martedì 14 novembre 2017

La via Latina: l'ipogeo di Trebio Giusto

La via Latina: l'ipogeo di Trebio Giusto


La scoperta di questo ipogeo - che si trova in prossimità del I miglio della via Latina, al di sotto di una palazzina al civico n.13 di via Giuseppe Mantellini - avvenne casualmente nel 1911, ad opera del proprietario del terreno, il quale, messo in allarme da alcune lesioni che minacciavano il suo villino, volle controllarne le fondamenta, scoprendo così una camera funeraria completamente ricoperta di pitture.
Attualmente l'unica via d'accesso al monumento è una botola situata nei locali di una officina meccanica. La planimetria della camera funebr (C, nella pianta) e è perfettamente quadrata (260 cm. di lato) e l'ingresso originario a cui si arrivava a mezzo di una galleria, ora completamente franata e lungo la quale in epoche successive furono realizzate alcune sepolture ad arcosolio, presenta un arco che introduce al cubicolo.

Nello spessore dell'arco sono dipinti due genietti canefori (portatori di canestri) dai quali parte una decorazione vegetale che va a ricongiungersi sulla sommità dell' arco stesso.
Su ognuna delle due pareti laterali del cubicolo sono scavati tre loculi, mentre la parete di fondo è caratterizzata da un'arcata completamente affrescata, nella parte mediana della quale si apre un profondo arcosolio.

La parete di fondo

Nella lunetta dell'arcosolio è dipinto il ritratto del defunto intorno al quale sono disposti una serie di elementi: la teca calamaria, il rotulo, molte tavolette cerate ed una cista di volumi. Lungo il bordo superiore dell'arcata, si legge la seguente iscrizione: Trebius Iustus et Horonatia Saeverina Filio Maerenti Fecerunt Trebio Iusto Signo Asello Qui Vixit Annos XXI Meses VI Dies XXV (Trebio Giusto ed Horonazia Severina fecero costruire il sepolcro per il meritevole figlio Trebio Giusto, detto Asello, che visse ventuno anni, sei mesi e venticinque giorni).
Sulla parete al di sopra dell'arcosolio un personaggio femminile in dalmatica e un personaggio maschile in tunica corta clavata (presumibilmente i genitori del defunto) sostengono un drappo su cui sono deposti alcuni oggetti: quattro armille, un anello gemmato, un vasetto biansato e molti piccoli oggetti di forma rotonda. Dietro il drappo è seduto un personaggio maschile (molto probabilmente si tratta nuovamente del defunto) in tunica corta clavata che poggia i piedi su un suppedaneo.
Al di sotto dell'arcosolio, al centro è dipinto stante il defunto ai lati del quale si dispongono alcuni lavoratori agricoli accanto ai quali erano un tempo indicati i nomi (rimane leggibile solo quello di Valerius). Sopra il ritratto del defunto campeggia la scritta ASELLAE – PIAE – Z...., intrepretabile come la trascrizione latina della formula augurale greca “Pie Zeses” (letteralmente bevi, vivrai) dove i due dittonghi “ae” sono un errore dello scriba che ricorre anche nella didascalia dell'arcosolio (nelle parole Saeverina e Maerenti).

La parete di sinistra
 
Nella parete di sinistra del cubicolo sono raffigurati alcuni operai intenti alla costruzione di un edificio. Si tratta di un dipinto straordinariamente realistico e quasi unico nel suo genere, in cui viene rappresentato nei dettagli il tipo di impalcatura utilizzato dai muratori romani.

La parete destra
 
Sulla parete di destra si vedono due personaggi, uno, presumibilmente un architetto, con in mano una lunga asta, impartisce ordini all'altro, un capo mastro (?), definito dalla didascalia generosus magister, con in mano una cazzuola e un'assicella che in proporzione dovrebbe rappresentare la misura del piede romano. Alle spalle di queste due figure si vede una costruzione terminata che sembra essere quella cui stanno lavorando gli operai sulla parete opposta.

