Giovanni Angelo Lomellino
era il podestà della colonia genovese di Pera (Galata) al momento
della caduta della città. Non si conosce il nome del fratello a cui
la lettera era indirizzata.
Pera, 23 giugno 1453
Nobile fratello mio carissimo,
se non vi ho scritto prima della presente e se non rispondo con questa alle vostre lettere, che ho ricevuto, vi prego di scusarmi, ma sono sempre stato e sono tuttora così pieno di tristezza e di preoccupazioni che desidero per me la morte piuttosto che la vita. Sono certo che voi avete saputo prima ancora della presente della caduta inattesa di Costantinopoli, presa dal signor Turco il 29 del mese passato, il quale giorno noi aspettavamo con trepidazione, perchè ci sembrava che egli avesse la vittoria sicura. Il signore ha dato battaglia per tutta la notte e ovunque, e in ogni luogo è stato affrontato coraggiosamente; all'alba Giovanni Giustiniani è stato ferito, ha abbandonato la sua porta e si è ritirato verso il mare, ed i turchi entrarono proprio da quella porta, senza incontrare resistenza, insomma in modo così vile non si dovrebbe perdere nemmeno un casale. Voglio credere che così avvenga per i nostri peccati. Tenuto conto della mia indole, pensate bene al resto: il Signore Iddio mi dia la forza di sopportare. Misero a sacco questa città per tre giorni – non avete mai visto così grande sofferenza – e fecero una preda inestimabile. Alla difesa di essa ho inviato tutti i mercenari di Chio e tutti quelli che erano stati mandati da Genova, e la maggior parte dei cittadini e degli abitanti del borgo di qui (1), e ciò che più conta, il nostro nipote Imperiale e i nostri servi. Per parte mia ho fatto quanto mi è stato possibile, lo sa Dio, perchè ho sempre pensato che, perduta Costantinopoli, anche questa città sarebbe stata perduta. Hanno fatto prigionieri la maggior parte delle persone. Alcuni, ben pochi, pieni di terrore, hanno cercato scampo qui, e gli altri abitanti del borgo ed i cittadini si sono dati a una gran fuga e la maggior parte di loro si sono rifugiati presso le loro famiglie. Alcuni furono presi sopra lo sbarramento del porto, perchè i patroni delle galere si erano messi in così grande agitazione che non vollero attendere nessuno. Non senza mio grande pericolo riuscii a riportare in città coloro che erano rimasti sullo sbarramento: non avete mai visto una situazione tanto terribile! Vedendo me stesso sospinto in una tale situazione, decisi di rimetterci la vita piuttosto che abbandonare questa terra; se io mi fossi tirato indietro, questa terra abbandonata a sé stessa sarebbe stata messa a sacco; d'altra parte presi disposizioni per provvedere alla sua salvezza, e inviai subito degli ambasciatori al signor Turco con bei doni per dirgli: “ Noi siamo in buona pace”, supplicandolo e sottomettendoci, purchè egli volesse mantenercela. Ma a questa nostra richiesta in verità i turchi non diedero alcuna risposta. Le navi si ritirarono verso un luogo da cui poter spiegare le vele. Feci dire ai patroni di voler rimanere, per amore di Dio e per sentimento di pietà, per tutto il giorno seguente, perchè ero certo che avremmo fatto la pace con il signor Turco. Ma non ne vollero sapere; anzi, verso la mezzanotte, spiegarono le vele. Al mattino, il signor Turco, avuta notizia della partenza delle navi, disse agli ambasciatori che voleva libera questa terra, e a stento riuscimmo a salvare persone e cose, egli diceva che noi avevamo fatto di tutto per salvare Costantinopoli e che noi eravamo stata la causa per cui non aveva potuto impadronirsi della città già il primo giorno dell'assalto. Diceva senza dubbio il vero. Ci siamo trovati nel più grande pericolo. Per evitare la sua gran rabbia, fu necessario fare ciò che egli volle, come vedete da quanto qui allegato (2): tutto fu fatto nel nome degli abitanti del borgo. Io non volli intromettermi in alcun modo, e per buone ragioni. Poi andai a far visita al signore che fu qui per due volte, fece distruggere tutto, fece abbattere i borghi e parte dei fossati della fortificazione, fece demolire la Torre della santa Croce (3), mentre lasciò in piedi solo parte della cortina che si trova tra la zona merlata e parte dei barbacani e tutte le mura verso il mare; sequestrò tutte le bombarde, e ha intenzione di prendersi tutte le munizioni e tutte le armi degli abitanti del borgo; fece fare poi l'inventario di tutti i beni dei mercanti e degli abitanti del borgo che sono scappati via, dicendo: “Se torneranno, saranno loro restituiti; se non torneranno, rimarranno di proprietà del signore”. Per questa ragione abbiamo ottenuto dal signore una lettera assieme ad un messaggero da inviare a Chio, per far presente a tutti i mercanti ed abitanti del borgo fuggiti di qui che possono tornare e che ritornando rientreranno in possesso dei loro beni; e con questo messaggero abbiamo inviato Antonio Cocca, e abbiamo avvisato tutti i mercanti che i veneziani hanno abbandonato qui tutti i loro magazzeni pieni di merci.
