giovedì 31 maggio 2012

S.Barnaba

S.Barnaba


E' chiamato apostolo benchè, come S.Paolo, non abbia fatto parte dei Dodici.
Si chiamava Giuseppe ed era giudeo di famiglia levitica emigrata a Cipro. Per questa sua discendenza levitica era probabile la sua frequente presenza a Gerusalemme.
Secondo gli Atti degli Apostoli si convertì al Cristianesimo poco dopo l'episodio della Pentecoste, vendette tutti i suoi averi e consegnò il ricavato alla Chiesa cristiana appena nata.
Dopo il battesimo fu rinominato Barnaba, che significa "figlio della consolazione" o "figlio dell'esortazione". Fu lui, divenuto un membro autorevole della prima comunità cristiana, a farsi garante di Saulo di Tarso, ex-persecutore dei cristiani, e recentemente convertitosi a Damasco, e che verrà chiamato Paolo.
Quando ad Antiochia iniziò la conversione dei primi cristiani non ebrei, Barnaba vi fu inviato insieme a Paolo, divenendo uno dei capi della comunità.
Da Antiochia, visto il successo tra i Gentili, partirono per evangelizzare altri popoli, accompagnati da Giovanni - il futuro Marco evangelista - parente di Barnaba. Si recarono prima a Cipro terra nativa di Barnaba stesso e successivamente in Asia Minore. A Perge in Panfilia Marco lasciò i suoi compagni per motivi non conosciuti, ma tale gesto dispiacque a Paolo che successivamente non lo volle più tra i suoi compagni di missione. Dopo un viaggio pieno di problemi e maltrattamenti ma di notevole successo missionario, viaggio che interessò Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe, tornarono ad Antiochia di Siria.
Ritroviamo di nuovo insieme Paolo e Barnaba intorno al 49 a Gerusalemme per la disputa sulla circoncisione o meno dei pagani convertiti. Il "concilio degli apostoli" diede loro ragione sulla non necessità dell'osservanza della legge mosaica per i neo-convertiti. A questo punto i due apostoli si separarono: Barnaba volle portare con sé, in un nuovo viaggio di evangelizzazione, Marco che Paolo memore della precedente separazione non gradiva. Secondo gli Atti degli Apostoli Paolo partì per l'Asia con Sila; Barnaba e Marco andarono a Cipro, tra il 50 e il 53.
Successivamente non è più menzionato negli Atti. Secondo quanto attestano alcuni cataloghi bizantini sui Discepoli del Signore (VII-VIII sec.), Barnaba si recò prima a Roma, insieme a Pietro, poi si spostò velocemente verso il nord d'Italia, per fondare la Chiesa in Milano.
Secondo lo scritto apocrifo Gli atti e il martirio di S. Barnaba a Cipro, composto nel V secolo, l'apostolo continuò a viaggiare e predicare fino a Salamis (Cipro) dove nel 61 sarebbe stato lapidato e bruciato dai giudei venuti dalla Siria, gelosi delle conversioni che egli operava. Sembra che al momento del martirio avesse in mano una copia del Vangelo di Matteo. Il suo corpo sarebbe stato ritrovato a pochi chilometri dalla città nel 488, sotto l'imperatore Zenone.

S.Barnaba e S.Epifanio, chiesa dei SS. Apostoli, Pera Chorio, Cipro, XII sec.


venerdì 25 maggio 2012

Flavio Stilicone


Flavio Stilicone

Flavio Stilicone nacque da padre vandalo, ausiliario romano, e da madre cittadina romana. Tuttavia si considerò sempre un romano, sebbene, come molti germani, fosse di confessione religiosa ariana, considerata eretica dal resto del Cristianesimo.
Entrò nell'esercito romano dove fece carriera al tempo di Teodosio I.
Nel 384, Teodosio lo inviò presso il re sasanide Sapore III per negoziare la pace e la spartizione dell'Armenia. La missione ebbe successo e tornato a Costantinopoli fu promosso al rango di generale, con il compito di difendere i confini dagli attacchi dei Visigoti: compito che svolse per circa vent'anni.
Riconoscendo il valore di Stilicone, Teodosio decise di imparentarsi con lui, dandogli in moglie la nipote, poi figlia adottiva Serena. Dalla loro unione nacquero Eucherio e due figlie: Maria e Termanzia che andarono in spose, in momenti successivi, all'imperatore Onorio.
Dopo l'assassinio dell'imperatore d'Occidente Valentiniano II nel 392, Stilicone mise insieme l'esercito che poi, sotto la guida di Teodosio, sconfisse nella Battaglia del Frigido le truppe dell'usurpatore Flavio Eugenio.
In questa battaglia Stilicone ebbe anche un ruolo di comando, avendo alle sue dipendenze il visigoto Alarico (che poi sarebbe divenuto suo nemico), che guidava un consistente numero di ausiliari goti. Stilicone si distinse particolarmente al Frigido e Teodosio vide in lui un uomo a cui poter affidare la difesa dell'Impero, tanto che lo nominò magister utriusque militiae nonché, poco prima di morire nel 395, custode e difensore del figlio Onorio, che all'epoca aveva solo dieci anni. Pare che Stilicone affermasse di essere stato nominato custode di entrambi i figli di Teodosio, e questo incrinò in pratica i suoi rapporti con la corte della metà orientale dell'Impero.
Nel 397 dovette fronteggiare la rivolta di Gildone, comes del Nordafrica, che voleva passare al servizio dell'Oriente.
Nel 398, per mantenere la sua presa su di lui, indusse Onorio appena adolescente a sposare la propria figlia Maria.
Nel 405 ordinò la distruzione dei libri sibillini, le cui profezie cominciavano a essere utilizzate per attaccare il suo governo.
Il 23 agosto del 406, al comando dell'esercito romano rafforzato da schiavi liberati e da truppe ausiliarie guidate dall'unno Uldino e dal visigoto Saro, sconfisse a Fiesole l'esercito ostrogoto di Radagaiso.
Per difendere l'Italia fu però necessario sguarnire le frontiere della Gallia, e proprio nel dicembre del 406, attraversando il Reno ghiacciato presso Mogontiacum, Vandali, Alani e Svevi invasero la provincia. L'immagine resta di portata storica epocale, in quanto questi popoli non sarebbero mai più usciti dall'Impero e vi avrebbero fondato, insieme agli stessi Visigoti, i primi regni romano-barbarici.
Per far fronte al peggiorare della situazione, agli inizi del 407, le province britanniche elevarono al rango di imperatore Flavio Claudio Costantino, un soldato comune, che assunse il nome di Costantino III. Con un gesto propagandistico, rinominò i propri figli Costante (Costante I, figlio di Costantino I, era stato l'ultimo imperatore romano a visitare la Britannia) e Giuliano e poi attraversò la Manica, raggiungendo Bononia.
Costantino mise al sicuro la frontiera renana con azioni militari e trattati e installò delle guarnigioni sui passi tra la Gallia e l'Italia. Entro il maggio 408 aveva fatto di Arles, sede del prefetto del pretorio delle Gallie, la propria capitale e ne designò come praefectus urbi Apollinare, il nonno di Sidonio Apollinare.
Stilicone non fu energico com'era stato con Radagaiso. La Gallia restò abbandonata, e Alarico iniziò a premere sulle frontiere dell'Italia, domandando il pagamento "per i servizi resi". La debolezza dell'impero, pur imputabile ad una catena di eventi scatenati dalla sconfitta di Adrianopoli e dall'inutile carneficina del Frigido, era palese.
Per di più la sua origine non romana e il suo credo ariano gli procurarono odio tra i cortigiani imperiali, specialmente Olimpio, che complottarono contro di lui nel 408, spargendo diverse voci: che aveva pianificato l'assassinio di Rufino, che stava brigando con Alarico, che aveva invitato i barbari nel 406 in Gallia e che stava progettando di mettere sul trono imperiale il figlio Eucherio.
Dopo la morte di Maria, Stilicone convinse Onorio a sposarne la sorella Termanzia (408), ma quello stesso anno Onorio sposò la causa degli oppositori del comandante, entrando così nella sfera d'influenza di Olimpio.
L'esercito si ammutinò a Pavia il 13 agosto, uccidendo almeno sette ufficiali anziani (Zosimo, 5.32). Stilicone si ritirò allora a Ravenna, dove fu preso prigioniero. Anche se avrebbe facilmente potuto evitare l'arresto e sollevare le truppe, non lo fece per timore delle conseguenze che il fatto avrebbe avuto sul destino del traballante impero occidentale. Fu giustiziato il 22 agosto 408 da Eracliano, mentre il figlio Eucherio riuscì a riparare a Roma dove si trovava la madre Serena. Entrambi furono catturati e giustiziati poco dopo per ordine del Senato.