La parete d'ingresso
 
Nella parete d'ingresso, nella lunetta in alto è dipinta una scena di lavoro agricolo con due personaggi maschili che trasportano cesti di erbaggi. Sulle pareti che fiancheggiano la porta d'ingresso due cavalli (o muli) che trasportano delle ceste o reti piene di sassi sospinti dagli excitatores. Al di sopra del cavallo di sinistra si legge il nome Leporius. In basso a destra si nota una figura provvista di barba e baffi che sembra emergere dal sottosuolo tenendo nella sinistra una lucerna accesa.

La volta
 
Nella volta a crociera campeggia infine la figura del Buon pastore che tiene un flauto nella destra e un bastone nella sinistra ed è fiancheggiata da due pecore.

La particolarità del programma decorativo della tomba ha sollevato negli studiosi che se ne sono occupati non pochi problemi interpretativi. L'unico elemento iconografico chiaramente riconducibile ad un alveo culturale cristiano è infatti la figura del Buon pastore dipinta nella volta. Quasi tutto il resto sembra invece ispirato alla vita reale e alle attività svolte dal defunto in vita sì da farlo identificare come un architetto o un imprenditore edile, oltre che proprietario terriero. Ma un realismo così vivido ed un elogio così enfatico della vita del defunto non hanno raffronti nella pittura cimiteriale cristiana del III-IV secolo (1). Appare inoltre quanto meno strano che se davvero la professione del giovane defunto fosse stata quella di architetto, così bravo da essere celebrato come tale nella decorazione della sua tomba, non se ne faccia alcuna menzione nella epigrafe dell'arcosolio.
Sulla scorta di queste incongruenze Orazio Marucchi (2) ha avanzato un'ipotesi interpretativa che legge l'intero programma decorativo in chiave simbolica e collega le convinzioni religiose del nucleo familiare al credo di una setta eretica gnostica.

Lo Gnosticismo: con il termine gnosticismo si designa un gruppo di correnti filosofico-religiose che hanno avuto la loro massima diffusione nei secoli II e III. Fino al ritrovamento nel 1945 a Nag Hammadi, nell’Alto Egitto, di un’intera biblioteca gnostica, gli studiosi disponevano di scarsi testi originali e integrali, ritrovati nel corso del tempo, e le fonti per lo studio delle teorie gnostiche erano costituite soprattutto da descrizioni e da citazioni contenute nelle confutazioni da parte di autori cristiani, in particolare Ireneo (Adversus Haereses) – che fu il primo a designare questa eresia come gnostica - Epifanio (Adversus Omnes Haereses) e Tertulliano (De Praescriptione Hareticorum).
La gnosi è la conoscenza di Dio e delle origini e destino della razza umana per mezzo della rivelazione, trasmessa direttamente dal Cristo ad una ristretta cerchia d'iniziati.
Secondo gli gnostici il Dio supremo e incomprensibile aveva generato per emanazione altri esseri (Aeones) in numero di 30 che dimoravano nel Pleroma (il luogo superiore). L'ultimo degli Eoni, Sophia, si corruppe con la lussuria e precipitò nelle tenebre dando origine al Demiurgo (3) che, coadiuvato da sette Archontes (uno per ognuna delle sette sfere celesti), creò il mondo materiale e gli uomini. Ma la madre Sophia, a sua insaputa, infuse negli uomini la scintilla divina (pneuma) che aspira ad essere reintegrata nel Pleroma. Il Demiurgo e gli Archontes abitavano il Medietas (il luogo di mezzo) mentre gli uomini assieme ai demoni abitavano il Kenoma (il luogo inferiore).
Sophia, rimasta imprigionata nel mondo materiale, è angosciata e disperata per cui il Cristo (un altro Eone), il Salvatore, mosso a pietà, discende attraverso le sette sfere degli Arconti e giunge nel mondo per liberarla ed insegnare agli uomini la vera dottrina.
Dopo la morte, il corpo restava tra le cose del mondo ed era destinato ad essere bruciato assieme a tutte le cose materiali, mentre l'anima dell'iniziato intraprendeva il suo viaggio per ricongiungersi a Dio nel Pleroma. Per far questo doveva però attraversare le sette sfere celesti e poteva farlo grazie alle parole segrete, agli amuleti e alle formule magiche di cui è in possesso e che costringeranno i sette Arconti a lasciargli il passo.

