mercoledì 25 luglio 2012

Isola di Lesbo (Signoria dei Gattilusio 1355-1462)

Isola di Lesbo (Signoria dei Gattilusio 1355-1462)



Francesco Gattilusio (1355-1384)
L’imperatore d’Oriente Giovanni V Paleologo, scacciato dal trono da Giovanni Cantacuzeno, si rifugia a Tenedo (l'attuale Imroz). Giunge in tale isola il corsaro genovese Francesco Gattilusio con 2 galee. Gattilusio decide di appoggiare l'imperatore deposto nel tentativo di riconquistare il trono; in cambio, gli viene promessa in moglie la sorella Maria ed in feudo l’isola di Lesbo (Mitilene).
Nel novembre del 1355 salpa dall’isola di Tenedo e approda nottetempo nel Corno d’Oro alle porte di Costantinopoli; finge di essere un mercante d’olio. Durante un temporale, si avvicina alla porta di Santa Maria di Blachernae (1); vi si attesta nei pressi con alcuni armati. Si lamenta della sfortuna; chiede di entrare rompendo ad arte degli orci vuoti contro le mura; domanda soccorso perché in grave pericolo. Le guardie gli aprono la porta senza sospetto; i suoi uomini, che sono in agguato, entrano ed uccidono le sentinelle. All’alba il Gattilusio si impadronisce della torre e vi innalza la bandiera del Paleologo. La città insorge; il Cantacuzeno, abbandonato da tutti, vestirà l’abito religioso e si trasferirà in un monastero del monte Athos.
Nel luglio Francesco Gattilusio riceve in feudo l'isola di Lesbo come dote della moglie Maria Paleologina.
Nel 1382 ottiene dall'imperatore il riconoscimento dell'insediamento di suo fratello Niccolò nella baronia di Ainos sulla costa della Tracia  - l'attuale Enez, cittadina turca sull'estuario del fiume Evros attualmente a ridosso della frontiera con la Grecia - ampliando i suoi domini (2).
Nell’agosto del 1384 muore nel suo castello di Mitilene insieme alla moglie ed ai due figli Andronico e Domenico durante un terribile terremoto. Venne sepolto in un grande sarcofago con i due figli nella chiesa di San Giovanni Battista: in epoca turca la sua tomba sarà trasformata in un abbeveratoio, che è ancora visibile all'interno della fortezza di Mitilene.


Sarcofago dei Gattilusio
Sulla destra si riconosce lo stemma imperiale e sulla sinistra quello dei Gattilusio, raffigurante una cotta di maglia.

In questa torre quadrata, attualmente inserita nella cinta difensiva ristrutturata in epoca ottomana e che probabilmente apparteneva all'antico palazzo dei Gattilusio, si nota un bassorilievo che raffigura al centro lo stemma imperiale, a destra quello dei Gattilusio ed a sinistra l'aquila imperiale. Al di sotto sono incassati nella muratura alcuni bassorilievi di recupero.



Francesco II Gattilusio (1384-1404)
Terzogenito di Francesco I e Maria Paleologina, miracolosamente scampato al terremoto. Ancora minorenne dovette sottostare alla reggenza dello zio paterno Niccolò, Signore di Ainos. Nel 1388 assunse direttamente il potere intraprendendo una decisa politica antiturca. Sposò Valentina Doria da cui ebbe sei figli.
Sua figlia Eugenia (ribattezzata Irene) sposa Giovanni VII Paleologo. Morirà nel 1400 dopo aver dato alla luce il futuro Andronico V. Secondo Sfrantzes è sepolta nel monastero del Pantokrator. La sorella Elena sposò nel 1405 a Costantinopoli il Despota serbo Stefan Lazarevic da cui non ebbe figli.
Francesco II morì in circostanze singolari: l'accorrere in massa dei suoi cortigiani per soccorrerlo da una puntura di scorpione causò il crollo del pavimento della stanza in cui si trovava e la sua morte nel corso del quale.

Jacopo Gattilusio (o Giacomo 1404-1428)
Figlio maggiore di Francesco II. Fu proclamato Signore di Lesbo ancora minorenne sotto la reggenza dello zio Niccolò fino alla morte di questi nel 1409. Sposò probabilmente Bona Grimaldi da cui non ebbe figli maschi. Alla sua morte gli successe il fratello minore Dorino.

Dorino Gattilusio (1428-1455)
Terzogenito di Francesco II, sposò Orietta Doria. Cercò di consolidare la propria posizione attraverso un'accorta quanto sfortunata politica matrimoniale.
Sua figlia Caterina sposa il futuro Costantino XI, allora despota di Morea, nel luglio 1441 ma muore nell'agosto del 1442 mentre è assediata insieme al marito dai turchi nella fortezza di Kokkinos nell'isola di Lemno .
Ammalatosi, a partire dal 1449 fu costretto a trascorrere la maggior parte del tempo a letto, delegando la gestione del potere al figlio Domenico.
Sua figlia Maria sposa Alessandro Comneno di Trebisonda. Rimasta vedova, dopo la caduta di Trebisonda (1461) entrò a far parte dell'harem del sultano.
Sua figlia Ginevra sposa nel 1444 il duca di Nasso Giacomo II Crispo.
Dopo la caduta di Costantinopoli (1453) Domenico, recatosi a rendere omaggio al Conquistatore, riuscì a ottenere dal sultano la signoria dell'isola di Lemno, dove fino ad allora i Gattilusio avevano posseduto solo il castello di Kokkinos, portando i possedimenti della casata alla loro massima estensione.

Isola di Lemno


Domenico Gattilusio (1455-1458)
Primogenito di Dorino, assunse i pieni poteri alla morte del padre.
Nel 1456 in coincidenza con la campagna invernale con la quale Maometto II aveva conquistato i domini del ramo cadetto dei Gattilusio di Ainos, Imbro e Samotracia, Lemno si ribellò al governo tirannico del fratello Niccolò Gattilusio, al quale Domenico aveva affidato l'isola. Il piccolo contingente di truppe che il signore di Lesbo era stato in grado di inviare in soccorso era stato sbaragliato dai Turchi chiamati in aiuto dai ribelli. Niccolò stesso era stato così costretto a fuggire a Lesbo, mentre Lemno veniva occupata dai Turchi di Hamza Pasha.