Dittico di Stilicone

Dittico di Stilicone

E' un dittico consolare fatto realizzare dall'imperatore Onorio nel 400, in occasione del primo consolato di Stilicone. E' attualmente conservato nel Tesoro del Duomo di Monza a cui fu donato da Berengario I nel 900 circa.
Consiste in due tavolette unite da cerniera, l'interno delle quali, in legno, era rivestito di cera ed usato per la scrittura. All'esterno le tavolette sono rivestite in avorio e raffigurano, finemente intagliati, tre membri della famiglia di Stilicone rappresentati in posa frontale. Stilicone, è rappresentato armato di lancia e scudo, poggiato a terra; veste una tunica a maniche lunghe che arriva fino al ginocchio, ricoperta da mantello fissato con una fibula sulla spalla destra e cinge la spada. La moglie Serena presenta il tradizionale abito della matrona romana e la tipica acconciatura di quest'epoca, con orecchini e collana. Accanto compare il figlio Eucherio, in toga, che tiene in mano il dittico ricevuto per la nomina a notaio, avvenuta già nel 395.
Nell opera traspare la volontà di sottolineare l’importanza del Console che desiderava apparire il difensore dell’impero, soldato al servizio di due imperatori (Onorio ed Arcadio), i cui ritratti sono visibili in rilievo sullo scudo che egli regge in mano. Il dittico è molto probabilmente opera di una bottega milanese.

vedi anche scheda Il sarcofago di Stilicone.


mercoledì 23 maggio 2012

chiesa di santa Pudenziana

chiesa di santa Pudenziana


Per lungo tempo si è ritenuto che questa fosse la più antica chiesa cristiana di Roma: la chiesa sarebbe stata costruita sulla domus del senatore Pudente, che si trova nove metri sotto la basilica. Pudente, con le sue due figlie Pudenziana e Prassede, sarebbe stato convertito dall'apostolo Pietro che avrebbe dimorato sette anni nell'abitazione dell'amico durante la sua permanenza a Roma.
Origine e datazione della chiesa, pur antichissima, sono ancora in discussione. I lavori di restauro eseguiti negli anni quaranta portarono a conclusioni diverse rispetto alla versione tradizionale: le strutture della chiesa farebbero parte delle Terme di Novato del II secolo (1), un secolo dopo l'arrivo di Pietro, e la trasformazione delle terme in una chiesa sarebbe avvenuta alla fine del IV secolo, sotto il pontificato di papa Siricio (384-399).


Il complesso termale era costituito da due ambienti: uno rettangolare, circondato completamente da un ambulacro ed un altro, più piccolo, che ne costituiva l'ingresso e sul quale sorge adesso la cappella Caetani. Alle estremità della sala principale sorgevano due esedre,  di cui quella orientale ospita attualmente il catino absidale mentre l'altra venne distrutta per lasciare il posto al nuovo ingresso dell'edificio. L'ambulacro che girava attorno alla sala principale è rimasto praticamente integro nell'attuale zona retroabsidale, dove sono ancora visibili tratti della pavimentazione originale.
Inizialmente furono murate le finestre dell'esedra occidentale, quindi fu costruito il catino absidale con il mosaico ancora oggi visibile. A sostegno delle arcate laterali furono collocate 12 colonne di spoglio ancora in opera; l'ingresso fu ruotato di 90 gradi verso il Vicus Patricius (l'attuale via Urbana) e l'edificio assunse l'aspetto di basilica a tre navate.
L'aspetto attuale della chiesa è comunque in gran parte dovuto alla ristrutturazione voluta dal cardinale Enrico Caetani nel 1588.