Punti di forza dell'interpretazione in chiave gnostica delle pitture del sepolcro di Trebio Giusto - per la quale rimandiamo al testo di Marucchi – sono: nella parete a sinistra dell'ingresso, la presenza di una donna barbuta (tutti gli Eoni sono maschio e femmina) che tiene in mano una lucerna e sembra emergere dal sottosuolo ed in cui l'autore identifica la Sophia che cerca di liberarsi dalle tenebre.

La donna barbuta

Nei tre registri della parete di fondo – dove il defunto è raffigurato tre volte – sarebbero rappresentati i tre diversi livelli del Kenoma, della Medietas e del Pleroma.

 
In quello inferiore il defunto è nel Kenoma insieme ai contadini che raccolgono la zizzania (i corpi) destinata ad essere bruciata dopo essere stata separata dal grano (le anime degli eletti).
 
 
Nell'arcosolio, l'anima del defunto sarebbe raffigurata nel Medietas, con un volume aperto sulle ginocchia e circondato da tavolette di cera e strumenti di scrittura mentre s'imbeve (cfr. l'iscrizione augurale pie zesis qui posta) di scienza gnostica per poter attraversare le sfere celesti e raggiungere il Pleroma che sarebbe rappresentato nel registro più alto.

 
Qui il defunto è seduto e poggia i piedi su un suppedaneo (simbolo di onore e dignità, giacchè ha ormai raggiunto il Pleroma). Davanti a lui una figura femminile ed una maschile sorreggono un drappo su cui si osservano diversi oggetti, tra questi spicca un anello gemmato (cerchiato in rosso nell'immagine) che potrebbe essere un abraxas, un sigillo in cui era a volte incisa questa parola ritenuta magica e che era in uso presso le sette gnostiche sia come segno di riconoscimento sia come amuleto. Nel Pleroma l'anima è infatti ancora oggetto degli attacchi degli Arconti da cui deve difendersi con rituali magici e talismani.

 
Nella parete sinistra del cubicolo non sarebbe rappresentata una semplice scena di lavoro edile, ma la costruzione della città mistica destinata agli eletti. I due personaggi raffigurati sulla parete di destra sarebbero quindi in relazione con la costruzione della città: a sinistra l'architetto con il bastone di comando e a destra il generosus magister - che tiene in mano il piede romano e guarda verso la città in costruzione sulla parete opposta - che si appresta ad eseguire le istruzioni ricevute.
 
 
Note:
 
(1) La datazione delle pitture non è del tutto certa, alcuni aspetti come i corpi massicci, la gestualità contenuta e le vesti con ornature tipiche dell'età costantiniana, farebbero pensare ai primi decenni del IV secolo mentre i dati paleografici sembrano suggerire una datazione più alta (seconda metà del III sec.).
 
(2) O. Marucchi, L'ipogèo sepolcrale di Trebio Giusto recentemente scoperto sulla via Latina e proposta di spiegazione gnostica delle sue pitture, in Nuovo bullettino di archeologia cristiana, vol. 17, 1911, pag. 209-236.
 
(3) Per alcune correnti gnostiche, il Demiurgo (a volte chiamato Yaldabaoth) s'identificava con Yahweh, il Dio vendicativo del Vecchio Testamento mentre l'Entità Suprema s'identificherebbe nel Dio buono del Nuovo Testamento.

Videografia:

Alberto Angela, in Passaggio a Nord Ovest, 2009








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