Quanto agli abitanti del borgo che se n'erano andati con le loro famiglie...con i loro familiari, ho fatto loro sapere con lo stesso messaggio che tutti i genovesi potevano [riprendere a] navigare in queste zone. Questa notte il signore si è ritirato in direzione di Adrianopoli; in questa città ha fatto condurre Chalil pasha, da cui ha ricevuto una gran somma di monete. In questi giorni ha fatto decapitare il bailo dei veneziani assieme a suo figlio (4) e altri sette veneziani e ugualmente il console dei catalani (5) con altri cinque o sei catalani. Pensate un po' se non fummo in pericolo! Fece ricercare Maurizio Cattaneo e Paolo Boccardo che si erano nascosti, ha inviato in questo luogo uno schiavo per la sorveglianza del luogo; a Costantinopoli ha mandato un subasi (6) e un cadì (7) con circa 1500 giannizzeri; a Chio ha mandato uno schiavo per riscuotere, si dice, il tributo, e qui si dice che vuole mandarlo anche a Caffa e in altri luoghi del Mar Nero. Daltra parte a fatto richiedere al despoto della Serbia (8) alcuni luoghi che possedeva suo padre e il signore turco non ha voluto darli in alcun modo al despoto. In conclusione, è montato in tanta arroganza per la conquista di Costantinopoli che crede di poter diventare in breve tempo signore di tutta la terra, e va dicendo dappertutto che non passeranno che egli ha intenzione di arrivare fino a Roma; e per il vero Dio, se i cristiani non provvedono e presto, farà cose straordinarie, ma se si provvederà, come è necessario, per Costantinopoli, questa sarà la sua rovina. Darò ora conto di ciò che è stato pattuito. Sappi che c'è...per ogni ordine, come voi vedrete, in base al patto concluso, la comunità di Pera potrà reggersi con un capitano che amministri la giustizia tra i suoi membri. Fatto l'accordo, ho deciso di andarmene dal palazzo (9) e di ritirarmi in una casa qualsiasi: la comunità però mi ha chiesto di voler rimanere nel palazzo e di continuare a governare fino a quando io possa ritirarmi.
Per molte ragioni fui contento di aderire alla loro richiesta. Non crediate che possa derivare qualche profiitto dalla comunità: il signore Turco vuole per sé l'introito delle dogane e non vuole che vi sia alcun'altra gabella; i titoli delle compagnie commerciali non valgono più nulla. Faccio voti e mi auguro che il nostro signor doge provveda ad inviare una solenne ambasciata che venga a questo scopo, per risolvere tutte le difficoltà dei nostri luoghi, e che per altro non faccia affidamento sull'aiuto dei cristiani, né faccia come già facemmo. Cerchiamo sempre un aiuto: abbiamo ottenuto una nave con cento quarantotto uomini, quali che siano. Voglio credere che sia stata la volontà divina, perchè nessuno fece il suo dovere, né i greci né i veneziani. Per il Dio vero, se non si provvederà da parte dei cristiani, questo signor Mehmed farà cose straordinarie: non si occupa d'altro che di imprese di guerra. Mio nipote Imperiale è stato fatto prigioniero: per il suo riscatto feci tutto ciò che mi è stato possibile. Fu scoperto, e sopra...il signore non sembra volere alcun riscatto. Frattanto il signore Turco ha avuto notizia di lui, e se l'è preso, e così pure un altro veneziano; e per nessun'altra ragione, se non perchè il signore vuole avere alcuni latini presso la sua corte, per cui mi sento in così grande tristezza che non posso più sopportare di vivere. Sono certo che lo farà suo, è ancor giovane; ho compiuto tutti i passi possibili al momento attuale ma non è stato possibile riscattarlo. Se egli terrà duro, spero che non passerà molto tempo, non ci resisterà, se è per i soldi, anche se io dovessi rimanere con la sola camicia.
Attorno a me tutto è incerto. Se non vi scrivo in modo ordinato, abbiatemi per scusato; l'animo mio è ammalato in forma tale che so a malapena ciò che faccio. Sono diciotto mesi che mi trovo in continue fatiche ed affanni, e in un sol giorno tutta la nostra fatica è finita in nulla, voglio credere per i miei peccati. Raccomandatemi, vi prego, infinitamente all'illustre signor doge, a cui non scrivo, non avendo sufficiente dimestichezza con lui. Desidero, vi prego, che mi raccomandiate alla signora mia suocera, a cui pure non scrivo e alla quale fate in modo di leggere questa mia lettera, e mi raccomando pure a mio padre e a vostra moglie, saluti agli altri.
Angelo Giovanni Lomellino
Note:
(1) Nel testo originale in latino cives e burgenses. Lomellino distingue i cittadini genovesi (cives) dagli abitanti di Pera (burgenses).
(2) Lomellino allude al trattato che venne firmato il primo giugno tra gli abitanti di Pera ed il sultano, il cui testo aveva probabilmente allegato alla lettera.
(3) Era la torre principale della fortezza di Galata, alle cui fondamenta veniva agganciata la catena che sbarrava l'accesso al Corno d'oro. I suoi resti sono stati individuati nei pressi dell'attuale piazza Karakoy.
(4) Girolamo e Giorgio (?) Minotto.
(5) Pere Julià.
(6) Capo della polizia.
(7) Magistrato che si occupava di amministrare la giustizia ordinaria.
(8) Giorgio Brankovic, fu despota di Serbia dal 1427 al 1456.
(9) Intende il Palazzo del Podestà. Costruito nel 1316 su modello del Palazzo di S.Giorgio di Genova, i suoi resti sono stati identificati in un edificio che si trova in KartÇınar Sokak.
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