Il mosaico absidale

Mosaico absidale

In passato era leggibile un'iscrizione molto rovinata che citava, proprio al di sotto del mosaico, papa Siricio (384-399): SALVO SIRICIO EPISCOPO ECCLESIAE SANCTAE ET ILICIO LEOPARDO ET MAXIMO PRESB (2). Il pontificato di papa Siricio è quindi anche quello più indicato per la datazione del mosaico. La parola salvo, anteposta nelle epigrafi al nome del personaggio raffigurato, significa infatti che era ancora vivente.
Il mosaico absidale ha sofferto nel tempo forti menomazioni, avendo perso, nei restauri promossi dal cardinale Enrico Caetani nel 1588, ed in altri successivi, tutta la fascia inferiore, nella quale apparivano gli apostoli a figura intera ed un agnello mistico su un monticello dal quale sgorgavano i 4 fiumi paradisiaci. Pare dietro l'Agnello ci fosse un drappo, e sopra una colomba, il tutto proprio sotto al Cristo. Anche la parte destra, che pure in parte resisteva, fu staccata e rifatta completamente a pittura su intonaco, mentre la rimosaicazione attuale è frutto dell'intervento di Vincenzo Camuccini nell'800. Come al solito in questi casi, non si può giurare sulla fedeltà dei restauratori del XVI secolo. Molto probabilmente infatti personaggi dell'epoca particolarmente cari al committente hanno “prestato” la propria fisionomia ai volti degli apostoli. Come sembra apparire confrontando il volto del secondo apostolo a destra con quello del ritratto di papa Paolo III Farnese (1534-1549), protettore della famiglia Caetani, eseguito da Tiziano nel 1543 (3).


Il mosaico mostra un Cristo in trono fra gli Apostoli (ne sono rimasti dieci, due sono andati perduti nel corso della ristrutturazione del XVI secolo). E' del tipo barbato, vestito di tunica e pallio dorati, e siede su cuscini di porpora al di sopra di un trono gemmato. Anche il nimbo è dorato. Nella sinistra tiene un libro aperto in cui si legge la scritta: DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE.
Oltre gli apostoli, compaiono tra gli astanti anche due figure femminili che agitano una corona, in passato identificate proprio come Prassede e Pudenziana. Oggi si preferisce l'interpretazione che le vuole figure allegoriche, rappresentanti rispettivamente l'ecclesia ex gentibus (la Chiesa) e l'ecclesia ex circomcisione (la Sinagoga). Sullo sfondo compare un emiciclo ed un paesaggio monumentale sul quale si è molto discusso: le ipotesi sono sostanzialmente due: che si tratti della zona romana del Vicus Patricius, dove sorgeva (e sorge) la chiesa, ipotesi che non trova corrispondenza nei dati archeologici, o che si tratti di una rappresentazione di Gerusalemme, sia che essa sia intesa come città materiale, sia che si voglia alludere a quella celeste (che si baserebbe però, in questo caso, su quella fisica, nel volto cristiano che aveva oramai assunto dopo le imprese monumentali di Costantino). A favore di questa interpretazione, la caratterizzazione non generica data ad alcuni edifici, come la rotonda preceduta da una basilica nella parte sinistra (e che corrisponderebbe al complesso Martyrion-Anastatis), e l'edificio ottagonale con un buco quadrato al culmine, corrispondente all'ottagono dell'Ascensione: proseguendo, almeno a voler seguire le corrispondenze che suggerisce il mosaico di Madaba, l'edificio subito a fianco potrebbe essere la basilica dell'Eleona.
La montagna alle spalle del Cristo è quindi il Golgota, e la croce gemmata come nella gigantesca stauroteca costruita da Costantino per conservare le relique della Vera Croce ritrovate da sua madre Elena. Molti storici mettono in dubbio però questo racconto, che è assente fino ad epoca tarda dalla tradizione greca: una stauroteca fu realizzata effettivamente da Teodosio II (408-450), ma non prima del 420, perciò o il mosaico di S.Pudenziana avvalorerebbe la notizia della stauroteca di Costantino, o andrebbe spostato a dopo l'opera di Teodosio II, il che appare problematico per vari motivi. Sopra la croce, in uno splendido cielo solcato da nuvole, compaiono i quattro simboli degli evangelisti; è interessante notare che essi non seguono l'ordine del libro dell'Apocalisse, ma la posizione dei vangeli della Vulgata, il che ha fatto pensare ad una mente iconografica proveniente da ambienti legati alla lezione di San Girolamo.

La domus pudentiana

Per mezzo di una porta, situata nella cappella Caetani, si accede ai resti della domus del senatore Pudente, 9 metri al di sotto dell'attuale piano della chiesa. Consta di 6 ambienti quadrati di 5 m. di lato, nei quali è possibile vedere resti di pavimentazione musiva. Su questo livello, incassato nella volta di una galleria, si trova un affresco (databile al IX secolo) in cui è raffigurato l'apostolo Pietro tra le sante Pudenziana (qui detta Potentiana) e Prassede. Molto probabilmente, come testimoniato anche dalla presenza di alcuni graffiti a carattere religioso rinvenuti a questo livello, dopo l'edificazione della chiesa, gli ambienti sottostanti vennero sistemati e utilizzati per fini di sepoltura e cultuali continuando ad essere frequentati dai fedeli.


L'Oratorio mariano

L’Oratorio cosiddetto mariano (per la presenza dell'immagine della Vergine) è costruito sopra l’antico deambulatorio preesistente alla basilica, attribuito alle antiche terme di Novato. Si trova alle spalle dell’abside, ad una quota notevolmente più alta, dovuta alla posizione della chiesa addossata alle pendici del Viminale ed è ora preceduto da un porticato prospiciente via Cesare Balbo.



È un ambiente di ridotte dimensioni e decorato ad affresco: le cornici decorative dividono la volta in cinque campi; l’Agnus Dei in quello centrale, è attorniato dai simboli degli Evangelisti accompagnati da iscrizioni in latino.


Sulla parete con l'altare è l'affresco con la Vergine, il Bambino, le sante Pudenziana e Prassede che reggono nelle mani la corona del martirio.


Sulla sinistra, sulla parete ad angolo, invece, sono affrescate loro storie di S. Paolo e del suo incontro con la famiglia di Pudente. In alto a sinistra si vede S. Paolo che predica il vangelo a Pudente ed alla sua famiglia (con la scritta PAVLVS ALENS MENTEm PLEBIS NATASQue PUDENTEM), in alto a destra l’apostolo battezza Novato e Timoteo, fratelli delle due sante, (con la scritta AUXIT MACTATOS HIC VIVO FONTE RENATOS), mentre in basso, più rovinati, si intravedono il battesimo delle due sante Prassede e Pudenziana e l’ordinazione sacerdotale conferita da Paolo a Timoteo. Questi ultimi episodi, oggi quasi completamente illeggibili, possono essere ricostruiti grazie a copie seicentesche fatte eseguire da Cassiano dal Pozzo (ora nelle collezioni reali dei Windsor). Infine, sulla parete opposta a quella di fondo è dipinto un angelo che incorona i santi Valeriano, Tiburzio e papa Urbano (nell'arco a sn dell'immagine).


