La cripta del Peccato
originale, Matera
Solo
visita accompagnata su prenotazione.Il luogo di incontro per poter effettuare la visita è presso la stazione di servizio "Grifo Gas" sulla SS7 direzione Potenza, al km 564, a circa 10 km da Matera. Tel. 320 5350910.
La Cripta, ubicata lungo le pareti della Gravina di Picciano, è una delle testimonianze più importanti di arte pittorica altomedievale nell'area mediterranea, sia per il valore teologico sia per il valore artistico del ciclo pittorico. Nella tradizione contadina la cripta è ricordata come la "Chiesa dei Cento Santi" per il fatto che vi sono molti affreschi (circa 41 mq.) che la illuminano e documentano il luogo di culto di un cenobio rupestre benedettino del periodo longobardo, quindi databile al IX secolo.
Sulla parete di destra
si svolge il ciclo della Genesi. Il primo episodio raffigurato, a
partire da sinistra, narra la Creazione
della Luce e delle Tenebre,
metaforicamente rappresentate rispattivamente da una donna, dalla
tunica decorata con perline e dai capelli spartiti sulla fronte, che
alza in alto le braccia e da un uomo dalle braccia legate e
incrociate sul grembo (uno schiavo). Il Creatore è qui rappresentato
con il volto giovanile e imberbe e con il nimbo crucesignato, mentre
con la destra benedice e con la sinistra stringe il rotolo della
Legge.
Sul registro inferiore ed all'estrema sinistra della parete è raffigurata la purificazione liturgica di un vescovo: un diacono, con tunica drappeggiata, mantello giallo e tonsura sul capo, versa acqua, da un’anfora, sulle mani del prelato, raffigurato con una tunica chiara coperta da una casula rosa, decorata ai bordi da puntini, sulla quale pende il corto pallio latino, decorato da corolle e triangoli e con un piccolo copricapo a punta.
Sul registro superiore prosegue il racconto della Creazione. Nella prima scena Adamo è in piedi, accanto al
Redentore, del tutto simile al Creatore precedente; nella seconda
scena appare soltanto la mano di Dio nell’atto della creazione.Nella terza scena Eva viene fuori dal costato di Adamo, il quale, con un atteggiamento di devota gratitudine, protende le braccia verso la mano creatrice di Dio; nella quarta Eva, in piedi, è affiancata dal serpente, attorcigliato all’albero del peccato; nella scena finale Eva offre il frutto (1) ad Adamo.
Tutta la parete è trapunta da un tappeto di fiori (da questa caratteristica l'autore degli affreschi è stato denominato il maestro dei fiori) di un vivace color rosso ed è bordata, in alto, da una cornice gialla ornata di nero, con decorazioni puntiformi bianche e gemme rosso-nere.
Sulla parete di fondo le tre nicchie absidali contengono altrettante triarchie.
1) La prima presenta
San Pietro,
affiancato da Sant’Andrea
e San Giovanni.
Dell’immagine di Sant’Andrea (SCS ANDRE) rimane soltanto il capo
ricciuto con i grandi occhi neri. San Pietro (SCS PETRUS), colto
nell’atto di benedire alla maniera greca (con indice e medio tesi), calza sandali e indossa un’ampia e
drappeggiata tunica grigia a bande gialle e mantello rosso. Alla sua
sinistra San Giovanni (SCS IOANNES), rivestito anch’egli di tunica
e
mantello, alza la destra con la palma tesa, mentre, con la sinistra,
mostra un libro riccamente rilegato.
2) La seconda
triarchia mostra la Madonna con Bambino,
adorata da due figure femminili. La prima di queste è priva di nome,
la seconda è indicata con la scritta: SCA LUCOTIA.
La Madonna Regina indossa un sontuoso
abito, color arancio, ricamato a cerchi e bordato di gemme che si
infittiscono sulle spalle. Dal copricapo gemmato, a tre punte, cade
un velo bianco che giunge quasi fino ai piedi e che, nel tratto
terminale, si arricchisce di una frangia seghettata. Sul viso ovale
scendono i capelli scuri divisi, sulla fronte, in due composte bande.
3)
La terza composizione
rappresenta i tre Arcangeli. Al centro San
Michele, con tunica grigia a fasce gialle
e mantello rosa, dello stesso colore delle ali, appare nell’atto
di benedire con la destra e di reggere un piccolo scettro con la
sinistra. La figura di San
Gabriele,
molto rovinata, è identica a quella opposta di San
Raffaele.
Entrambe reggono, con la mano sinistra, una sfera grigia e nera
simboleggiante
il globo terrestre e, con la destra, una croce rossa; indossano
tuniche grige a bande rosse, sotto un mantello bianco. I visi dei tre
Arcangeli sono contornati da nimbi gialli orlati di nero e da una
riccia capigliatura scura.
Le
triarchie sono alleggerite dalla presenza della decorazione floreale
verde e rossa, già presente sulla parete di destra. Soltanto sotto
la triarchia apostolica è visibile un motivo decorativo insolito,
costituito da larghe fasce a denti di sega sovrapposte, di diverso
colore.
Le
restanti pareti, un tempo anch’esse decorate, appaiono oggi spoglie
o ricoperte da piccoli frammenti di affreschi illeggibili.
L'intero ciclo di
affreschi rivela, nel semplice linearismo, una chiara impronta
occidentale (a partire dalle didascalie tutte in latino).
Le figure, siano esse nude,
come Adamo ed Eva, o sontuosamente vestite, come la Vergine, i Santi
e gli Arcangeli, sono caratterizzate da un elementare grafismo che,
concentrandosi prevalentemente sulle
sagome delle figure, lascia al colore, morbido e vellutato, il
compito di plasmare le forme. Anche l'espressività dei volti rimanda
ad un ambito occidentale come le fattezze della Vergine – dai
tratti giovanili e con i capelli che debordano dal velo mentre
nell'iconografia bizantina sono sempre accuratamente coperti.A detta degli studiosi, gli affreschi risalirebbero al IX secolo, ad un’epoca in cui forte era la presenza longobarda in Basilicata e in cui Matera gravitava nell’orbita del Ducato di Benevento.
Note:
(1) Il frutto che Eva
offre ad Adamo è indiscutibilmente un fico e non una mela come
anche, ad esempio, nello stesso soggetto dipinto molti secoli dopo da
Michelangelo nella Cappella Sistina. Nella Genesi non è specificata
la natura del frutto dell'albero della Conoscenza è però scritto
che non appena Adamo ed Eva lo ebbero mangiato si
accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero
cinture (Genesi, III, 7), il
che lascia supporre che l'albero in questione fosse proprio un fico.
Il diffondersi in epoca mediovale dell'identificazione del frutto
proibito con la mela potrebbe derivare da un errore di traduzione
avallato perchè nel nord Europa il fico non era praticamente
conosciuto.
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