chiesa si trova attualmente all'interno di una cinta muraria – la cui altezza varia da m. 1,70 a 2,80 in rapporto all'andamento del terreno – nel cui versante orientale è inglobato il suo muro perimetrale.
 
 
L'edificio originario aveva una pianta quadrangolare ed era sopravanzato da un portico sul lato occidentale. In una seconda fase costruttiva vennero aggiunti sul lato meridionale due ambienti allungati e voltati a botte probabilmente utilizzati come magazzini.
Il portico poggia su un podio ed è formato da sei pilastri su cui s'impostano gli archi che li connettono nonchè quelli trasversali che terminano su semipilastri addossati alla facciata. I cinque vani del portico sono coperti da altrettante cupolette, la più meridionale delle quali non si è conservata.
 
Lato occidentale
 
In corrispondenza del vano centrale del portico si apre l'attuale ingresso principale della chiesa, nei vani a destra e a sinistra del quale si trovano due mihrab esterni e due archi ciechi.
L'aspetto interno è dovuto ad una ristrutturazione del tardo XVIII sec., dopo i gravi danni subiti dall'edificio durante la rivolta di Orlov (1770). A quest'epoca risalgono i quattro pilastri che sostengono la cupola (che infatti si trovano su una quota diversa rispetto alle pareti perimetrali), gli ingressi centrali aperti nei lati nord e sud e probabilmente anche il minareto in pietra porosa addossato al lato meridionale e di cui oggi rimane solo il basamento.
 
Il lato meridionale con i resti del minareto




 
 
 
 
 
 
 

 
 

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