Denaro di bronzo coniato durante il regno di Domenico Gattilusio.
Al recto la "D" maiuscola, al verso le insegne imperiali di Bisanzio.
 
Verso la fine del 1458 il fratello Niccolò, accusandolo di voler consegnare Lesbo ai Turchi, lo depose usurpando la signoria e, pochi giorni dopo, lo fece strangolare in carcere in presenza della moglie, Maria Giustiniani.

Niccolò Gattilusio (1458-1462)
Col pretesto di questo crimine, in realtà a causa del suo appoggio ai pirati catalani, Maometto II decise nel 1462 di attaccare l'isola.
Pose il suo quartier generale nei pressi di Assos sulla costa anatolica.
Niccolò disponeva di una guarnigione di 5.000 uomini compresi 70 cavalieri giovanniti e 110 mercenari catalani.
La flotta ottomana, forte di 60 galee e sette vascelli minori ed al comando di Mahmud pasha, prese posizione il 1 settembre ed iniziò il cannoneggiamento.
Dopo 10 giorni di assedio i giannizzeri, probabilmente guidati da oppositori locali di Niccolò attraverso i punti maggiormente indeboliti delle fortificazioni, penetrarono in città.
Niccolò pose come unica condizione per la resa che gli fosse assegnato un possedimento di uguale valore.
Trecento prigionieri italiani furono tagliati in due perchè Mahmud pasha aveva promesso che non sarebbe stata tagliata loro la testa e Maometto scelse 800 ragazzi e ragazze per servire la Porta e Maria Gattilusio, vedova di Alessandro Comneno, fratello dell'imperatore Davide II Comneno di Trebisonda, per il suo harem.
Niccolò fu tratto prigioniero insieme ad i suoi famigliari a Costantinopoli dove giunse il 16 ottobre. Convertitosi all'Islam assieme a suo cugino Luchino venne liberato. Dopo poche settimane, Maometto II li fece ad ogni modo nuovamente imprigionare e giustiziare.
Appare invece priva di fondamento la voce che voleva Leonardo di Chio, arcivescovo di Mitilene ed uno degli eroici difensori di Costantinopoli, catturato e trucidato dai Turchi alla caduta di Mitilene. L'arcivescovo morì infatti nel 1459, circa due anni prima della caduta della città, molto probabilmente a Genova.
 
Note:
(1) La chiesa di Santa Maria delle Blacherne (Theotokos delle Blacherne) - fondata da Pulcheria, sorella di Teodosio II e moglie di Marciano (450-457) tra il 450 ed il 453 - fino all'epoca dell'imperatore Eraclio (610-641) si trovava all'esterno della cinta muraria teodosiana. Dopo l'assedio degli Avari (626) che devastò il suburbio delle Blacherne, l'imperatore fece erigere un muro per includerlo all'interno della cinta. Questo muro fu rafforzato sotto Teofilo (829-842) con la costruzione di tre torrioni a pianta esagonale mentre sotto Leone V (813-820) la linea difensiva in questa sezione era stata raddoppiata con l'edificazione di un altro muro parallelo, costruito all'esterno di quello di Eraclio.
 
 
Venne così a formarsi un ridotto fortificato racchiuso tra i due muri e largo circa 26 metri che prese il nome di Bracciale (Brachionion) delle Blacherne. La porta che si apriva in questa doppia cinta e che conduceva alla chiesa – che era collegata al palazzo per mezzo di un portico e di una scalinata – prese il nome di Porta di Santa Maria delle Blacherne o, semplicemente, di Porta delle Blacherne.

(2) vedi scheda La baronia di Ainos sotto i Gattilusio.


lunedì 23 luglio 2012

L'Impero di Trebisonda

L'Impero di Trebisonda (1204-1461)

Armi dei Comneni di Trebisonda


L'Impero di Trebisonda fu uno dei tre piccoli stati bizantini che sorsero dopo la conquista di Costantinopoli ad opera dei Crociati nel 1204, assieme all'Impero di Nicea e al Despotato d'Epiro.
Fu fondato da Alessio I Comneno grazie all'aiuto delle truppe fornite dalla regina Tamar di Georgia (1184-1212), con cui conquistò Trebisonda, Sinope e la Paflagonia, nella parte settentrionale dell'Anatolia, con i passi della catena del Ponto.
Alessio I, che era nipote dell'Imperatore bizantino Andronico I Comneno e, per parte di madre, di Giorgio III di Georgia (1156-1184), fece di Trebisonda la propria capitale e reclamò il titolo di legittimo successore dell'Imperatore bizantino.
L'Imperatore Andronico era stato deposto e ucciso nel 1185. Suo figlio Manuele Comneno, padre di Alessio, era stato accecato ed era successivamente morto a cause della ferita.
Le fonti concordano che Rusudan, moglie di Manuele e madre di Alessio I e Davide I, fuggì da Costantinopoli per sottrarsi alla persecuzione di Isacco II Angelo, successore di Andronico. Non è chiaro se si diresse in Georgia o sulla riva meridionale del Mar Nero, da dove la famiglia dei Comneni traeva le proprie origini, ma ci sono alcune prove che gli eredi avevano organizzato un territorio semi-indipendente con capitale Trebisonda già nel 1204.
I governanti di Trebisonda usarono i titoli di Grande Comneno (Megas Komnenos) e di Imperatore fino al crollo, nel 1461; a volte ci si riferisce a questo stato col nome di "Impero Comneno".
Trebisonda controllava inizialmente un territorio compatto, sulla costa meridionale del Mar Nero, comprendente le moderne province turche di Sinop, Ordu, Giresun, Trabzon, Bayburt, Gumushane, Rise e Artvin; nel XIII secolo controllò anche la cosiddetta provincia d'oltremare (Perateia), che includeva Cherson e Kerch nella penisola di Crimea. Davide Comneno si espanse rapidamente verso occidente, occupando prima Sinope, quindi la Paflagonia e poi l'Eraclea pontica, fino a che i suoi territori confinarono con quelli dell'Impero di Nicea. Questo strappò a Trebisonda i domini a ovest di Sinope nel 1206. Sinope stessa fu presa dai Selgiuchidi nel 1214.

