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Interno
Le origini dell’edificio sono tuttora
ignote, anche se la maggior parte degli studiosi tende ad attribuirne
la fondazione ai Longobardi.
Compare per la prima volta, in un documento della prima metà del
X secolo, con cui il vescovo di Capua, Pietro I, concede ai monaci
dell’abbazia di Montecassino, la chiesa di San Michele Arcangelo,
prima detta ad arcum Dianae nei documenti coevi, poi, in
quelli successivi, ad Formas, e, infine, Informis, o in
Formis.Assai controversa è l’interpretazione etimologica: basandosi sul significato del vocabolo latino forma (acquedotto) si è ipotizzato che tale denominazione fosse legata alla presenza di falde o di condutture d’acqua nel territorio circostante; altri, invece, attenendosi al significato della parola informis, ossia privo di forma, e quindi spirituale, propendono per un’interpretazione “teologica”.
Nel 943 il vescovo di Capua, Sicone, più volte accusato di negligenza nell’esercizio dei suoi poteri, si impossessò della chiesa, sottraendola ai monaci di Montecassino. In quello stesso anno i monaci cassinesi fecero ricorso al pontefice Marino II, il quale ingiunse al vescovo la restituzione dell’edificio.
Nel 1065 la chiesa, divenuta nel frattempo nuovamente di proprietà vescovile, fu ceduta a Riccardo Drengot, principe normanno di Capua e conte di Aversa, affinché questi, desideroso di purificare la propria anima dai peccati di una vita violenta, vi costruisse un cenobio.
Nel 1072 Riccardo concesse all’abate
di Montecassino, Desiderio (il futuro papa Vittore III), il cenobio
con tutte le sue pertinenze. Fu probabilmente proprio in quella
occasione che l’abate iniziò la ricostruzione del complesso
monastico fin dalle fondamenta.
Il Tempio di Diana Tifatina: la chiesa insiste sulle rovine di un santuario pagano di età repubblicana (alcune iscrizioni latine testimoniano attività edilizia già nel 135 a.C.) dedicato al culto di Diana.
La pianta del tempio è perfettamente ricostruibile grazie alla conservazione del pavimento a mosaico nella cella, e a canestro nella peristasi.
Il pronao era molto profondo e nel suo pavimento si conservano i resti dell’iscrizione dedicatoria che ricorda rifacimenti del pavimento, delle colonne e di altre parti dell’edificio eseguiti nel 74 a.C. La fronte era esastila e 6 colonne si trovavano probabilmente anche sui lati lunghi (quelle attualmente riutilizzate nelle navate della chiesa appartengono però a restauri di età imperiale o ad un altro edificio del santuario).
La facciata è preceduta da un
porticato a cinque arcate ogivali, quella centrale più alta
realizzata con elementi marmorei di reimpiego. Le arcate sono
sorrette da quattro fusti di colonna, due a destra in marmo cipollino
e due a sinistra in granito grigio, con capitelli corinzi non
pertinenti e diversi tra loro, e sorrette da altri elementi
architettonici diversi riutilizzati in funzione di basi.
A destra della basilica sorge la
massiccia torre campanaria a pianta quadrata e a due piani (il
terzo è crollato) che fungeva anche da torre di avvistamento. Il
primo piano è formato da enormi blocchi di marmo di spoglio. Su uno
dei blocchi che compongono l'arco del fornice di accesso al campanile
si nota una testa ricciuta che faceva parte dell'antica decorazione
del blocco stesso. Il cornicione che separa il primo dal secondo
piano è ornato da una serie di motivi fitomorfici classicheggianti
che si alternano a motivi zoomorfici, a piccoli animali e ad elementi
fantastici mentre due strette feritoie (sul lato ovest ed est) ne
alleggeriscono la massa.
Il secondo piano è formato da una
cortina muraria rivestita con mattoni rossi; su ogni lato una stretta
bifora con archi a tutto sesto spartita da una colonnina di spoglio.
Una cornice segna anche qui il termine del piano. Elementi decorativi
fitomorfici sono però presenti solo sul lato nord-ovest.
Secondo alcuni studiosi il portico sarebbe stato ricostruito sul finire dell' XII secolo a seguito dei danni provocati dal crollo della torre campanaria.
Il portico (o nartece) precede un
portale di gusto tipicamente cassinese poiché riprende, da tale
tipologia, sia l’idea di racchiudere l’architrave e gli stipiti
in semplici cornici lineari, sia quella di decorare l’archivolto
con la cosiddetta “cornice benedettina”. L’architrave reca
incisa l’iscrizione che rievoca Desiderio come fondatore della
basilica. L'apparato decorativo del portico
risalirebbe al suo rifacimento di fine XI secolo e comprende due
lunette al di sopra del portale centrale, con S. Michele Arcangelo in
basso e la Madonna Regina tra due angeli in alto (quello di destra
rifatto in epoca successiva)
e quattro lunette nelle campate
laterali, con le storie dei santi eremiti Paolo di Tebe e Antonio
Abate.
L'Arcangelo Michele
Da sinistra a destra: 1. S. Antonio ed
il satiro, S. Antonio giunge alla grotta di S. Paolo; 2. I due santi
si scambiano il segno della pace; 3. I due santi dividono il pane
portato da un corvo; 4. S. Antonio vede l'anima di Paolo portata in
cielo da due angeli.
Sant' Antonio Abate vede l'anima di Paolo portata in cielo da due angeli.