Gli affreschi che si sono conservati risalgono molto probabilmente al pontificato di Gregorio VII (1073-1085).

Il protiro



Il protiro che precede il portale d'ingresso alla basilica è stato rimaneggiato, soprattutto nell'architrave, durante i restauri cinquecenteschi (l’intervento è chiaramente visibile nella strana disposizione delle varie parti). La datazione è discussa, ma si propende anche in questo caso per l’ epoca di Gregorio VII. L’architrave è stata, inoltre, pesantemente restaurata nell’ottocento, di modo che non sembra quasi consumata dal tempo.

Al centro è raffigurato Cristo sotto forma di agnello che porta la croce, l’Agnus Dei.
La scritta intorno al suo clipeo recita:

“+ MORTVVS ET VIVVS IDEM SVM PASTOR ET AGNUS + HIC AGNUS MUNDVm RESTURAT SANGVINE LAPSVM” (+ Morto e vivo io sono insieme pastore ed agnello + Quest’agnello con il suo sangue redime il mondo perduto).

Al di sopra dell’architrave corre la scritta:

“AD REQVIEM VITAE CVPIS, O TV QVOQVE VENIRE EN PETET, INGRESSVS FVERIS SI RITE REVERSVS, ADVOCAT IPSE QVIDEM VIA DVX ET JANITOR, IDEM GAVDIA PROMITTENS, ET CRIMINA QVAEQVE REMITTENS” (Oh tu che desideri venire al riposo della vita, ti sarà aperto l’ingresso se giustamente ritorni: ti chiama colui che è via, guida e portinaio, lo stesso che promette le gioie e che rimette le colpe)

A destra ed a sinistra dell’agnello sono raffigurate le due sorelle S. Prassede e S. Pudenziana, che hanno in mano due lampade, un riferimento alla parabola delle dieci vergini (4).
Ai due estremi dell’attuale sistemazione sono visibili a sinistra Pastore ed a destra Pudente.

Note:
(1) Studi più recenti, al contrario, sostengono che l'ubicazione in un edificio termale è da ritenersi infondata poiché non sono stati trovati bacini e condotti acquiferi, manufatti tipici di un edificio di quel genere.
 

(2) Frammenti di questa iscrizione sono oggi murati nella parete laterale della navata sinistra.

(3) Patrizia Rosini (cfr. P.Rosini, Un mistero durato cinquecento anni.Viaggio nel Rinascimento tra i Farnese e i Caetani: la Basilica di Santa Pudenziana) identifica i personaggi raffigurati sulla destra del mosaico nel rifacimento del 1588 secondo il seguente schema:

 
1. Papa Paolo III (Alessandro Farnese);
2. Pier Luigi Farnese, primogenito di papa Paolo III, duca di Parma e Piacenza (1543-1545);
3. Giulia Farnese, sorella di Paolo III e amante di Alessandro VI Borgia che, per sua intercessione, conferì al fratello la porpora cardinalizia (1493);
4. San Francesco Saverio;
5. Vittoria Farnese, figlia di Pier Luigi Farnese e Gerolama Orsini, nel 1584 sposò Guidobaldo II della Rovere divenendo duchessa di Urbino (è l'unica vivente al momento del rifacimento del mosaico). La sua fervente devozione cristiana, le sue opere pie e la sua disponibilità verso i propri famigliari ed i poveri di Urbino probabilmente le valsero l'onore di impersonare Santa Pudenziana.
 
La studiosa giunge a queste conclusioni comparando i ritratti noti dei membri della famiglia Farnese alle fisionomie dei personaggi raffigurati e motiva la scelta del cardinale Enrico Caetani di rappresentarli nel mosaico con i forti legami di amicizia che intercorrevano tra le due famiglie. La presenza di Francesco Saverio (non ancora santificato al momento del rifacimento), compagno di Sant'Ignazio di Loyola e inviato da Paolo III ad evangelizzare le Indie orientali, è spiegata con la particolare stima che aveva di lui Paolo III e con l'appoggio che la Compagnia di Gesù (a cui Paolo III concesse l'approvazione pontificia) aveva sempre garantito al cardinale Enrico Caetani.
Rimane ignota la mano dell'autore del rifacimento cinquecentesco per il quale è stato proposto il nome di Giovanni De Vecchi, che lavorò per il cardinale Alessandro Farnese jr. (figlio di Pier Luigi e fratello di Vittoria Farnese, detto "il gran cardinale") nella residenza di Caprarola, ma non vi sono prove documentarie.
 
(4) Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell'olio; mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell'olio nei vasi.
Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono.
Verso mezzanotte si levò un grido:
"Ecco lo sposo, uscitegli incontro!"
Allora tutte quelle vergini si svegliarono e prepararono le loro lampade.E le stolte dissero alle avvedute: "Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono".
Ma le avvedute risposero: "No, perché non basterebbe per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene!"
Ma, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi vennero anche le altre vergini, dicendo:
"Signore, Signore, aprici!" Ma egli rispose: "Io vi dico in verità: Non vi conosco". Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora (Matteo, 25, 1-12)

 

martedì 22 maggio 2012

Le gammadie

Le gammadie


Le lettere chiamate gammadiae - dal lat. medievale gammadia, in origine neutro plurale (singolare gammadion o gammadium, dal nome della lettera greca γάμμα) - sono monogrammi cristologici che appartengono al linguaggio cristiano antico. Il loro impiego nell'iconografia comincia nel III secolo e termina nel XIV. Solitamente appaiono come motivi ornamentali nelle vesti del Cristo, degli apostoli e dei santi.
La I (iota) rappresenta l'iniziale del nome di Gesù (Ιησούς).
Γ (gamma) è la terza lettera dell'alfabeto greco e rappresenta la Trinità. A volte si può trovare in posizione inversa o raddoppiata ΓΓ .
La Z (zeta) è l'iniziale della parola Vita (ζωή). Luce e vita sono termini intercambiabili e l'una richiama l'altra.
La H (eta) è l'ottava lettera dell'alfabeto greco. Rappresenta quindi l'ottavo giorno, quello della Resurrezione (1).
Quattro segni di gamma maiuscolo (Γ), variamente disposti a formare una croce (), una svastica o altro segno sono considerati rappresentazioni di Cristo, raffigurato dalla croce, in mezzo ai quattro Evangelisti, raffigurati dalle squadre; l’insieme equivale dunque alla raffigurazione di Cristo stesso in mezzo ai quattro viventi della visione di Ezechiele e dell’Apocalisse, che sono i più comuni simboli degli Evangelisti.