L'Impero di Trebisonda nel momento della sua massima espansione

L'Impero comneno fu perennemente in conflitto prima col sultanato d'Iconio, poi con gli Ottomani, oltre che con Bisanzio e le Repubbliche marinare italiane, specialmente Genova, che aveva una base ad Amastris o Samastris (l'attuale cittadina di Amasra in Turchia), e minacciava i suoi confini.
Il titolo di impero era più teorico che pratico e la sua difesa venne garantita soprattutto aizzando i rivali uno contro l'altro e offrendo principesse in matrimonio con generosissime doti, soprattutto ai Turchi dell'Anatolia interna.
La distruzione di Baghdad da parte di Hulegu Khan nel 1258 rese Trebisonda l'estremo baluardo occidentale sulla via della seta, ed ebbe accesso ad enormi ricchezze sotto l'ala protettrice dei Mongoli. Marco Polo tornò in occidente dal suo viaggio in Cina attraverso questa città, nel 1295. Durante il governo di Alessio III (1349-1390) la città divenne uno dei maggiori centri commerciali e culturali al mondo.
Manuele III successe al padre Alessio III nel 1390 e si alleò con Tamerlano, traendo vantaggio dalla vittoria di questo sugli Ottomani nel 1402 alla Battaglia di Ankara.
Suo figlio Alessio IV diede due delle sue figlie in moglie a Jihan Shah, Khan dei Kara Koyunlu, e ad Ali Beg, Khan degli Ak Koyunlu, rivali tra loro, mentre la sua figlia maggiore Maria divenne la terza moglie dell'Imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo. Pero Tafur, che visitò la città nel 1437, riporta che la città era presidiata da una guarnigione di poco meno di 4000 soldati.
Giovanni IV non poté fare altro che vedere il proprio impero fare la fine di Costantinopoli: il Sultano Ottomano Murad II tentò di prendere la capitale per mare nel 1442, ma fu bloccato dal mare in burrasca; durante l'assedio di Belgrado da parte di Maometto II nel 1456, il governatore ottomano di Amiso (l'attuale Samsun) attaccò la città e, sebbene sconfitto, prese molti prigionieri e riscosse un forte tributo.

***

Alessio I Comneno (1204-1222): figlio di Manuele Comneno - a sua volta figlio di Andronico I Comneno, imperatore di Bisanzio (1182-1185) e della sua prima moglie di cui è ignoto il nome - e di Rusudan di Georgia, figlia del re Giorgio III. Lasciò il comando dell'esercito dell'impero nelle mani del fratello Davide I Comneno (+1212), che era un grande stratega ed era molto valoroso in battaglia. L'esercito di Davide combatté contro i niceni, comandati da Teodoro I Lascaris, in Bitinia nel 1205, ma fu sconfitto, così fu fermata l'avanzata trapezuntina sulla città di Eraclea Pontina. I trapezuntini non poterono riorganizzarsi per proseguire la guerra, come i due Comneni avrebbero voluto, visto che i selgiuchidi iniziarono ad attaccare i loro confini. Nel 1205 Trebisonda fu assediata, da parte dei selgiuchidi, guidati dal sultano Kay Khusraw I. L'assedio durò fino al 1206, e vide vittoriosi i trapezuntini, che erano comandati direttamente da Alessio.
Scampato il pericolo della caduta della capitale, i trapezuntini poterono nuovamente riorganizzarsi, per continuare la guerra contro i niceni. Davide ricominciò la sua avanzata sulla Bitinia e inviò il giovane generale Sinadeno a occupare la città nicena di Nicomedia (Nicea). Sinadeno non tenendo conto del pericolo che costituiva l'imperatore Teodoro I Lascaris, attraversò un passaggio dove era facile aspettarsi un'imboscata, infatti l'imboscata ci fu, gli uomini di Teodoro si scagliarono contro quelli di Sinadeno, battendoli e prendendo come prigioniero lo stesso Sinadeno.
Con la sconfitta dell'esercito trapezuntino, Davide fu costretto a riconoscere il confine con l'impero di Nicea alla città di Eraclea Pontica, anche se i niceni reclamavano anche il possesso di questa città.
Mentre Davide combatteva contro i niceni, Alessio salpò con la flotta trapezuntina, per approdare in Crimea, dove obbligò la popolazione del luogo, a diventargli tributaria. Cherson, Kerch e il loro entroterra divennero parte dell'impero, come provincia d'oltremare chiamata Perateia ('al di là del mare').
 Nel 1214 il sultano d'Iconio Kay Ka'us attaccò e prese Sinope catturando lo stesso imperatore che era accorso in sua difesa (alcuni storici collocano anche la morte del fratello Davide nel corso dell'assedio). Alessio fu rimesso sul trono solo dopo aver prestato giuramento al sultano come vassallo.
Sposò Teodora Axuchina da cui ebbe una figlia  di cui non si conosce il nome e due maschi, Giovanni e Manuele. Morì il 1 febbraio del 1222. Gli successe il genero Andronico Gido.

Andronico I Gido (1222-1235), genero di Alessio di cui aveva sposato la figlia. Potrebbe essere lo stesso generale che aveva precedentemente servito nell'esercito niceno. Nel 1224 dovette sostenere l'assedio del sultano d'Iconio Kay Ka'us che fu però catturato e condotto prigioniero a Trebisonda. Andronico siglò con lui un accordo che scioglieva il suo impero dai vincoli di vassallaggio che precedentemente lo legavano al sultanato.
Nel 1230 Jalal-ad-din, sultano di Khwarizm, invase l'Anatolia attaccando il sultanato d'Iconio. Andronico strinse con lui un patto di vassallaggio. Alla sua morte fu sepolto nella chiesa della Panaghia Crysokephalos.

Giovanni I Axuch Comneno (1235-1238), primogenito di Alessio I e Teodora Axuchina, morì dopo una caduta da cavallo nel corso di una partita di tzykanion (una sorta di polo).

 
Manuele I Comneno (1238-1263), fratello del precedente. Durante il suo regno fu costruita la chiesa di S.Sofia. Si sposò tre volte. Dalla prima moglie, Anna Xylaloe ebbe Andronico; dalla seconda, Rasudan di Georgia, Teodora e dalla terza, Irene Syrikaina, Giorgio e Giovanni.

Andronico II Comneno (1263-1266), primogenito di Manuele I di Trebisonda e della sua prima moglie, Anna Xylaloe, una nobildonna trapezuntina. Il suo regno è ricordato per la perdita per mano dei mongoli della città di Sinope che era stata riconquistata dal padre.

