mercoledì 1 novembre 2017

La via Latina: il Sepolcro Barberini

La via Latina: il Sepolcro Barberini

Parte dell'area compresa tra il II ed il III miglio dell'antica via Latina (circa due ettari) è oggi adibita a Parco archeologico.
La riscoperta dei monumenti presenti in quest'area si deve all’iniziativa di un cittadino privato, Lorenzo Fortunati, un insegnante con la passione per l’archeologia, che ottenne dallo Stato Pontificio la concessione di scavo nella tenuta del Corvo, di proprietà delle famiglie aristocratiche Barberini-Lante della Rovere e Belardi. Gli scavi furono eseguiti negli anni 1857-1858 sotto il pontificato di Pio IX come ricordato dalla lapide murata su un sepolcro a pilastro che si trova attualmente subito dopo l'ingresso al parco archeologico. Agli inizi del XX secolo l’area demaniale fu adibita a giardino pubblico per iniziativa del ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, assumendo le connotazioni attuali.

Il sepolcro a pilastro su cui è murata la targa che ricorda l'opera di Lorenzo Fortunati

Proseguendo lungo l'antico tracciato della via Latina, che in alcuni tratti conserva ancora il basolato originale, si incontra sulla destra il sepolcro detto Barberini dal nome dei proprietari del luogo al momento della sua riscoperta. E' detto anche Sepolcro dei Corneli da una epigrafe oggi scomparsa, ma riportata in un disegno del XVI sec. di Pirro Ligorio, su cui era inciso il nome L.Cornelius.

Il disegno di Pirro Ligorio che riporta l'epigrafe oggi scomparsa
Bodleian Library, Oxford
 
Si tratta di un sepolcro a tempietto in laterizi policromi riconducibile alla seconda metà del II secolo (periodo degli Antonini).
 

La camera sotterranea seminterrata è accessibile dall’esterno dell’edificio e prende aria dalle strette feritoie poste alla base del monumento. In questa camera venne rinvenuto il sarcofago Barberini raffigurante il mito di Protesilao e Laodamia oggi conservato nei Musei Vaticani (vedi oltre).
Il piano terra ha l’ingresso sul lato dell’edificio opposto alla strada mentre sul fronte stradale presenta tre aperture oggi murate, la mediana delle quali doveva contenere l'epigrafe sopra citata. Sempre sul fronte strada, a livello del piano rialzato, si apriva una grande finestra ad arco, di cui si percepisce l'ampiezza attraverso la tamponatura.

L'ingresso sul lato posteriore dell'edificio

Originariamente la tomba era completamente circondata da un muro che chiudeva uno stretto ambulacro scoperto che dava accesso all'ingresso sul lato posteriore dell'edificio e alla scala esterna che introduceva alla camera ipogea.

Planimetria
da Pietro Santi Bartoli, Antichi Sepolcri, 1697

All'interno, a livello del piano terra, l'edificio è costituito da una sala rettangolare destinata alle sepolture, nelle cui pareti, molto articolate, si aprono numerose nicchie, alcune delle quali inquadrate da lesene sormontate da timpani. La parete di fondo era caratterizzata invece dalla presenza di un’edicola con tetto a spiovente, probabilmente dedicata alla memoria dei defunti. Tramite una scala interna (di cui rimangono tracce sulla parete cui era addossata) si poteva accedere alla camera superiore, dove verosimilmente si svolgevano i riti cultuali dedicati ai defunti. La copertura, con volte a crociera rialzata era rivestita da affreschi e decorazioni in stucco ad ovuli e palmette: su uno sfondo monocromo rosso è ancora possibile apprezzare partiture definite da sottili cornici campite da bande azzurre e arricchite da figurine nelle quali si distinguono personaggi umani, vittorie alate su bighe con amorini, uccelli e animali marini.