Basilica Eufrasiana, Parenzo, 539-560

chiesa di S.Vitale, Ravenna, 525-547
 
Note:
 
(1) Per gli ebrei, il sabato rappresenta il settimo giorno della creazione in cui Dio si riposò (Gen II, 2) e che sono tenuti a santificare. Tutti e quattro i Vangeli sinottici concordano sul fatto che Gesù è risorto nel giorno dopo il sabato. L'ottavo giorno – il primo di una nuova settimana (ma anche di un nuovo ciclo o di una nuova era) è quindi quello della Resurrezione.


lunedì 21 maggio 2012

chiesa di S.Teodoro

chiesa di San Teodoro al Palatino, Roma

Si trova lungo le pendici nordoccidentali del colle Palatino.
La chiesa esiste probabilmente fin dal VI secolo. La dedica ad un santo orientale – S.Teodoro Tirone di Amasea - fa infatti supporre una concomitanza con lo stabilirsi delle autorità bizantine nella domus flavia-augustana sul Palatino dopo la riconquista di Roma (536). L'impianto circolare risalirebbe ad un precedente tempio pagano riadattato e trasformato in chiesa.
Sotto papa Niccolò V (1447-1455), in occasione del Giubileo del 1450 e pochi anni dopo, venne effettuato un generale e massiccio rifacimento, a cui si deve gran parte dell’aspetto attuale della chiesa, con la realizzazione, tra l’altro, della prima cupola di tipo rinascimentale costruita a Roma: questi lavori sono stati attribuiti dal Vasari a Bernar­do Rossellino. I lavori di ristrutturazione conservarono però l'abside del VI secolo anche se il mosaico del catino appare fortemente rimaneggiato da maldestri restauri succedutisi nel tempo.

Mosaico absidale

Nel mosaico absidale Cristo è seduto su un globo rappresentante i cieli stellati, affiancato da Pietro e Paolo e dai martiri Teodoro (una aggiunta dovuta al restauro di papa Niccolò V) e Cleonico (?)*: Cristo indossa una veste nera con laticlavi d'oro, simboli di un elevato status nella società romana, la destra benedicente mentre nella mano sinistra tiene una croce astile. Alla sua destra Paolo con in mano il rotulo che introduce un santo giovane e imberbe, alla sua sinistra Pietro con in mano le chiavi che presenta un santo identificato con S.Teodoro (cfr. mosaico dei SS. Cosma e Damiano). Al di sopra del Cristo, tra nuvole multicolori, la dextera dei gli impone la corona d'alloro del martirio.
Dal 1 luglio 2004, papa Giovanni Paolo II ha concesso l'uso della chiesa al patriarca di Costantinopoli e alla comunità greco-ortodossa di Roma.

* Cleonico era un compagno d'armi di S.Teodoro da lui convertito alla fede cristiana. Scoperto tale fu portato dinanzi al governatore e selvaggiamente bastonato insieme ai suoi compagni Eutropio e Basilisco ma furono subito guariti dalle loro ferite da un'apparizione del Signore e di san Teodoro.
Il governatore, visto che con la forza non riusciva ad ottenere la loro conversione al paganesimo, volle cambiare strategia: li divise e cercò di convincere con lusinghe e promesse san Cleonico a ripudiare la fede cristiana. Il tentativò fallì miseramente, poiché san Cleonico, anziché lasciarsi corrompere, derise sfacciatamente il governatore che continuava a dare importanza agli idoli. Con le loro preghiere, i santi fecero ribaltare la statua di Artemide e questo provocò il loro martirio cruento: i santi Eutropio e Cleonico furono crocifissi, mentre san Basilisco fu gettato in prigione e vi morì molto tempo dopo. La sua identificazione poggia comunque solo su questa narrazione che lo lega a S.Teodoro.

domenica 20 maggio 2012

chiesa di Santa Prassede

chiesa di Santa Prassede, Roma



La chiesa attuale si deve al rifacimento operato da papa Pasquale I nell'817, che costruì un nuovo edificio sacro al posto del precedente, ormai fatiscente e dedicato a Santa Prassede. La nuova chiesa era destinata ad accogliere le ossa dei martiri sepolti nel cimitero di Priscilla. Fin dal IX secolo la chiesa era inserita nel tessuto edilizio a tal punto che la facciata non era visibile dalla strada, come lo è tuttora.
Nella prima metà del XIII secolo, le strutture della navata centrale furono rafforzate con l'inserimento di tre grandi archi e sei grossi pilastri. In questo stesso periodo fu aggiunto il campanile, inserito però occupando parte del transetto di sinistra. Probabilmente a causa della sopravvenuta mancanza di simmetria del transetto, alla fine del secolo fu inserita nel transetto di destra, la cappella che oggi si chiama del Crocifisso.
Altri interventi, interni alla chiesa, si operarono nei secoli successivi, commissionati dai vari cardinali titolari della basilica.
In particolare si ricordano gli interventi dei cardinali Antonio Pallavicini Gentili, che rifece la zona del presbiterio; Carlo Borromeo, che rifece la scalinata d'accesso, il portale centrale e la sacrestia, mise la copertura a volte nelle navate laterali, aprì le otto grandi finestre della navata centrale (erano 24 ai tempi di Pasquale I); Alessandro de' Medici commissionò la decorazione di tutta la navata centrale; infine il cardinale Ludovico Pico della Mirandola, nella prima metà del XVIII secolo, su indicazione del sinodo romano del 1725, fece cercare le reliquie antiche, e questo occasionò un nuovo intervento nella zona presbiteriale ed il rifacimento della cripta.
Nel corso dei secoli XIX e XX diversi interventi mirarono al recupero delle strutture medievali attraverso la distruzione delle aggiunte successive: così nel 1918 fu rifatto il pavimento in stile cosmatesco, e nel 1937 venne tolto l'intonaco della facciata per ripristinare l'antica struttura.


