Sabino nacque a Canosa nel 461 probabilmente da un'agiata famiglia romana originaria della Sabina. Poco o nulla è noto della sua infanzia e adolescenza.
Le notizie relative alle sue vicende biografiche provengono essenzialmente dagli Atti del Concilio di Costantinopoli del 536 e dai Dialoghi di San Gregorio Magno. A queste due fonti primarie va aggiunta la Vita Sancti Savini redatta su basi documentarie da un anonimo nel IX secolo.
Ordinato sacerdote nel 486
dal vescovo San Probo nell’antica cattedrale canosina di San
Pietro, nel 514, alla morte del vescovo San Memore, Sabino, allora
cinquantatreenne, venne nominato al suo posto, dando inizio ad un
episcopato che durò ben 52 anni.
Sabino ascese al seggio
vescovile, sotto il pontificato di papa Ormisda, in un momento
storico particolarmente difficile per la Chiesa. In Oriente Manichei
e Nestoriani godevano della protezione dell'imperatore Anastasio I
mentre l'Italia era sotto il dominio dei Goti di Teodorico che
avevano abbracciato l'arianesimo.Nel 525 Sabino accompagnò papa Giovanni I (523-526) a Costantinopoli in un viaggio, caldeggiato dal re goto Teodorico, che avrebbe dovuto avere lo scopo di far desistere l'imperatore Giustino I dalle persecuzioni contro gli ariani (la cui posizione non poteva però essere sostenuta dal papa in termini teologici). A causa dell'inevitabile insuccesso della missione, al suo ritorno in Italia Teodorico fece imprigionare e tradurre il papa a Ravenna dove morì per gli stenti e le privazioni.
Nel 531 Sabino partecipò al III Sinodo di Roma convocato da papa Bonifacio II e nel 535-536 fu nuovamente a Costantinopoli, a capo della delegazione di vescovi che accompagnò papa Agapito in una difficile missione diplomatica presso la corte di Giustiniano, volta a contrastare l'eresia monofisita che godeva dell'appoggio dall'imperatrice Teodora.
Il papa, nel pieno esercizio delle sue prerogative e nonostante le intimidazioni dell'imperatore, rimosse dal seggio patriarcale Antimo, apertamente monofisita e protetto dall'imperatrice, e consacrò personalmente il nuovo patriarca Menas, regolarmente eletto e fedele ai dettami del Concilio di Calcedonia.
Nel 543 ormai cieco, nel pieno della guerra greco-gotica, ricevette Totila nella residenza episcopale di Canosa e riescì a dissuaderlo dal mettere a ferro e fuoco la città.
Secondo il racconto di San Gregorio Magno mentre sedevano a pranzo il re goto, per sondare le virtù profetiche di Sabino, si sostituì a un servo nell'offrire al vescovo la coppa del vino, ma Sabino riconobbe l'appartenenza della mano al re ed esclamò: Vivat ipsa manus! (Possa vivere questa mano) (1). Allietato da questo augurio e convintosi delle virtù profetiche del vescovo, Totila decise di risparmiare la città.
Giovanni Boccati, San Sabino cieco riconosce Totila, pradella proveniente da una pala d'altare realizzata per la Cappella di San Savino nel Duomo di Orvieto, 1473
Pinacoteca Corrado Giaquinto, Bari
La longevità di Sabino aveva suscitato l’invidia dell’arcidiacono Vindemio che, temendo di non poter accedere all’episcopato, tentò di avvelenarlo corrompendo un servo che avrebbe dovuto porgere al vescovo una coppa contenente vino avvelenato. Sabino, intuito quanto architettato da Vindemio, ordinò al servo di bere dalla coppa, ma poi, impietosito, bevve egli stesso il vino avvelenato: Sabino rimase incolume, ma Vindemio, distante tre miglia dalla sua casa, morì.
Il santo vescovo si spense a Canosa alla veneranda età di 105 anni il 9 febbraio del 566. Fu probabilmente inumato inizialmente nella chiesa di San Pietro. I resti vennero poi traslati nell'VIII secolo nella nuova cattedrale (ridedicata a Sabino nel 1101) durante l'episcopato di Pietro, come ricordato da un'iscrizione reimpiegata nel pavimento della cripta (Petrus canusinus archiepiscopus posuit hic corpus beati Sabini).
Oltre alla comprovata abilità diplomatica che gli consentì di destreggiarsi in un periodo storico estremamente difficile (Sabino fu apprezzato e ricevette incarichi di fiducia da pontefici dall'orientamento politico molto diverso, dal filobizantino Giovanni II al filogoto Bonifacio II fino all'intransigente Agapito), fu anche promotore di una intensa attività edilizia, che si estese anche ad alcuni centri vicini a Canosa come Canne e Barletta, riconoscibile dalla presenza di mattoni che recano il suo monogramma.
Il monogramma di Sabino
L'attività edilizia del vescovo – per quanto attiene la città di Canosa – sembra inoltre inquadrarsi in un progetto urbanistico di ridefinizione dello spazio urbano volto a connotarlo in senso cristiano.
Con la realizzazione a sud del complesso di San Pietro e la contestuale sistemazione a nord del battistero di San Giovanni affiancato alla chiesa di Santa Maria e, infine, con la risistemazione nell'immediato suburbio sudorientale della basilica di San Leucio il vescovo canosino crea infatti una sorta di cinta difensiva sacra intorno alla città, creando nuovi poli di attrazione, diversi e alternativi a quelli tradizionali della città pagana del foro e dell'area sacra di Giove Toro.
Note:
(1) San Gregorio Magno,
Dialoghi, libro II, 15, 593-594
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