sabato 3 ottobre 2015

La Guglia di Raimondello, Soleto

La Guglia di Raimondello, Soleto


E' una torre a pianta quadrata molto slanciata (il lato di base misura appena 5,2 metri) e non è rastremata nei suoi cinque ordini archietettonici. Per il cedimento delle fondazioni poggiate su argilla rossa presenta una inclinazione verso il lato sud.
Fu fatta costruire da Raimondello Orsini del Balzo (vedi scheda La contea di Lecce e la casa di Brienne) forse al fine di comunicare otticamente, dall'alto dei suoi oltre 40 metri, sia con la riva del mare Adriatico (Otranto) sia con quella del mar Ionio (Gallipoli), in realtà come puro simbolo del suo controllo sul territorio ed affermazione di potere. Fu completata nel 1397 ad opera di Francesco Sulaci da Surbo come attestato da un'iscrizione sul parapetto terminale. Costruita nel punto più alto di Soleto, rimase isolata per quasi quattrocento anni fin quando, nel 1793, le venne addossata la facciata della chiesa matrice.

Il piano terra ed il primo ordine sono privi di finestre ed inglobano al loro interno una torre preesistente. Il secondo e terzo ordine sono riccamente decorati con 4 bifore finemente scolpite in pietra leccese, ogni bifora è divisa da una colonnina tortile che termina in una decorazione a forma di cuore innestata in un arco gemino trilobato. L’ultimo ordine è costituito da un tiburio ottagonale con una finestra bifora su ogni lato, sormontata da frontoni trapezoidali e colonnine angolari sostenenti leoni alati; è coperto da un cupolino ogivale rivestito di maioliche colorate che risale però al 1750 e poggia su una balaustra finemente lavorata. Il cupolino originale, di forma piramidale, crollò infatti nel terremoto del 1734. Tutte le bifore e gli angoli dei piani superiori sono ricchi di grifoni, leoni e maschere antropomorfe. Sulla balaustra e sulla cornice ottagonale su cui poggia il cupolino sono visibili alcune ciotole di pietra rozzamente intagliate che contenevano l'olio per l'illuminazione notturna.
Secondo un'antica leggenda Matteo Tafuri, considerato dai suo compaesani mago e alchimista, avrebbe convocato e diretto una schiera di diavoli e streghe per edificare la Guglia in una sola notte (1). Al sorgere dell'alba quattro grifoni, creature mitologiche diaboliche, sarebbero rimasti intrappolati nella pietra e come si può notare spiccano ancora ai quattro angoli della cornice che separa il terzo dal quarto ordine (2).

Uno dei quattro grifoni

La maschere antropomorfe e le gargoyle che decorano la guglia ne ribadiscono la già accennata funzione di affermazione del potere e del controllo sul territorio esercitato dai Del Balzo Orsini.
A guardia delle bifore troviamo infatti molti leoni, simbolo di vigilanza in virtù della loro capacità di dormire ad occhi aperti, così come i cani, posti a sostegno degli archi trilobati, simboleggiano fedeltà e vigilanza. Una testa coronata, infine, con orecchie di dimensioni esagerate, simboleggia il potere del principe di ascoltare tutto e tutti (3).

Cerchiata in rosso la testa coronata con le grandi orecchie. In alto, al centro della balaustra, le armi dei Del Balzo Orsini

Su due lati della balaustra posta tra il quarto ed il quinto ordine sono scolpite le armi dei Del Balzo Orsini, mentre una croce gerosolimitana figura scolpita nel sesto archetto della cornice di divisione, a est, tra il secondo e terzo ordine.

Note:

(1) Matteo Tafuri nacque in realtà più di un secolo dopo l'edificazione della guglia (8 agosto 1492) e fu uno studioso molto apprezzato dai suoi contemporanei. Laureatosi in Medicina e Filosofia alla Sorbona, dopo aver viaggiato per mezza Europa, ritornò nella natia Soleto per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita esercitando la professione di medico. Ma i suoi concittadini, più che apprezzarne le doti di medico e di studioso, lo considerarono e temettero soprattutto come un potente mago capace di chissà quali oscuri prodigi. Tanto che egli, per porre fine alle dicerie, fece scolpire su un architrave della sua casa – che si trova al civico 72 di via Matteo Tafuri - il motto: Humile so et humiltà me basta. Dragon diventerò se alcun me tasta.

(2) La presenza dei grifoni sembra riecheggiare l'episodio descritto nel Romanzo di Alessandro attribuito allo Pseudo-Callistene (III sec). Secondo il racconto, Alessandro il Grande, arrivato con l'esercito presso il mar Rosso e salito su una montagna così alta da sentirsi "quasi in cielo", fece costruire un ingenium, vi fece incatenare due grifoni e, poste davanti a loro aste munite in cima di carne, prese a salire al cielo. Ma una divinità, avvolgendoli con la sua ombra, li fece ricadere a terra incolumi. Questo episodio è raffigurato anche nel celebre mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (1165-1166).


(3) vedi scheda Il castello di Lagopesole, nota 1.


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