L'Impero di Trebisonda nel 1265

Giorgio di Trebisonda (1266-1280), figlio di Manuele I di Trebisonda e della sua terza moglie, Irene Syrikaina. Perseguì una politica antiaristocratica e appoggiò la fazione antiunionista contro l'imperatore di Bisanzio Michele VIII. Accusato dal khan mongolo Abaqua, di cui era vassallo, di non aver fornito il dovuto supporto nella campagna contro i mamelucchi d'Egitto, fu da questi convocato a Tabriz. Mentre vi si recava fu spodestato dai suoi cortigiani e sostituito dal fratello minore Giovanni.

Giovanni II Comneno (1280-1297), Il suo regno fu caratterizzato dai rapporti con l'Impero di Bisanzio. Nel 1282 sposò a Costantinopoli la terza figlia di Michele VIII, Eudocia Paleologina, ed appoggiò la politica unionista del suocero. Nel 1284, mentre si trovava a Costantinopoli, una rivolta appoggiata dai Georgiani portò per un breve periodo la sorellastra Teodora sul trono prima di essere sconfitta da Giovanni. Venne sepolto nella chiesa della Panaghia Chrysokephalos. Durante il suo regno, i regnanti di Trebisonda cominciarono ad usare il titolo di Grandi Comneni. Dal suo matrimonio nacquero due figli Alessio e Michele che, in periodi diversi, regnarono entrambi su Trebisonda.

Alessio II Comneno (1297-1330): figlio di Giovanni II Comneno ed Eudocia Paleologina, sorella dell'imperatore di Bisanzio Andronico II Paleologo. Salì al trono all'età di 14 anni sotto la tutela dello zio materno Andronico II. Sposò contro il volere di suo zio una principessa iberica (1), Djiadjak Jaqeli, figlia di Bekha II Jaqeli, atabeg di Samtskhe, nel 1300, affrancandosi con questo gesto dalla sua ingombrante tutela.
Nel 1306 entrò in conflitto con la colonia genovese stanziata a Daphnous, un suburbio di Trebisonda, così nel 1316 firmò un trattato con i veneziani in cui riconosceva ad essi gli stessi privilegi garantiti ai genovesi.
A lui si devono le mura marittime (1324) costruite per difendere il porto dalle incursioni dei pirati provenienti dall'emirato di Sinope.

(1) L'Iberia (latino: Iberia; greco antico: Ἰβηρία), anche conosciuta come Iveria, era il nome dato dagli antichi Greci e Romani all'antico regno georgiano di Kartli (IV secolo a.C.-V secolo) corrispondente all'incirca alle parti orientali e meridionali dell'odierna Georgia.

Andronico III Comneno (1330-1332): figlio di Alessio II e Djiadjak, una delle prime cose che fece, quando divenne imperatore, fu quella di fare uccidere i suoi due fratelli più giovani, Giorgio Azachoutlou Comneno e Michele Achpougas Comneno. Suo fratello Basilio Comneno e altri riuscirono a fuggire nell'impero bizantino, a Costantinopoli, dove probabilmente suo zio Michele Comneno, era già residente.
Andronico III morì nel 1332, dopo 20 mesi di regno, e riuscì a passare il trono al figlio illegittimo, Manuele II Comneno, avuto da una nobildonna di nome Syrikaina.

Manuele II Comneno (1332): fu incoronato imperatore all'età di otto anni, dopo la morte del padre Andronico II.
I crimini compiuti dal padre ricaddero sull'incolpevole imperatore-infante, deposto a furor di popolo otto mesi soltanto dopo la sua nomina a favore dello zio Basilio Comneno.
Proprio per la sua età giovane, Manuele venne avviato lo stesso anno della sua deposizione ad una vita monastica, ma l'anno successivo fu assassinato.

Basilio Comneno(1332-1340): figlio di Alessio II e Djiadjak. Richiamato dal suo esilio costantinopolitano dalla fazione filobizantina e incoronato imperatore, dovette subito reprimere la rivolta del partito favorevole al deposto Manuele, capeggiata dal megadux Giovanni.
Nel 1335 sposò Irene Paleologina, figlia illegittima dell'imperatore bizantino Andronico III ma i rapporti tra i due si deteriorano rapidamente. Prese un'amante dallo stesso nome, Irene di Trebisonda, che apparteneva all'aristocrazia locale e da cui ebbe quattro figli illegittimi Alessio, Giovanni, Teodora e Maria.
Morì nel 1340 probabilmente avvelenato dalla moglie legittima.

Irene Paleologina (1340-1341): alla morte del marito s'impadronì del trono (non è chiaro se nel 1339 Basilio, con l'appoggio del clero locale, fosse riuscito o meno a divorziare da lei e a sposare l'amante Irene di Trebisonda) ma la sua posizione rimaneva molto debole. Perchè fossero meglio controllati mandò i figli illegittimi del marito con la madre a Costantinopoli alla corte del padre Andronico III.
Invaghitasi del Gran Domestico diede scandalo e la corte si divise in tre fazioni:
a. la famiglia degli Amytzantarants che, con i mercenari bizantini forniti da Andronico, parteggiava per l'imperatrice.
b. una fazione fedele alla dinastia Comnena, che comprendeva la guardia palatina ed era capeggiata dal Signore di Tzanich che ne era il comandante.
c. la fazione del mega dux Giovanni l'eunuco di Limnea
Nel luglio del 1340 gli oppositori si asserragliarono nel monastero di Sant'Eugenio nella capitale ma il mega dux decise di intervenire a sostegno dell'imperatrice e li fece bombardare e massacrare dalle sue truppe.
Nel frattempo i turchi attaccarono e riuscirono a dare fuoco a gran parte dei suburbi della città pur senza riuscire a prenderla, la situazione fu ancora più esacerbata dal dilagare di un'epidemia di peste scatenata dai cadaveri di uomini e animali lasciati insepolti.
I nobili scampati al massacro di Sant'Eugenio trovarono in Anna Anachoutlou, figlia di Alessio II, una legittima pretendente. La convinsero a deporre il velo monastico e la incoronarono a Lazica e quindi marciarono sulla capitale praticamente senza incontrare resistenza. Irene fu deposta nel luglio del 1341.