La facciata, non visibile dalla strada, è all'interno di un cortile quadrangolare delimitato da edifici abitativi. L'accesso allo spazio aperto, che rimarca, seppur in parte, l'antico quadriportico paleocristiano, si ha attraverso una lunga scalinata in discesa che si apre su via di San Martino ai Monti con l'antico protiro originale sorretto da due colonne di spoglio e sormontato da una loggetta in un sobrio stile barocco aggiunta nel XVI secolo (1).
La facciata, con paramento murario costituito da mattoni a vista, possiede ancora le tre monofore ad arco a tutto sesto paleocristiane e, nella parte inferiore, il portale barocco con un timpano marmoreo e un cornicione riccamente scolpito.

Ingresso su via s.Martino ai Monti (1)


All'interno la basilica si presenta a tre navate suddivisa da colonne e dai pilastri che reggono gli arconi di rafforzamento del XIII secolo.
La zona del presbiterio è dovuta ai rifacimenti voluti dal cardinale Ludovico Pico della Mirandola ed eseguiti tra il 1728 ed il 1734; in questa occasione furono trovate molte reliquie al di sotto dell'altare maggiore. I lavori portarono alla realizzazione della balaustrata, di tre rampe di scale (due laterali di accesso alla zona presbiterale ed una, quella centrale, alla cripta), del ciborio, del nuovo altare e degli stalli lignei del coro.
Questa nuova sistemazione del presbiterio sconvolse i progetti originari di papa Pasquale; infatti l'attuale ciborio diventa il nuovo fulcro di attrazione, sovrapponendosi però alla retrostante decorazione musiva dell'abside.

Catino absidale:


Nella parte superiore, è collocato al centro, tra nuvole stilizzate, il Cristo in piedi con aureola dorata, in cui campeggia una croce azzurra; egli ha la mano destra alzata per mostrare i segni dei chiodi e la mano sinistra racchiusa attorno ad un rotolo. Sopra il Cristo è la dextera dei, che, emergendo tra le nuvole, impone al figlio la corona della gloria.
Ai lati di Gesù si trovano: alla sua sinistra le figure di san Pietro, santa Pudenziana e un diacono (la cui identificazione è incerta); alla sua destra le figure di san Paolo, santa Prassede e di papa Pasquale I (con l'aureola quadrata che contraddistingue i vivi, e che presenta un modello della chiesa offrendolo a Gesù).

Papa Pasquale I (817-824)

Questi sette personaggi sono racchiusi in uno spazio delimitato da due palme, che richiamano il paradiso: sulla palma di sinistra, è raffigurata la fenice (simbolo di nascita e di rinascita). Questa parte è separata dalla successiva dalla rappresentazione stilizzata del fiume Giordano, così come ricorda la scritta ivi apposta (Iordanes).
Nella parte inferiore del mosaico absidale sono rappresentati 13 agnelli. Al centro è Cristo, Agnello pasquale, posto su una piccola altura da cui sgorgano i quattro fiumi del Paradiso, che scorrono nella direzione dei quattro punti cardinali (simbolicamente rappresentano anche i quattro evangelisti). I sei agnelli per lato, che guardano in direzione dell'Agnello-Cristo, raffigurano i dodici apostoli; ai lati dei due gruppi di apostoli vi sono le rappresentazioni delle città di Betlemme (a sinistra) e di Gerusalemme (a destra). Questa parte inferiore del catino absidale è chiusa dall'iscrizione fatta apporre da papa Pasquale I, con la quale il pontefice spera che l'offerta a Cristo del nuovo edificio gli garantisca un posto nel paradiso.

Arco absidale:


L'iconografia dell'arco absidale fa riferimento al libro dell'Apocalisse.
Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola (Ap, 4)
Al centro dell'arco è posta la figura di Cristo-Agnello, all'interno di un medaglione blu: egli è seduto su un trono, ai cui lati ci sono i sette candelabri, che l'Apocalisse identifica con le chiese dell'Asia - Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea - (Ap,1,20). Ai piedi del trono c'è un rotolo bianco attraversato da sette segni neri, il rotolo dei sette sugilli (Ap, 5,1). Completano la rappresentazione quattro angeli, quattro esseri viventi e ventiquattro vegliardi: tutte queste figure sono equamente distribuite nella parte destra e sinistra dell'arco absidale.
Gli angeli sono raffigurati in piedi, sopra delle piccole nubi. I quattro esseri viventi sono identificati con i quattro evangelisti: ciascuno infatti porta in mano un libro, il vangelo. A destra c'è l'aquila (Giovanni) ed il toro (Luca); a sinistra un uomo (Matteo) ed il leone (Marco). I vegliardi sono posti sotto gli evangelisti, dodici per parte, suddivisi in tre file di quattro personaggi: essi sono vestiti di bianco, e con le mani velate offrono a Cristo delle corone d'oro.

Arco trionfale:


Al centro dell'arco, all'interno di una cittadella stilizzata (la Gerusalemme celeste), sono raffigurati 21 personaggi. Al centro c'è Cristo con tunica rossa, affiancato da due angeli; al di sotto di questi, a sinistra le figure di Maria e Giovanni Battista, a destra santa Prassede.
Seguono i dodici apostoli, sei per lato. Alle estremità si trovano: a sinistra Mosè che tiene in mano una tavola con la scritta Lege (legge); a destra il profeta Elia che tende le braccia verso Cristo. Vicino ad Elia, vi è la raffigurazione di un angelo, con in mano un libro, simbolo dell'antico testamento, ed una canna (Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura, Ap 1, 15).
La cittadella ha due porte aperte, a destra e a sinistra, entrambe custodite da un angelo (Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte, Ap 21, 25-26)
.
All'esterno della cittadella, su due ordini, sono rappresentati gli eletti di cui parla l'Apocalisse (7,4 e 14,1). Gli eletti dell'ordine superiore, sono suddivisi in due gruppi, a destra e a sinistra, entrambi guidati da un angelo con le ali alzate e che indica loro l'entrata della città: si possono riconoscere Pietro e Paolo (a destra), vescovi (con casula e pallio), martiri (con la corona), donne riccamente vestite, ufficiali (con la clamide). In particolare il corteo di sinistra è aperto dalle sante Pudenziana e Prassede seguite da una figura vestita di verde – un alto dignitario – e da una con il pallio, probabilmente un papa.
Nell'ordine inferiore sono raffigurati altri eletti, in modo indistinto, che agitano rami di palma (Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani Ap 7,9) .
Le basi dell'arco trionfale sono state modificate dal cardinale Carlo Borromeo (canonizzato da papa Paolo V nel 1610), che fu titolare della chiesa dal 1564 al 1584, per la costruzione di due edicole per la conservazione dei reliquiari; ciò ha comportato la distruzione della parte inferiore del mosaico.