All'interno l’edificio presenta una
pianta basilicale a tre navate, con quella centrale larga il doppio
delle laterali, e segue il modello architettonico
benedettino-cassinese con l’abside centrale più larga e più alta
delle laterali. A differenza della basilica cassinese, ricostruita da
Desiderio tra il 1066 ed il 1071, si presenta però priva di
transetto.
La
navata centrale è separata da quelle laterali, per mezzo di due
serie di sette colonne sostenenti otto archi a tutto sesto. Nel
pavimento si scorgono ora i resti dell'antico tempio (in nero sulla pianta), ora i mosaici
dell'antica chiesa distrutta di S. Benedetto in Capua, ora mattoni di
epoca più recente.
Affreschi: furono probabilmente
realizzati da alcune maestranze locali, che operarono ispirandosi a
modelli bizantini. Va infatti osservato come l’uso di schemi
bizantini, evidenziato dalla suddivisione dell’intero ciclo
pittorico in pannelli mediante colonnine dipinte, e dalla
disposizione delle figure all’interno dei singoli riquadri (si
noti, ad esempio, la scena della Crocifissione), sia attenuato da un
primo, seppur timido, tentativo di caratterizzazione delle figure,
reso evidente dal rosso che colora le guance dei personaggi, e dalle
rughe che, con tratti fortemente marcati, ne segnano i volti.
La Crocefissione
Il Cristo Pantocratore giganteggia nel
catino absidale, circondato dai simboli dei quattro Evangelisti.
Nella fascia inferiore sono, invece, rappresentati i tre Arcangeli
(nell’ordine: Gabriele, Michele e Raffaele), affiancati dall’abate
Desiderio a sinistra (raffigurato con il modello della chiesa tra le
mani), e da San Benedetto a destra che si presenta oggi in una
stesura pittorica dell’inizio del sec. XIV, sovrapposta ad
un’immagine più antica, che si è supposto potesse effigiare non
già il santo, ma Riccardo I Drengot, principe di Capua (1058-1078). Sull'arco
trionfale dovevano esserci due angeli; se ne intravede solo uno a
sinistra.
Catino absidale
L'abate Desiderio (futuro papa Vittore III) con il modellino della chiesa ed il nimbo quadrato (particolare dell'affresco del catino absidale)
Anche nell’abside destra l’affresco
è diviso in due fasce sovrapposte: in quella superiore vi è
raffigurata la Vergine col Bambino fiancheggiata da due angeli ai
quali si aggiunge, nella fascia inferiore, una teoria di sante
martiri (ne rimangono solo tre).
Abside di ds.
L'abside di sinistra presenta in basso
sei santi, mentre in alto compare Cristo (rimane solo la testa) tra
due santi, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista o Pietro e Paolo.
Abside di sn.
Le pareti longitudinali della navata
centrale sono occupate da episodi neotestamentari, disposti su tre
registri e corredati da tituli.
Il bacio di Giuda
Al di sotto sono inserite, tra gli
archi, le figure dei profeti e di una sibilla, visti nell’atto di
preannunziare gli eventi della vita di Cristo e la sua seconda
venuta. Tra i pennacchi delle prime due colonne di sinistra, nelle
figure di Davide e Salomone, sarebbero raffigurati Riccardo I di
Capua ed il figlio Giordano I.
Re Davide
Le navate laterali sono invece
riservate al Vecchio Testamento, di cui sopravvivono solo pochissime
scene. Qui la zona più bassa era completata, con ogni probabilità,
da un ciclo agiografico, oggi attestato solo dagli episodi di Gedeone
e l’angelo e del Martirio di S. Pantaleone. Nei pennacchi degli
archi erano invece inserite figure di santi e sante, tra i quali, a
sinistra, sei santi appartenenti all’Ordine benedettino.
Sulla controfacciata è dipinto il
Giudizio universale.
In alto, tra le finestre, sono
raffigurati i quattro angeli con le trombe del Giudizio; nella fascia
centrale è rappresentato Cristo Giudice entro la mandorla
apocalittica (mostra il palmo aperto
della mano destra ai beati in segno di accoglienza e il dorso della
mano sinistra ai dannati in segno di rifiuto), tra gli Apostoli
seduti sui troni schierati come una corte di giustizia; più in basso
i Beati, ed infine i Dannati.
Giudizio universale
Sotto la mandorla tre angeli con
cartigli.
L'angelo di centro proclama: "Et
tempus iam amplius non erit".
Quello a sinistra di chi guarda invita:
"venite benedicti patris mei" rivolto ai beati disposti su
due registri; su quello superiore le autorità: re, principi e
monaci; su quello inferiore la plebe, il popolo di Dio.
I dannati (particolare)
L'angelo di destra detta la condanna:
"ite maledicti in ignem aeternum" rivolto ai dannati
disposti su due registri; su quello superiore le autorità: principi
e religiosi; su quello inferiore i demoni, le fiamme. Lucifero e
Giuda legati da una catena.
Le figure di Santi, dipinte nei
pennacchi delle navate laterali, sono successive all’XI secolo.
Tale ipotesi potrebbe essere confermata dal confronto con i Profeti
dipinti nei pennacchi della navata centrale. Risulta, infatti,
evidente dal confronto non solo la posizione statica, ma anche la
maggiore imponenza di queste figure, che presentano caratteristiche
affini agli affreschi che ornano le lunette del portico.
Sebbene eseguiti da più mani, questi
affreschi rientrano senz’altro in un orizzonte figurativo unitario,
quello dell’irradiazione in Italia meridionale della koinè
tardocomnena, allineandosi peraltro anche alla consuetudine, sempre
più diffusa in area bizantina nel sec. XII, di collocare le vite dei
santi nei narteci delle chiese.
molto interessante
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