Anna Anachoutlou Comnena (1341-1342): dopo solo tre settimane di regno giunse a Trebisonda, scortato da tre galee e da un corpo scelto di soldati bizantini, Michele Comneno, il secondo figlio di Giovanni II Comneno, che era stato indicato dalla Reggenza di Costantinopoli come marito per la deposta Irene.
Il patriarca Akakios, il comandante della guardia palatina (scholarii) Niceta Scholares e parte della nobiltà lo accolsero apparentemente come legittimo regnante con una cerimonia ufficiale. Questi si ritirò a palazzo in attesa di essere incoronato il giorno successivo. Nella notte i nobili incitarono il popolo alla rivolta paventando l'invasione di nuovi avventurieri bizantini giunti con Michele. All'alba Michele fu catturato e mandato in esilio a Oinaion (Unye), Irene fu caricata a bordo di una nave franca e rispedita a Costantinopoli con i superstiti del seguito di Michele. I nobili di Lazica presero così l'effettivo controllo dello stato.

I capi della fazione filobizantina degli Scholarii, tra cui Niceta Scholares, Gregorio Meitzomates e Costantino Doranites, giunti a Costantinopoli persuasero Giovanni, figlio di Michele, a mettersi alla testa di una rivolta. Furono ingaggiate tre galee genovesi e un corpo di mercenari bizantini. Gli insorti sbarcarono a Trebisonda il 4 settembre del 1342 e dopo aspri combattimenti ebbero ragione delle truppe di Lazica. L'imperatrice fu strangolata e molti suoi sostenitori uccisi e Giovanni III proclamato imperatore e incoronato nella Crysokephalos.

Giovanni III Comneno (1342-1344): si distinse per l'assoluta inettitudine ed il suo indulgere ai vizi. Nel 1344 Niceta e le truppe a lui fedeli marciarono su Limnia e liberarono Michele, in maggio entrarono in Trebisonda e lo proclamarono imperatore. L'imperatore deposto fu mandato dal padre nel monastero di S.Saba e, successivamente, ad Adrianopoli.

Michele I Comneno (1344-1349): appena insediato nominò Niceta Scholares mega dux ma fu costretto a firmare un atto in cui prometteva di rimettere il potere legislativo e l'amministrazione della cosa pubblica nelle mani degli alti gradi della pubblica amministrazione e del Senato (costituzione oligarchica) che erano per lo più occupati dagli Scholarii. Questo suscitò l'indignazione del popolo e della fazione lazica. Nel novembre del 1345 Niceta, lo lo stratopedarca Gregorio Meitzomates ed altri leader della fazione degli Scholarii furono arrestati e Michele restaurò il potere assoluto. Durante il suo regno i Genovesi presero il completo controllo del porto. Michele fu infatti costretto a cedere loro la fortezza di Leontocastro. Fu deposto il 13 dicembre del 1349 dagli Scholarii, nuovamente guidati da Niceta che pochi giorni prima Michele era stato costretto a liberare e reintegrare nella carica di mega dux. Fu rinchiuso nel monastero di S.Saba dove rimase fino al 1351 quando fu mandato a Costantinopoli.

Alessio III Comneno (1349-1390): figlio di Basilio e della sua amante o seconda moglie Irene. Portato a Trebisonda da Costantinopoli dagli Scholarii col beneplacito di Giovanni VI Cantacuzeno, fu incoronato nella chiesa di S.Eugenio all'età di undici anni. Si chiamava in realtà Giovanni ma prese il nome di Alessio in onore sia del fratello maggiore scomparso prematuramente sia di suo nonno Alessio II. Nel 1351 sposò Teodora Cantacuzena, una parente dell'imperatore. Rafforzata la sua posizione con questo matrimonio e con quello della sorella Maria con Fahreddin, Kutlubeg di Ak Koyunlu , si sbarazzò del mega dux Niceta Scholares. Costretto a lasciare Trebisonda nel 1354, il mega dux fu abbandonato dai suoi sostenitori l'anno successivo mentre tentava di marciare sulla città. Alessio prese Kerasous in sua assenza e assediò Kenchrina, l'ultima roccaforte. Niceta ed i nobili della sua fazione furono catturati e portati a Trebisonda, dove questi morì nel 1360. Così terminò la guerra civile iniziata con la morte di Basilio.

Alessio III Comneno e la moglie Teodora Cantacuzeno
raffigurati nel typikon del monastero di Dyonisiou, 1374
Monastero di Dyonisiou, Monthe Athos
 
Durante il suo lungo regno restaurò la capitale e fece molte donazioni ai monasteri, in particolare a quello di Sumela, e fondò quello di Dionysiou sul Monte Athos.
Sua figlia Eudocia sposò in seconde nozze il serbo Costantino Dragas, Signore di Vardar e Serres. Dalla loro unione nacque Elena Dragas, la madre di Costantino XI, ultimo imperatore di Bisanzio.

 
Manuele III Comneno (1390-1416): Figlio di Alessio III e Teodora Cantacuzena. Sposa in prime nozze la vedova del fratellastro Andronico, Gulkhan (ribattezzata Eudocia), figlia di David IX di Georgia da cui avrà Alessio. Nel 1395, alla morte di Eudocia, sposerà in seconde nozze Anna Filantropina della famiglia dei Dukas.
Dal 1402 al 1405 fu di fatto vassallo di Tamerlano al cui sforzo bellico contro i Turchi contribuì con venti galee. Gli ultimi anni furono caratterizzati da dissapori con il figlio a cui pure aveva dato il titolo di despota. Il favorito di Manuele era divenuto inviso ai nobili e questi spinsero Alessio a ribellarsi e a chiedere il bando del favorito. Manuele fu assediato nella cittadella e alla fine consentì a rimuovere il favorito.

