martedì 29 agosto 2017

La basilica di Santa Sabina

La basilica di Santa Sabina


La basilica paleocristiana di Santa Sabina fu fondata dal sacerdote Pietro d'Illiria nel 425 d.C. durante il pontificato di Celestino I ed ultimata nel 432 sotto Sisto III, sul luogo precedentemente occupato dal "titulus Sabinae" - una domus ecclesiae che sorgeva sulla proprietà di una matrona romana che portava questo nome (1) - utilizzando le 24 colonne bianche di marmo ancirano appartenenti al "Tempio di Giunone Regina" che sorgeva nelle vicinanze. Fu restaurata da papa Leone III (795-816) e poi da papa Eugenio II (824-827), a cui si devono la costruzione della schola cantorum, quella di un ciborio scomparso durante il sacco dei lanzichenecchi (1527) e la traslazione delle spoglie dei santi Alessandro, Teodulo ed Evenzio che furono riposte nella cripta.
Questi lavori furono soltanto l'inizio di una serie di rimaneggiamenti che finirono per stravolgere l'intera costruzione.
A causa della posizione privilegiata che le permetteva di dominare la zona sottostante ed una parte del corso del Tevere, nel X secolo la basilica venne trasformata in un fortilizio per ordine di Alberico II (2). In seguito divenne residenza fortificata di alcune nobili famiglie, i Crescenzi prima ed i Savelli dopo: proprio un membro di quest'ultima famiglia, Cencio, divenuto papa con il nome di Onorio III, nel 1219 concesse la chiesa e parte del palazzo a San Domenico Guzman, fondatore dell'Ordine dei Predicatori (meglio conosciuti come "Domenicani"), che qui visse e operò, tanto che la sua cella, trasformata in cappella, è tuttora visitabile. All'epoca dell'insediamento dei Domenicani risale la costruzione del chiostro e del campanile (poi mozzato nel XVII secolo).

La superfetazione barocca del campanile

Nel 1587 fu restaurata da Domenico Fontana per incarico di Sisto V: in questa occasione furono radicalmente trasformati gli aspetti medioevali della chiesa, con la demolizione della schola cantorum, la costruzione di un nuovo altare maggiore con un grande baldacchino, la tamponatura di quasi tutte le finestre, l'asportazione dei marmi dell' abside e del soffitto a lacunari.
Nel 1643 fu ulteriormente restaurata da Francesco Borromini e nel 1938 da Antonio Muñoz, su commissione dell'Ordine Domenicano, che riportò la chiesa all'antico aspetto medioevale, eliminando le sovrastrutture barocche. Nel 1874 il Comune di Roma utilizzò l'edificio conventuale come lazzaretto, in occasione di un'epidemia di colera che colpì la città.

 
L'atrio presenta due dei tre antichi ingressi alla chiesa, mentre il terzo venne chiuso nel XIII secolo per consentire la costruzione del campanile. E' scomparso invece pressochè completamente il nartece del V secolo, cancellata dagli interventi successivi ad eccezione dei portali lignei. Uno di questi, inquadrato da una magnifica cornice marmorea, permette di accedere all'interno della chiesa, ma quello degno di menzione è il portale laterale in legno di cipresso del V secolo, coevo quindi alla costruzione della chiesa, unico manufatto di tal genere rimasto a Roma: gli stipiti sono ricavati da cornici di età romana ed i 18 pannelli a rilievo superstiti dei 28 originali raffigurano scene dell'Antico e Nuovo Testamento.

 
Il primo pannello in alto a sinistra raffigura Cristo in croce tra i due ladroni e, visto che risale al V secolo, rappresenta la più antica raffigurazione plastica della Crocifissione. Nel 1836 i pannelli furono restaurati e fu proprio in questa occasione che nel pannello raffigurante il "Passaggio del Mar Rosso" il restauratore modificò il volto del Faraone in procinto di annegare raffigurandovi quello di Napoleone Bonaparte, evidentemente ancora odiatissimo nella città del papa nonostante fosse deceduto da 15 anni.

Napoleone Bonaparte nei panni del Faraone travolto dalle acque
 
Sulla parete tra i due portali lignei è stato recentemente riscoperto un affresco che raffigura al centro la Vergine con il Bambino affiancata dai santi Pietro e Paolo e, alle estremità, dalle sante Sabina e Serafia, che introducono, a sinistra, i due committenti (raffigurati con l'aureola quadrata, quindi ancora vivi al momento della realizzazione dell'affresco) e, a destra, il papa regnante, probabilmente Agatone (678-681).
 
