Sino agli ultimi anni del XIX secolo la piazza era occupata sul lato meridionale dalla cosiddetta isola del Governatore dove insisteva il Palazzo del Governo (un unico palazzo che comprendeva la residenza del Governatore, il Tribunale e l’antico Sedile o sala del Parlamento generale in cui avevano luogo le assemblee del pubblico reggimento) nonchè quello del console veneziano.
Ai primi del 1900, la costruzione del Palazzo della Banca d'Italia, opera in stile neorinascimentale fiorentino dell'architetto ferrarese Giovanni Travagli, alterò completamente la planimetria e la morfologia della piazza che fu ridedicata al santo patrono. Durante i lavori di costruzione del palazzo furono scoperti i resti dell'anfiteatro romano. Per far posto al primo e dar luce al secondo, fu demolita l'intera isola del Governatore nonchè le capande ossia le numerose botteghe dei mercanti veneziani che punteggiavano i portici degli edifici che affacciavano sul lato meridionale della piazza.
Il Palazzo del Sedile
Il Sedile e la chiesetta di San Marco
L'attuale Palazzo del Sedile fu fatto costruire dal sindaco Pietro Mocenigo nel 1592 in luogo del precedente demolito nel 1588 (*).
Posto nell’angolo settentrionale dell’isolato e rivolto verso il centro della piazza, l’antico Sedile o Tocco quattrocentesco era sormontato da una torretta dotata di campana per convocare il popolo e il reggimento.
La planimetria originaria del monumento era composta, oltre che dalla loggia esistente a pianta quadrata, da alcune stanze che si sviluppavano sul retro e da una soprastante alle stesse, utilizzate come armeria e demolite nel 1937 in seguito agli scavi che portarono alla luce l’Anfiteatro Romano.
Ognuno dei quattro prospetti del Sedile è definito da pilastri angolari – forati da cinque grandi ovuli - che inglobano, in una efficace invenzione architettonica, lo stelo di una colonna, come imprigionata al loro interno.
La volumetria del Sedile è quella di un parallelepipedo caratterizzato da due grandi archi gotici che si aprono sulle due facciate principali e che, con il verticalismo proprio di quello stile, conferiscono all’impianto ariosità e leggerezza.
Sulle due chiavi di volta degli archi ogivali sono scolpiti lo stemma di Filippo III di Spagna e quello della Città con la lupa sotto il leccio, rappresentata per la prima volta senza l’antica torre di Santa Irene.
Ai lati degli stemmi, su ambedue le facciate, si sviluppano ricche panoplie che raffigurano corazze, armi e scudi, richiamo alle armature e alle munizioni che venivano custodite nelle stanze retrostanti la loggia.
Nella parte superiore un sistema d'archi a tutto sesto forma un'altana di gusto rinascimentale a coronamento dell'edificio.
All’interno la loggia presenta un’alta volta acuta, a spigoli costolonati, decorata a festoni di foglie di quercia e mascheroni. La volta, così come le pareti, in origine era ricoperta da affreschi. Un’epigrafe in pietra leccese, collocata su una parete laterale interna, sovrastata dal volto di Carlo di Borbone, ricorda l’omaggio, reso al re dalla Città nel 1743, consistente in caraffe d’oro e d’argento contenenti l’olio della lampada di Sant’Oronzo e, di seguito, il suo ringraziamento in lingua spagnola.
Recenti lavori di restauro hanno svelato, ma solo sulla volta - non sulle pareti - e tra tante lacune, quanto è rimasto di superfici affrescate, che in origine dovevano conferire al monumento un aspetto fastoso. Oggi, dopo il restauro, sugli spigoli della volta sono visibili figure allegoriche - inserite in cornici che simulano il marmo e che seguono le linee architettoniche della stessa volta - Dazio, Frode, Onore, Virtù quelle di cui si riesce a ricostruire la dicitura sui cartigli che, molto probabilmente, fanno riferimento alla funzione di borsa svolta un tempo all’interno del Sedile.
Sulla crociera, s'intravedono i resti di un ciclo pittorico composto da una serie di episodi che, molto probabilmente, rappresentano la vita di Santa Irene, protettrice della Città.
Utilizzato come armeria, fu successivamente sede del Municipio fino al 1851 e quindi della Guardia Nazionale. Dopo i restauri terminati nel 2011, è stato adibito a sede espositiva.
(*) Il progetto del nuovo
Sedile, per quanto non si abbiano notizie certe in proposito,
dovrebbe essere opera di Alessandro Saponaro. Un coinvolgimento nella
progettazione di Gabriele Riccardi – chiamato in causa per
l'adozione della soluzione architettonica delle "colonne
inglobate" che compaiono anche nella facciata della basilica di
Santa Croce – appare improbabile, giacchè il celebre architetto
leccese morì presumibilmente prima del 1574 (cfr. M. Cazzato, La prima attività di Gabriele Riccardi: le colonne dell'altare dei martiri nella cattedrale di Otranto (1524),
pag. 85).
La "colonna inglobata" che figura nella facciata della basilica di Santa Croce
La chiesetta di San Marco
La colonia veneziana a Lecce, probabilmente già attiva agli inizi del XIV secolo, conobbe un'ulteriore espansione durante il regno di Maria d'Enghien (cfr. scheda La contea di Lecce e la casa i Brienne).
Nel 1543, su istanza presentata dal console veneziano Giovanni Cristino, il vescovo di Lecce, Giovanbattista Castromediano, concesse alla colonia la chiesetta dedicata a San Giorgio in piazza dei Mercanti (come attestato dall'iscrizione riportata sul portale laterale) che fu ricostruita e ridedicata a San Marco e alla quale nel 1592 si ritiene venisse addossato il nuovo Sedile.