Alessio IV Comneno (1417-1429). Figlio di Manuele III e di Gulkan (Eudocia). Come suo nonno sposò una Teodora Cantecuzena. Sua figlia Maria divenne la terza moglie di Giovanni VIII Paleologo. Salito al trono alla morte del padre conferì al suo primogenito Giovanni il titolo di despota.
Nel 1426 Giovanni, detto “il bello”, assassinò il protovestiario accusandolo di essere l'amante della madre e rinchiuse i genitori nei loro appartamenti nella cittadella di cui si era impossessato. La nobiltà fedele ad Alessio li liberò e Giovanni fu costretto a riparare in Georgia.
Alessio nominò allora despota il secondogenito Alessandro (*) che sposò Maria Gattilusio, figlia di Dorino, signore di Lesbo.
Nel 1429 Giovanni, che nel frattempo si era spostato a Caffa, armò una galea ed assoldò dei mercenari assieme ai quali sbarcò nei pressi della fortezza di Kordyle (l'attuale Akçakale) dove si asseragliò nel monastero di S.Foca attendendo le mosse dei suoi partigiani nella capitale (la potente famiglia dei Kabasitas).
Alessio, sentendosi sicurò della lealtà della popolazione, lasciò la città alla testa delle truppe e pose il campo ad Archontes. Fu assassinato nella notte nella sua tenda da due emissari di Giovanni.
Giovanni entrò in città senza incontrare resistenza e fece celebrare delle esequie pompose per il padre, il cui corpo fu trasportato al monastero della Theoskepastos e successivamente inumato nella Chrysokephalos.
(*) di lui si perdono praticamente le tracce.


Giovanni IV Comneno (1429-1459): subito dopo la caduta di Costantinopoli (1453), Maometto II intimò a Giovanni IV di pagare un tributo ed impose pesanti pedaggi alle navi trapezuntine e veneziane che attraversavano gli stretti sotto il suo controllo.Giovanni non aderì in pieno alle richieste del sultano e nel 1456 il governatore ottomano di Amasya ricevette l'ordine di attaccarlo. Quando la capitale era sul punto di cadere, Giovanni accettò di pagare un tributo annuale di 2.000 pezzi d'oro. Cercò quindi di rafforzare la sua posizione per mezzo di alleanze matrimoniali dando in sposa una delle sue figlie (Teodora) a Uzun Hasan di Ak Koyunlu ed un'altra (Valenza) a Niccolò Crespo, signore di Syros.

Davide II Comneno (1459-1461). Terzogenito di Alessio IV e Teodora Cantacuzena. Aveva ricevuto in vita dal fratello Giovanni IV il titolo di despota che a Trebisonda indicava l'erede al trono, quindi vi ascese automaticamente (il 22 aprile 1459) alla morte di questi. Sposò in seconde nozze (1) Elena Cantacuzena – una nipote dell'imperatore di Bisanzio Giovanni VI - da cui ebbe diversi figli.
Ai primi di luglio la flotta turca raggiunse Trebisonda e saccheggiò i suoi sobborghi.
Davide, su pressione del suo Tesoriere Giorgio Amiroutzes, si arrese alle truppe di Maometto II il 15 agosto 1461 dopo circa un mese di assedio.
L'imperatore deposto fu portato ad Adrianopoli insieme alla sua famiglia e ricevette i profitti delle proprietà nella valle dello Strimone, pari ad un reddito annuale di circa 300.000 pezzi d'argento. Gli stretti legami familiari e lo scambio continuo di corrispondenza fra Davide e Uzun Hasan, khan cristiano dei turcomanni di Ak Koyunlu (Montone bianco), vennero denunciati al sultano da Giorgio Amiroutzes, e questa accusa fornì una giustificazione sufficiente per fare imprigionare Davide insieme ai suoi figli nel marzo 1463.
Il 1º novembre, del 1463 a Costantinopoli fu decapitato insieme a suo nipote Alessio (il figlio di Giovanni IV) ed a tre dei suoi figli. Soltanto un figlio, Giorgio, fu risparmiato per la sua giovane età e si convertì all'Islam.
La cognata Maria Gattilusio entrò nell'harem del sultano e suo figlio ne divenne uno dei paggi favoriti.

Note

(1) In prime nozze (1429) aveva sposato Maria di Gotia, la figlia di Alessio I Gabras, il Signore del Principato di Teodoro, un'enclave bizantina in Crimea conosciuta anche con il nome di Gotia. Non è chiaro se alcuni e quali dei numerosi figli di Davide II ebbero lei come madre.





domenica 22 luglio 2012

Palazzo Bucoleone

Palazzo Bucoleone


Sorgeva tra il Gran Palazzo e il Mar di Marmara e doveva questo nome alla presenza di un gruppo marmoreo raffigurante un leone che azzanna un toro (bous kai leon, storpiato dai franchi in bouche de lion) (1).
Il nome originale, Palazzo d'Ormisda, derivava da quello del cognato del re sasanide Sapore II, il principe Ormisda, che durante il regno di Costantino I si era rifugiato a Costantinopoli, e dal quale aveva preso nome l'intera regione della città in cui aveva posto la sua residenza.
Eretto probabilmente da Teodosio II, nel V secolo, il palazzo venne via via allargato, raggiungendo l'apice della sontuosità nel VI secolo, con Giustiniano, quando prese il nome di Palazzo di Giustiniano o Bucoleone.
Ampi restauri vennero fatti eseguire dall'imperatore Teofilo (829-842) nel IX secolo, quando venne realizzata la grande facciata sovrastante le Mura Marittime, ancor oggi visibile.
All'interno del Bucoleone si trovava la stanza detta porphyra (rivestita di porfido), destinata al parto delle imperatrici.


Parte del palazzo è costruita direttamente sulle mura, la torre d'angolo (Torre di Belisario?) è formata alla base da colonne poste orizzontalmente e da grandi blocchi di marmo bianco che continuano sulla facciata del palazzo, sono capitelli dorici provenienti da un tempio che sorgeva nelle vicinanze ed incassati alla base delle mura. Le mensole aggettanti davanti alle finestre lasciano supporre che una balconata corresse lungo tutta la facciata del palazzo.

Ricostruzione virtuale della loggia

La parte centrale della loggia in una fotografia scattata dall'architetto e fotografo francese Pierre Tremaux tra il 1862 e il 1868, collezione privata


Il leone di marmo che figura nella ricostruzione si trova oggi nel Museo archeologico di Istanbul.


Al palazzo si accedeva, tramite una scalinata di marmo, direttamente dal porticciolo imperiale.


La porta Marina del Palazzo (Porta dei Leoni), chiamata dai turchi Catladi kapi (porta spaccata). Gli elementi marmorei decorati da girali d'acanto che si vedono accanto alla porta provengono probabilmente dal crollo della balconata sovrastante

ricostruzione virtuale della Porta dei leoni

Il palazzo smise di essere residenza imperiale nel XII secolo in epoca comnena, quando gli fu preferito il Palazzo delle Blacherne, considerato più sicuro ed eretto in un luogo più salubre, affacciandosi al contempo sulla campagna e sul Corno d'Oro. Il Bucoleone rimase assieme al Gran Palazzo una residenza di rappresentanza per le grandi cerimonie. In questo periodo l'accesso marittimo del Palazzo, il porto di Bucoleon, divenne l'accesso di rappresentanza della città, destinato ad accogliere le visite dei sovrani stranieri.