Cappella di S.Zenone (16):


L'oratorio venne eretto da papa Pasquale I (817-824) come sacello funerario per la madre Teodora e dedicato al martire romano Zenone.
La decorazione esterna alla cappella si suddivide in due ordini. Nell'ordine inferiore è l'entrata dell'oratorio, composta da materiali di reimpiego, rimaneggiato nel corso dei secoli: l'architrave sorretto da due colonne con capitelli, le fasce marmoree che costituiscono gli stipiti della porta, l'urna cineraria sopra l’architrave.
L'ordine superiore è composto da una serie di decorazioni musive inquadrate dentro un rettangolo. Attorno alla finestra centrale sono disposte due serie di clipei. Nella prima serie, quella immediatamente attorno alla finestra, troviamo al centro l’immagine della Madonna col bambino, e vicino due santi; seguono otto figure di sante, quattro per parte. Nella seconda serie di clipei, abbiamo al centro la figura di Cristo con i dodici apostoli, sei per parte. Nei quattro angoli, abbiamo nella parte alta due figure di attribuzione incerta (forse Mosè ed Elia; nella parte inferiore altre due figure, eseguite nel XIX secolo, forse i papi Pasquale I ed Eugenio II, suo successore.

Nel corso dei secoli, all'unica entrata, che dava sulla navata destra della basilica di santa Prassede, furono aggiunte altre due porte per mettere in comunicazione il sacello con le cappelle del cardinale Coëtivy a sinistra (14) e della colonna della flagellazione a destra (17).

colonna della Flagellazione

In una nicchia, aperta sia sulla cappella di san Zenone che sulla navata destra, si conserva una colonna alta circa 63 cm e con un diametro che varia da 13 a 20 cm, che si ritiene sia stata la colonna alla quale Gesù abbia subito la flagellazione. Questa colonna fu portata a Roma da Gerusalemme dal cardinale Giovanni Colonna nel 1223. La colonna è inserita all'interno di una edicola-reliquiario in bronzo, eseguito nel 1898 su disegno di Duilio Cambellotti.

Ai quattro angoli dell'ambiente sono poste quattro colonne con capitelli dorati, che non hanno altra funzione se non quella di piedistallo ideale ai quattro angeli presenti nella volta, i quali a loro volta reggono un clipeo, al cui interno è raffigurato Cristo pantocratore.

volta


Nella parete di controfacciata è rappresentato un trono gemmato, con una croce dorata sul cuscino, e i santi apostoli Pietro e Paolo (etimasia).

controfacciata


La decorazione musiva della parete di sinistra è divisibile in tre parti:
nella parte superiore le figure intere delle sante Agnese, Pudenziana e Prassede, che, con le mani velate, presentano la corona del martirio;


 nel sottostante intradosso dell'arco, abbiamo la rappresentazione della liberazione dagli inferi di Adamo ed Eva, ad opera di Gesù.
La decorazione della nicchia sottostante è suddivisa a sua volta in due parti: nella parte superiore è rappresentato l'Agnello-Cristo su un monte con due cervi che si dissetano ai quattro fiumi che ne sgorgano; nella parte inferiore i busti di Maria Vergine, le sante Prassede e Pudenziana, e Teodora, madre di papa Pasquale (con il nimbo quadrato, segno che era vivente al momento dell'esecuzione del mosaico).
La madre del papa è indicata inoltre con il titolo di episcopa. I sostenitori dell'ordinazione delle donne sottolineano che da un punto di vista linguistico episcopa è il femminile latino del greco episkopos (επίσκοπος), il termine biblico tradizionale per vescovo. Di conseguenza affermano che la Teodora dell'iscrizione è di fatto il Vescovo Teodora, dimostrazione dell'ordinazione delle donne nella chiesa cristiana del IX secolo.
I critici di questi argomenti sottolineano, tuttavia che la feminilizzazione dei termini clericali erano tradizionalmente associati alle mogli del clero. Presbytera e diakonissa sono ad esempio usate attualmente per indicare le mogli dei presbiteri e dei diaconi nella Chiesa ortodossa. Poiché la chiesa antica aveva vescovi sposati, il titolo di episcopa indica la moglie di un vescovo.
Di conseguenza nel caso della Teodora del IX secolo il titolo onorario di episcopa le fu dato a causa della posizione del figlio come Vescovo di Roma (1).



La parete di fronte all'entrata è la parete dell'altare. Anche qui troviamo diversi elementi:
nella parte superiore, sono le figure intere di Maria, madre di Gesù, e di san Giovanni Battista, in adorazione di Cristo (Deesis), qui rappresentato dalla luce che entra dalla finestra;
nella nicchia successiva è descritta la Trasfigurazione con le figure di Cristo con Mosè e Elia e i tre apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo.
L’edicola lignea sottostante inquadra un mosaico di epoca successiva (1265-1285) raffigurante la Madonna ed il Bambino che reca un cartiglio con la scritta EGO SUM LUX. Ai lati S.Pudenziana e S.Prassede.



Infine, nella parete di destra troviamo le figure intere dell'evangelista Giovanni, con in mano il libro del Vangelo, e degli apostoli Andrea e Giacomo. Nella lunetta sottostante, i busti di Cristo benedicente e di due santi, di identificazione incerta (forse san Valentino e san Zenone. Secondo una versione infatti i resti di S.Valentino e S.Zenone – che sarebbero stati fratelli – inizialmente sepolti nelle catacombe di S.Valentino ai piedi dei Monti Parioli, furono fatti traslare qui da papa Pasquale I (817-824) nel sacello da lui fatto costruire per accogliere le spoglie della propria madre Teodora e dedicato a S.Zenone)


Note:

(1) Sul tema dell'ordinazione delle donne vedi anche il Sepolcro di donna Cerula in Napoli bizantina.