Particolare della decorazione della volta
 
Restano tracce del pavimento a mosaico del piano terra mentre il solaio del primo piano fu abbattuto nell’ottocento per utilizzare la struttura come fienile (nel recente restauro dell'edificio è stata ripristinata in sua vece una griglia metallica).
Il tempietto interamente in laterizio è un esempio della virtuosa tecnica raggiunta in quel periodo nell’utilizzo del mattone, con mattoni rossi utilizzati per realizzare le mura e le semicolonne e mattoni gialli utilizzati per realizzare i capitelli corinzi, le architravature che avvolgono l’edificio e le cornici delle finestre e della porta. Infine si notano chiaramente le tracce dei successivi restauri volti a chiudere le parti di muratura crollate, l'edificio ebbe infatti un utilizzo agricolo fino al XIX secolo.


Il sarcofago Barberini

Fu estratto nel XVII secolo praticando un'apertura nella muratura della camera ipogea. E' attualmente conservato nei Musei Vaticani (Museo Pio-Clementino, galleria dei candelabri).
Vi è raffigurato il mito di Protesilao e Laodamia.

Protesilao aveva sposato Laodamia, figlia di Acasto re di Iolco (città della Tessaglia che sorgeva nei pressi dell'odierna città di Volos). Dopo aver trascorso assieme alla sposa una sola notte, partì con la spedizione achea contro Troia. Protesilao si trovava sulla stessa nave in cui era imbarcato Achille.
Un oracolo aveva profetizzato che il primo greco a toccare terra sarebbe stato il primo anche a morire nella guerra di Troia, Achille vedendo che nessuno degli achei si faceva avanti decise di lanciarsi nel suolo troiano ma Teti, sua madre, lo fermò con una mano e con l'altra spinse Protesilao che cadde sulla spiaggia e venne ucciso da Ettore.
Giunto nell'Ade, Protesilao implorò gli dei degli inferi di concedergli di trascorrere un ultimo giorno con la sua sposa. Ade e Persefone acconsentirono e Protesilao trascorse quell'ultimo giorno facendo l'amore con la sua sposa.
Al momento del distacco, Laodamia decise di realizzare una statua con le fattezze del marito in modo da poterla abbracciare e dormire con essa. Acasto, nei giorni successivi, notando l'assenza della figlia, mandò un suo servo a spiarla. Il servo riferì al re che sua figlia stava tutto il giorno chiusa nella sua camera ad amoreggiare con una statua e Acasto, per il bene della figlia, decise di far sciogliere la statua nell'olio bollente, ma Laodamia mentre la statua si scioglieva si gettò nel calderone ricongiungendosi così all'amato.
La morte di Protesilao non è descritta ma solo citata nell'Iliade (libro II, v.705). E' invece riferita da diversi autori greci e latini.


Sul lato frontale del sarcofago, da sinistra a destra, si osservano in sequenza: Protesilao che sbarca dalla nave, Protesilao colpito a morte e disteso in terra mentre la sua anima (rappresentata da una figura interamente coperta dal drappo mortuario) viene condotta all'Ade da Mercurio, quindi Mercurio che lo riconduce sulla terra, Protesilao e Laodamia che si tengono per mano dinanzi alle porte dell'Ade (al centro della composizione). Da notare che i volti della coppia sono appena abbozzati, avrebbero dovuto ricevere infatti le fattezze di chi doveva esservi deposto.
Nella parte destra Laodamia distesa sul letto si accomiata dall'ombra del marito con il suocero Ificlo piangente seduto ai piedi del letto e quindi si vede Mercurio che riconduce Protesilao da Caronte che tende la mano per ricevere l'obolo.

Le facce laterali del sarcofago
da Pietro Santi Bartoli, Antichi Sepolcri, 1697
 
Sulle facce laterali: a sinistra è raffigurato l'eroe vestito della sola clamide che si accomiata dalla moglie al momento di partire per la Troade; uno scudiero gli sostiene lo scudo. In quella di destra sono invece raffigurati i supplizi di Sisifo, Issione e Tantalo.




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