Dopo la conquista crociata di Costantinopoli (1204) ne prese possesso Bonifacio di Monferrato che vi insediò la sua seconda moglie, Margherita d'Ungheria, vedova di Isacco II Angelo.
Dopo la riconquista della città da parte dei bizantini (1261), le cattive condizioni seguite al saccheggio da parte dei crociati e la penuria di fondi pubblici portarono ad un progressivo abbandono del complesso del Gran Palazzo e del Palazzo del Bucoleone, con il definitivo spostamento della corte imperiale alle Blacherne.

Torre di Belisario (?)

Nel dettaglio della carta di Costantinopoli pubblicata in apertura, questa torre è indicata dalla didascalia come Torre di Belisario. In epoca medioevale sorse la dubbia leggenda che Giustiniano, a seguito del coinvolgimento di Belisario in una congiura volta a rovesciarlo, lo avesse spogliato di tutti i suoi beni e fatto accecare (564), costringendolo a mendicare nei pressi dell'Ippodromo di Costantinopoli. Il primo a riferire questa circostanza nelle sue Chiliades è Giovanni Tzetzes, un monaco bizantino vissuto nel XII secolo. Secondo altra versione della leggenda (2), Giustiniano avrebbe anche fatto rinchiudere Belisario in una torre dalla cui grata l'ex generalissimo per poter sopravvivere era costretto a calare un paniere ed implorare i passanti a dare un obolo al comandante Belisario, che la sorte rese famoso ma ora è stato accecato dall'invidia. Il disegnatore francese Guillaume-Joseph Grelot, nella sua Relation nouvelle d'un voyage de Constantinople (1680), riferisce però che la tradizione locale identificava all'epoca la torre di Belisario con una torre circondata dalle acque, eretta a circa 20 passi dalle mura marittime in prossimità del porto dove Teodosio, Arcadio ed i loro successori tenevano le loro galee (presumibilmente il cosiddetto Porto di Eleuterio che si trova ad ovest del Palazzo Bucoleone). Descrizione che non sembra corrispondere affatto a questa torre.

Mattia Preti, Belisario cieco e vestito da mendicante riconosciuto da uno dei suoi soldati, XVII sec.
Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam, Olanda.

Nel 1873 infine, una parte delle rovine del palazzo - tra cui la porzione centrale della loggia che ancora appare integra nella fotografia di Pierre Tremaux (1862-1868 c.ca) - furono demolite per fare posto alla linea ferroviaria.

Note:

(1) L'ambasciatore veneziano Pietro Zeno, che vide il gruppo marmoreo nel 1532 dopo che era stato abbattuto da un violento terremoto, così lo descrive nel rapporto inviato al Senato veneziano: ...fuori dila dita porta marina, sotto quelle tre fenestre antiquissime che hanno un lione per banda, lì abbasso alla marina, sopra due colone, è una lastra di marmoro sopra la quale è un granmo tauro, maior bonamente che il vivo, acanatto de uno lione, el qual li è montato sopra la schena, et lo ha atterato, et da una brancha ad un corno dil tauro in un grandissimo atto; è questo lione assai maior del vivo e tutto di una piera de una bona vena.

(2) Esiste anche una versione "romana" della leggenda che è descritta qui.










sabato 21 luglio 2012

Martyrion dei SS. Carpo e Papilo

Martyrion dei SS. Carpo e Papilo


Individuato in una bottega situata al di sotto della chiesa di S.Menas (precedentemente dedicata a S.Policarpo), nella parte bassa di Samatya sokak, in Ilyas bey caddesi, vicino alla chiesa della Teotokos Peribleptos.
E' l'unico martyrion sopravvissuto, dedicato ai santi Carpo e Papilo, martirizzati sotto l'imperatore Decio (249-251).
Carpo era vescovo di Gurdos in Lidia, mentre Papilo era diacono di Tiatira, nella medesima provincia: furono portati davanti al governatore romano di Pergamo ed invitati a mangiare la carne che era stata offerta agli idoli.
Carpo però replicò: "Io sono un cristiano, venero Cristo, Figlio di Dio, che è venuto nel mondo negli ultimi tempi per la nostra salvezza […] ma a questi idoli non offro sacrificio". Subiti ulteriori interrogatori fu infine condannato alla flagellazione.
Anche Papilo rispose in modo simile al governatore: "Fin dalla giovinezza servo il Signore e non ho mai offerto sacrifici agli idoli: sono cristiano e nient’altro puoi sentire da me all’infuori di questo, poiché non c’è parola più grande e più bella di questa che io possa dire".
Dopo che anche Papilo fu torturato, venne nuovamente chiesto loro di consumare la carne utilizzata per i sacrifici pagani ed al loro rifiuto furono condannati a morire bruciati sul rogo.



Presenta un ambiente rotondo con una cupola in mattoni ribassata di 12 m. di diam. e circa 6 di altezza, circondato quasi completamente da un deambulatorio e provvisto di abside e di una sola absidiola laterale sulla sinistra.

fotografia degli anni trenta

Al centro della cupola c'era un affresco raffigurante Cristo Pantokrator circondato da un'iscrizione in parte ancora leggibile e attorniato da quattro figure.


I patriografi ne attribuiscono la fondazione a Sant'Elena (250-330), madre di Costantino I, che volle dotarla di una cupola a imitazione del sepolcro di Cristo; anche se questa attribuzione è da respingere, la tipologia della costruzione e le tecniche edilizie con cui è realizzata la rendono comunque databile al IV-V sec.

ricostruzione virtuale

mercoledì 18 luglio 2012

L'Impero latino di Costantinopoli

La Quarta Crociata: l'Impero latino di Costantinopoli

A capo della crociata viene inizialmente posto il conte Tebaldo di Champagne e la meta doveva essere l’Egitto da cui poi procedere verso la Terrasanta.