 








sabato 19 maggio 2012

Santa Pudenziana e Santa Prassede

Santa Pudenziana e Santa Prassede

Santa Pudenziana e Santa Prassede ai lati dell'apostolo Pietro, IX secolo
Sotterranei della chiesa di Santa Pudenziana
Roma

Secondo la tradizione il senatore Pudente, insieme alle sue figlie Pudenziana e Prassede, fu una delle prime persone convertite a Roma dalla predicazione di S.Paolo.
Pastore, prete di Roma, scrive a Timoteo discepolo di S. Paolo, che Pudente amico degli Apostoli, dopo la morte dei suoi genitori e della moglie Savinella, aveva trasformato la sua casa in una chiesa con l’aiuto dello stesso Pastore.
Alla morte di Pudente, le sue due figlie, con l’accordo del prete Pastore e del papa Pio I (140-155), costruiscono un battistero nella chiesa fondata dal padre, convertendo e amministrando il battesimo ai numerosi domestici e a molti pagani.
Pudenziana muore all’età di sedici anni, forse martire e viene sepolta presso il padre Pudente, nel cimitero di Priscilla, sulla via Salaria. Dopo un certo tempo, anche il fratello Novato si ammala e prima di morire dona i suoi beni a Prassede, a Pastore e al papa Pio I.
Prassede chiede allora al papa Pio I, di edificare una chiesa nelle terme di Novato ‘in vico Patricius’, il papa acconsente intitolandola alla beata vergine Pudenziana, inoltre erige un’altra chiesa ‘in vico Lateranus’ intitolandola alla beata vergine Prassede, probabilmente una santa omonima.
Due anni dopo scoppia un’altra persecuzione e Prassede nasconde nella sua chiesa molti cristiani; l’imperatore Antonino Pio (138-161) informatone, ne arresta e condanna a morte molti di loro. Prassede durante la notte provvede alla loro sepoltura nel cimitero di Priscilla, ma molto addolorata per questi eventi, ottiene di morire martire anche lei qualche giorno dopo.

Alla destra del Cristo, tra San Paolo e papa Pasquale I, Santa Prassede. Alla sua sinistra, tra san Pietro ed un diacono, Santa Pudenziana, IX secolo.
Chiesa di Santa Prassede, Roma

Santa Pudenziana, XIII sec.
chiesa di Santa Passera
Roma




mercoledì 16 maggio 2012

L'oratorio di Giovanni VII

L'oratorio di Giovanni VII nell'antica basilica di S.Pietro



 
Papa Giovanni VII (705-707), al secolo Benedetto Senidega, nato a Rossano, è il primo papa appartenente all'aristocrazia bizantina stabilitasi in Italia dopo la Renovatio imperii di Giustiniano. Il padre era infatti il funzionario che sovrintendeva ai lavori di restauro del palazzo imperiale del Palatino, divenuto sede del governatore.
E' anche il papa che scelse per un periodo di lasciare l'episcopio lateranense per trasferirsi nel Palazzo del Palatino nella Domus Tiberiana. Tale spostamento ebbe un significato politico di grossa portata, perché il Papa con questo trasferimento si metteva apertamente sotto la protezione del governatore bizantino. Molto probabilmente, il Papa volle volontariamente schierarsi dalla parte dei Bizantini non per preferenza personale ma piuttosto perché non sentiva di poter resistere a Giustiniano II, nonostante le aspre critiche dei contemporanei e nonostante gli ottimi rapporti che intratteneva con i Longobardi.
Giovanni VII morì dopo poco più di due anni di pontificato nel suo nuovo palazzo e fu sepolto proprio nell'oratorio dedicato alla Vergine da lui fatto costruire nella controfacciata e all'angolo nordoccidentale dell'antica basilica di S.Pietro, all'incirca nella posizione dove è attualmente collocata la Pietà di Michelangelo. L'oratorio fu demolito nel 1609 quando iniziarono i lavori per la nuova facciata del Maderno.
Alcuni schizzi realizzati da Giacomo Grimaldi, notaio apostolico e archivista della basilica, ai primi del XVII secolo, consentono di ricostruirne l'aspetto.
L'oratorio era delimitato da setti murari alti circa 3 metri che chiudevano lo spazio tra le colonne delle prime tre arcate della navata settentrionale. Sul varco di accesso si leggeva il titulus del pontefice committente: "di Giovanni servo di santa Maria".


Le pareti erano rivestite di marmi bianchi venati alternati a lesene di spoglio e di imitazione.
L'altare di marmo frigio, dedicato alla Madre di Dio di cui custodiva una reliquia, era addossato alla parete di fondo. Al di sopra di questo si ergeva un archivolto decorato a mosaico e sostenuto da due colonne tortili decorate da tralci d'edera. Ai piedi dell'altare si trovava la tomba del pontefice.

I disegni di Grimaldi mostrano inoltre l'esistenza di due cicli musivi, uno dedicato a Cristo, l'altro a San Pietro. Quest'ultimo raffigura la sua predicazione a Gerusalemme, Antiochia e Roma, la sua lotta con Simon Mago e il suo martirio; nelle immagini in cui predica, l'apostolo è insolitamente molto più grande rispetto a coloro che lo ascoltano in ginocchio. Tutto ciò induce a ritenere che si intendesse sottolineare il primato di Pietro, e quindi del papa, visto che l'apostolo era stato il primo vescovo di Roma, sia in Oriente, sia in Occidente.
 

Il ciclo cristologico si disponeva invece attorno ad una nicchia delimitata da colonne di marmo nero che accoglieva un grande mosaico raffigurante Maria Regina con il papa nell'atto di offrirle il modello dell'oratorio.

 Alcuni frammenti della decorazione musiva sono giunti fino ai nostri tempi:

L'adorazione dei Magi, attualmente collocata nella sacrestia della chiesa di S.Maria in Cosmedin, Roma
 
Giovanni VII raffigurato nell'atto di offrire il modellino dell'oratorio alla Vergine, attualmente collocato nelle Grotte vaticane. Il nimbo quadrato significa che il ritratto fu eseguito mentre il pontefice era ancora in vita.



Maria Regina, attualmente nella cappella Ricci della chiesa di S.Marco a Firenze, dove fu collocata nel 1609, secolo a cui risalgono anche le integrazioni ad affresco raffiguranti S.Domenico e S.Raimondo. La Vergine in posizione di orante è abbigliata come una basilissa greca. Nel disegno di Grimaldi questa immagine appare essere stata collocata nell'oratorio immediatamente al di sopra dell'altare. 
 
Frammento raffigurante la Vergine probabilmente appartenente alla scena della Natività. Attualmente nel museo diocesano del Duomo di Orte.

 
Frammento raffigurante S.Giuseppe seduto su un masso (fortemente rimaneggiato). Apparteneva molto probabilmente anch'esso alla scena della Natività e si trova attualmente al museo Puskin di Mosca.
 
Bagno del Bambino (parzialmente ricostruito)
Grotte vaticane