sabato 17 novembre 2012

Dalla Tetrarchia all'Impero romano d'Oriente (III)

Dalla Tetrarchia all'Impero romano d'Oriente (III)


Costanzo II (337- 361)


Testa colossale di Costanzo II, 337-361, Musei capitolini, Roma


Sposò in prime nozze una figlia di Giulio Costanzo e poi nel 354, alla morte di questa, Eusebia, la figlia del suo magister militum Eusebio. Nel 361 sposò in terze nozze ad Antiochia Faustina da cui ebbe finalmente una figlia – Costanza – nata dopo la sua morte.
Sul finire del 354, in parte perchè stanco delle crudeltà perpetrate dal cesare Gallo e da sua sorella Costantina (Costanza) nell'amministrazione delle provincie orientali ed in parte sobillato dai cortigiani che lo convinsero che il cesare tramava di rivoltarsi contro di lui, convocò entrambi a Milano.
Costantina morì di febbre durante il viaggio mentre Gallo fu arrestato a Poetovio (l'attuale Ptuj, in Slovenia), tradotto e processato a Pola per l'assassinio del prefetto del pretorio d'Oriente, Domiziano, e del questore Monzio e colà giustiziato.
Nel 355 Costanzo dovette fronteggiare la rivolta del magister militum per le Gallie, Claudio Silvano, che fu catturato e ucciso ed il 6 novembre a Milano, non avendo figli, elevò al rango di cesare, Giuliano, il fratellastro di Gallo.
Nel 360 le truppe galliche, rifiutandosi di partire per l'Oriente come richiesto da Costanzo, proclamarono Giuliano augusto ma Costanzo il 3 novembre 361 morì di febbre mentre si trovava ancora in Asia (a Mobsucrene, in Cilicia) e lo scontro fratricida non ebbe luogo. Giuliano fu riconosciuto imperatore anche dalle regioni orientali. Si dice che in extremis Costanzo II lo abbia nominato ufficialmente suo successore.

Giuliano detto l'Apostata (361-363)

Giuliano l'Apostata, IV secolo, Museo archeologico nazionale, Atene

Discendente del ramo costantiniano (quindi cugino di Costanzo) derivante dalle nozze tra Costanzo Cloro e Teodora fu nominato cesare da Costanzo II nel 355.
Nel 356 ottenne il comando dell'esercito di tutte le Gallie. Sposò Elena, sorella di Costanzo, da cui non ebbe figli e che fu tumulata a Roma accanto alla sorella Costanza (Mausoleo di S.Costanza). Nel novembre del 361, mentre svernava con l'esercito a Naisso (l'attuale Niš in Serbia, città natale di Costantino il grande) preparandosi ad attaccare Costanzo, ricevette la notizia della sua morte e la sottomissione delle provincie orientali.
E' detto “l'apostata” perchè cercò di restaurare l'antica religione, a scapito di quella cristiana, imperniandola sul culto del dio Sole. Il 17 giugno 362 emise un editto con il quale stabiliva l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle scuole pubbliche e fece riaprire molti templi consacrati alle divinità pagane che erano stati fatti chiudere dai cristiani. Scrisse anche un opera andata perduta – Contro i Galilei – di propaganda anticristiana. Giuliano non vietò comunque la professione del cristianesimo né perseguitò apertamente i cristiani anche se, soprattutto nelle regioni orientali, tollerò episodi di violenza anticristiana.
Sul piano militare, il 5 marzo 363 diede inizio alla campagna contro i Sasanidi muovendo da Antiochia alla testa di 65.000 uomini. Giunto a Carre, divise le sue forze inviando metà delle truppe, al comando di Procopio e Sebastiano in Armenia, per unirsi al re Arsace, ridiscendere per la Corduene, devastare la Media e, costeggiando il Tigri, ricongiungersi poi in Assiria con Giuliano che intanto, con i suoi 35.000 uomini, sarebbe disceso a sud lungo l'Eufrate, dove una grande flotta al comando di Lucilliano navigava a vista portando altri soldati, vettovaglie, armi, macchine d'assedio, barconi.
Alla fine di marzo Giuliano attraversò il fiume Chabora entrando in territorio sasanide ed avanzò senza incontrare forte resistenza (i persiani si ritiravano allagando i campi e bruciando i raccolti) fino alla capitale Ctesifonte che rinunciò ad assediare temendo di essere preso tra due fuochi dal sopraggiungere dell'esercito di Sapore. Aggregati al suo esercito i 20.000 uomini sbarcati dalla flotta, puntò verso nord sperando di ricongiungersi alle forze di Procopio e di costringere il re Sapore ad una battaglia campale. Il re sasanide si limitò invece a seguire a distanza l'esercito romano senza mai accettare uno scontro in campo aperto.
Il 26 giugno, durante la marcia, presso il villaggio di Toummara, si accese un combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare l'armatura, si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco (1). Cercò subito di estrarlo ma cadde da cavallo e svenne. Adagiato su uno scudo fu portato nella sua tenda, si rianimò, credette di star meglio, volle le sue armi ma le forze non gli risposero. Il giorno seguente l'imperatore spirò.
Secondo la sua volontà Giuliano fu sepolto a Tarso in un mausoleo a fianco di un piccolo tempio sulle rive del fiume Cydnus. Di fronte, sorgeva la tomba di un altro imperatore, Massimino Daia (2).

 (1) Secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (XIII secolo), l'imperatore venne ucciso per ordine della Vergine da San Mercurio di Cesarea, rappresentazione che ricorre nell'iconografia del tardo medioevo. (cfr. San Mercurio uccide Giuliano l'apostata in un affresco di Larino e in un quadro di Toro, 2009) 

(2) In genere si accetta che le spoglie di Giuliano siano state traslate dalla sua iniziale sepoltura a Tarso alla chiesa costantinopolitana dei SS.Apostoli, dove venivano sepolti gli imperatori. Costantino VII Porfirogenito (912-959), nel suo De cerimoniis, include infatti il suo sarcofago nel catalogo dei sepolcri imperiali in porfido che si trovavano nella chiesa dei SS. Apostoli e lo descrive di forma cilindrica.
Secondo la maggior parte degli storici moderni il trasferimento avvenne inoltre molto precocemente, entro la fine del IV secolo.
David Woods (On the alleged reburial of Julian the Apostate at Constantinople, Byzantion Revue internationale des études byzantines, 2006) ha invece recentemente sostenuto con vari argomenti che i resti di Giuliano non furono mai rimossi dalla tomba di Tarso.


Gioviano (363-364)
Generale di Giuliano fu acclamato imperatore dall'esercito alla morte di questi.
Gioviano concluse con l'Impero persiano una pace molto svantaggiosa per Roma, abbandonando i territori conquistati dai suoi predecessori in Mesopotamia e lasciando di fatto gran parte dell'Armenia sotto il controllo persiano. Di fede cristiana abrogò i decreti del suo predecessore contrari alla chiesa cristiana, pur mantenendo una politica di tolleranza verso tutte le religioni.
Morì il 17 febbraio 364, dopo soli otto mesi di regno, probabilmente per le esalazioni di un braciere che teneva nella sua stanza a Dadastana in Bitinia mentre tornava con l'esercito dalla disastrosa spedizione militare contro l'Impero persiano.

Valentiniano I (364-375)
Nominato dall'esercito alla morte di Gioviano, dopo il rifiuto del prefetto del pretorio Salustio, nominò quasi subito suo fratello Valente augusto d'Oriente (364-378).

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