Il rifacimento della chiesa è stato per lungo tempo considerato opera di Gabriele Riccardi.
La chiesa si presenta come un unico blocco cubico, con una facciata schematicamente geometrica la cui ricchezza ornamentale è impostata sull'asse centrale formato dal portale e dal rosone.
Agli inizi del ‘900 era ormai un rudere (ne venne anche proposta la demolizione per allargare ulteriormente la piazza), con le parti ornamentali corrose e con uno dei portali deturpato da un incendio che per fortuna era stato domato prima che arrecasse altri danni.
Nel 1930 si procedette al restauro. Purtroppo non si poterono restaurare i due portali in quanto dei fregi di cui erano ornati era rimasto ben poco perché erosi dal tempo e dalla incuria, ma a questo si ovviò riproducendo in calchi il portale della chiesetta di San Sebastiano (costruita da Riccardi nel 1520) e da questi si potè ricavare il modello delle due colonne laterali e del fregio.
Oggi quindi non si ammira il portale originale della chiesetta di San Marco ma la riproduzione di quello di San Sebastiano.
Recenti lavori di restauro hanno però dimostrato che le decorazioni ellittiche dei pilastri del sedile erano già presenti in quello demolito nel 1588. Il vecchio Sedile (costruito non molti anni prima del 1543) aveva, quindi, già, almeno nel pilastro destro, le decorazioni ellittiche, e furono proprio queste ultime a essere riproposte nella facciata (terminata nel 1582) della chiesa leccese di Santa Croce, e non il contrario come finora ritenuto (cfr. paragrafo precedente). Al momento della ricostruzione del Sedile, il pilastro destro del Sedile precedente (alla cui base è stata ritrovata la data del 1582) fu conservato per necessità strutturali e perché questa era evidentemente la soluzione più rapida ed economica.
La chiesetta di S.Marco fu quindi addossata al vecchio Sedile (e non il nuovo costruito a fianco ad essa come sino ad oggi ritenuto) e molto probabilmente non fu costruita in un unico tempo.
La colonna di Sant'Oronzo
Fu eretta per volontà della cittadinanza nel 1681, come ex-voto dopo la funesta epidemia di peste che aveva colpito la città nel 1656. L'architetto barocco Giuseppe Zimbalo reimpiegò il fusto in marmo cipollino d'Africa dell'antichissima colonna che segnava, insieme a una sua gemella, la fine dell'antica via Appia presso il porto di Brindisi.
Nel 1684 giunse a Lecce la
statua di Sant’Oronzo di rame, fusa a Venezia, che fu posta sulla
sommità della colonna. Nel 1737 durante i festeggiamenti in onore
del Patrono, un dei fuochi d’artificio andò a conficcarsi sotto il
braccio della statua che, realizzata sostanzialmente in legno
ricoperto di rame, prese fuoco e si sgretolò rapidamente. La testa
del santo, pur cadendo da quell’altezza, rimase intatta apparendo
tale fatto un miracolo. Così la gente raccolse le ceneri e i tizzoni
ritenendoli delle reliquie miracolose. Il giorno dopo la testa della
statua fu esposta nel Sedile e la gente numerosa si recò in
adorazione.
Due anni dopo fu posta in
opera la nuova statua, sempre fusa a Venezia.
L'Anfiteatro romano
L'Anfiteatro romano
Trasformato in fortezza in epoca medioevale, rimase successivamente completamente interrato fino ai primi del '900, quando venne riscoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d'Italia.
Ne è stato riportato alla luce circa un terzo, perchè sulla parte non scavata insistono importanti edifici.
E' in parte scavato in un banco tufaceo ed in parte eretto su imponenti arcate di sostruzione.
Il perimetro esterno è delimitato da pilastri pressochè quadrati che presentano una lesena sulla faccia esterna. Sui pilastri s'impostano arcate a tutto sesto e attraverso questi fornici si accede all'ambulacro esterno coperto da una volta a botte la cui chiave è posta a circa 6 metri di altezza.
L'ambulacro esterno
Dall'ambulacro esterno comode rampe di discesa ad ampi gradoni introducono all'ambulacro interno – la cui volta a botte è alta alla chiave circa 4 metri – da cui delle scale si aprono in forma di vomitoria (ne sono attualmente visibili sette) nel parapetto (balteus) che separa l'ima dalla media cavea. Della parte più alta della cavea (summa cavea), a cui esternamente corrispondeva un secondo ordine di fornici e che probabilmente culminava con una galleria colonnata, non è purtroppo rimasta traccia.
I due ingressi principali – uno dei quali portato alla luce - erano posti alle estremità dell'asse maggiore del'ellisse ed introducevano all'arena per mezzo di un ampio corridoio.
L'arena è separata dalla cavea da un muro abbastanza alto decorato sul parapetto da fregi marmorei che raffigurano scene di combattimento fra uomo e animale (venationes).
Particolare del fregio marmoreo: un gladiatore armato di gladio affronta un leone
Nel Museo Castromediano di Lecce si conserva inoltre una statua di Atena Hephasteia (*), replica di un originale greco del V secolo a.C., proveniente dall'anfiteatro.
(*) Il tipo dell'Atena
Hephasteia prende il nome dalla statua
vista da Pausania (II secolo) nel tempio di Efesto (Hephaisteion)
ad Atene ed attribuita ad Alcamene (seconda metà del V secolo a.C.).
E' caratterizzato dalla cesta contenente Erittonio – frutto
dell'amore tra Atena ed Efesto - che la dea tiene in braccio.
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