 
Proprio le figure dei donatori, indicati dall'iscrizione come l'arcipresbitero Teodoro e il presbitero Giorgio e identificati con i due legati papali al Concilio di Costantinopoli del 680 (3), hanno permesso di datare l'opera tra la fine del VII e i primi anni dell'VIII secolo.
 
L'interno della chiesa presenta una pianta basilicale a tre navate divise da 24 colonne corinzie scanalate sui cui capitelli poggiano archi: su essi corre un fregio di marmi policromi che compongono un motivo di calici e patene.
 
Particolare del fregio in marmi policromi
 
Le pareti un tempo erano rivestite da tarsie di cui oggi restano scarse tracce, mentre sulle pareti laterali sta un ornato floreale ad affresco del V secolo.
Sulla controfacciata si snoda la grande iscrizione metrica dedicatoria con l'affermazione del primato del papa, vescovo di Roma, che ricorda sia papa Celestino I sia il fondatore Pietro d'Illiria: l'autore dei versi è ritenuto San Paolino da Nola. Ai lati sono situate due grandi figure femminili allegoriche, una rappresentante la Chiesa di Gerusalemme (ecclesia ex circumcisione) con l'Antico Testamento in mano e l'altra la Chiesa Romana (ecclesia ex gentibus) con il Nuovo Testamento. Il tutto realizzato in uno splendido mosaico policromo che veniva completato, in origine, lungo le pareti della navata, dalle figure degli apostoli Pietro e Paolo e dagli Evangelisti.
 
Sull'arco trionfale erano raffigurate Betlemme e la Gerusalemme celeste, più in basso il Cristo con i 12 Apostoli e gli Evangelisti (ricostruiti in epoca moderna con affreschi realizzati da Eugenio Cisterna nel 1919-1920).
Nel catino absidale si vede oggi un affresco realizzato da Taddeo Zuccari nel 1569 (pesantemente ripreso da Vincenzo Camuccini nel 1836 e ancora dal Cisterna nel 1919-1920) che raffigura il Cristo, circondato dagli apostoli e dai santi, assiso su un monte da cui sgorgano i quattro fiumi del Paradiso a cui si abbeverano gli agnelli. E' probabile che l'affresco riprenda il tema iconografico dell'originale mosaico del V secolo.
 
 
Entrando in chiesa, sull'angolo sinistro, c’è una piccola colonnina tortile che sostiene una pietra nera tondeggiante, con grosse incisioni, dei buchi, come di un enorme artiglio.


Secondo la leggenda, San Domenico stava pregando prostrato in terra nel punto dove è oggi posta la colonnina quando il diavolo tentò ripetutamente di indurlo in tentazione. Infuriatosi per la vacuità dei suoi tentativi, afferrò con i suoi artigli incandescenti un pesante blocco di basalto nero (probabilmente un peso di una antica bilancia romana) e glielo scagliò contro con una violenza inaudita quanto inutile. Il blocco cadde sfiorando il santo, il quale non si fece neppure un graffio, nè si distolse dalla sua preghiera.

Al centro della navata centrale è posta la pietra tombale decorata a mosaico di uno dei primi generali dei domenicani, lo spagnolo Muñoz de Zamora (1285-1291), forse opera di Jacopo Turriti.

Note:
 
(1) Vissuta all'epoca di Adriano (117-138), Sabina, moglie del senatore Valentino, una volta rimasta vedova, fu convertita alla fede cristiana dalla propria ancella Serapia di origine antiochena. Accusate di aderire al nuovo culto, le due donne furono uccise a pochi giorni di distanza intorno all'anno 120.

(2) Figlio del duca Alberico I di Spoleto e di Marozia della potente famiglia romana dei Teofilatti, governò de facto Roma dal 932 alla sua morte nel 954. E' noto anche come Alberico di Roma, anche perchè non ereditò dal padre il titolo di duca di Spoleto.
 
(3) Della delegazione inviata da papa Agatone al Concilio di Costantinopoli del 680 faceva parte anche un terzo prelato, il diacono Giovanni, futuro papa Giovanni V (685-686) che però non figura nell'affresco.




 




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