Nel 1201 viene siglato un accordo con i veneziani che avrebbero fornito le navi per trasportare l’esercito in cambio di 87.000 marchi.
Alla morte di Tebaldo di Champagne a seguito di malattia, il comando fu affidato al marchese Bonifacio di Monferrato.
Nel Natale del 1201 si reca alla corte di Filippo di Svevia dove sopraggiunge anche Alessio Angelo, figlio dello spodestato Isacco II, e pretendente al trono imperiale di Bisanzio. (cfr. l'albero genealogico degli Angeli).

Nella Pasqua del 1202 i crociati cominciano ad affluire a Venezia.
Nell’estate tuttavia si erano raccolti solo 11.000 uomini anziché i 33.000 previsti quando era stato stipulato il contratto con i veneziani. La raccolta di denaro inoltre non superò i 50.000 marchi.
Il doge Enrico Dandolo propose allora di dilazionare il pagamento della somma restante se i crociati avessero aiutato i veneziani a riprendere Zara che era passata al regno d’Ungheria. Nonostante l’opposizione del papa Innocenzo III, i crociati accettarono.
Il 10 ottobre la flotta salpa.
Zara è raggiunta tra il 10 e l’11 novembre e subito viene posto l’assedio.
Il 24 novembre la città cade e viene spartita tra crociati e veneziani. Il papa reagisce scomunicando i responsabili anche perché avevano attaccato il re d’Ungheria, unico monarca ad aver aderito alla crociata. Successivamente ritira la scomunica ai crociati lasciandola solo ai veneziani ritenuti i maggiori responsabili.
A questo punto Alessio Angelo avanza la sua offerta: se i crociati avessero deviato su Costantinopoli e avessero reinsediato suo padre Isacco, si sarebbe impegnato a pagare i debiti con i veneziani, a finanziare la spedizione in Egitto, ad armare 10.000 uomini e a riconoscere il primato della chiesa di Roma.

Domenico Tintoretto, il doge Enrico Dandolo, Sala del Maggior Consiglio, Palazzo ducale, Venezia, seconda metà del XVI sec.

La proposta viene accolta e il 23 giugno 1203 la flotta crociata è in vista di Costantinopoli.
Il 24 l’esercito crociato sbarca a Calcedonia.
Il 26 occupa Crisopoli (Scutari) praticamente senza incontrare resistenza.
Il 6 luglio viene spezzata la catena che chiude il porto e la flotta entra nel Corno d’oro mentre l’esercito si accampa sulla sponda settentrionale, di fronte al palazzo imperiale delle Blacherne.
Il 17 luglio viene lanciato l'attacco e i veneziani, spronati dall'ottuagenario doge Enrico Dandolo, conquistano d'impeto un tratto delle mura marittime lungo il Corno d'oro mentre Teodoro Lascaris riesce a contenere l'assalto crociato guidato da Baldovino di Fiandre alla Porta delle Blacherne, Alessio III, nonostante la città potesse ancora essere difesa, fugge via mare in compagnia della figlia Irene e ripara in Tracia, prima a Zagora e poi a Mosynopolis.
Rimasti senza imperatore i notabili bizantini reinsediano il cieco Isacco II comunicando ai crociati che non c’è più ragione di continuare la lotta. I crociati replicano che gli attacchi sarebbero cessati solo se Alessio Angelo fosse stato nominato coimperatore.
Il 1 agosto in S.Sofia alla presenza dei baroni crociati Alessio viene proclamato coimperatore con il nome di Alessio IV.
Nonostante l'imposizione di nuove tasse e le confische Alessio IV non fu in grado di onorare gli impegni presi nei confronti dei crociati e finì per inimicarsi sia il popolo che i suoi alleati latini.

Alessio IV Angelo
miniatura tratta dal codice gr.122, XV sec.
Biblioteca Estense di Modena (1)

Il 25 gennaio del 1204 scoppiò una rivolta che dichiarò deposti Isacco e Alessio. Tre giorni dopo un'assemblea di senatori, ecclesiastici e popolo offrì la corona ad un giovane nobile, Nicola Kanabus. Nella notte tra il 7 e l'8 febbraio, assicuratosi l'appoggio della guardia variaga per mezzo dei denari dispensati dal responsabile del Tesoro imperiale, l'eunuco Costantino Philopatès, il protovestiario Alessio Dukas detto Murzuflo ("dalle folte sopracciglia") penetra nel palazzo delle Blacherne e fa arrestare Alessio IV mentre il padre Isacco II, già infermo, muore la stessa notte di morte naturale. Il giorno successivo, nonostante la resistenza del partito che ancora appoggiava Nicola Kanabus, Murzuflo fu proclamato imperatore con il nome di Alessio V. Lo stesso giorno fece strangolare in carcere Alessio IV.

Il 1 di aprile, per rafforzare la sua posizione, Murzuflo sposò Eudocia Angelina, una delle tre figlie di Alessio III.
Ormai liberi da vincoli il 6 aprile 1204 i crociati attaccano nuovamente la città ma vengono respinti. Il 12 aprile viene lanciato un'altro attacco. 
Sia il 17 luglio che il 6 ed il12 aprile, l'attacco crociato alle mura marittime si concentrò nel tratto compreso tra la Porta Phanar e la Porta di Petrion. Qui la linea difensiva era formata da un doppio muro che racchiudeva uno spazio detto Castrum Petri dal nome di un alto dignitario di epoca giustinianea.


Dopo il fallimento dell'attacco del 6 aprile, i crociati si resero conto che una nave sola era insufficiente per attaccare una torre e disposero di lanciare contro ogni torre una coppia di navi.
Le truppe imbarcate sulla Pellegrina e la Paradiso, che inalberavano i vessilli dei vescovi di Soissons e Troyes - rispettivamente Nivelone, che era anche l'ecclesiastico decano dell'armata crociata, e Garniero - riuscirono a prendere una torre dove si costituì la testa di ponte. Furono quindi forzate tre porte a colpi d'ariete e l'esercito crociato penetrò in città.
La presa di Costantinopoli
miniatura tratta da David Aubert, Chronique abregee, 1461-1462
Bibliothèque nationale de France, Arsenal, Parigi.
 
Nella miniatura si notano le due direttrici principali dell'attacco crociato, l'una diretta contro le mura marittime e l'altra contro la Porta delle Blacherne. Sulla sinistra Alessio V Murzuflo osserva l'andamento della  battaglia dalla tenda scarlatta che aveva fatto erigere su uno dei colli della città (2).

 Alessio V insieme alla moglie e alla suocera Eufrosine riesce a fuggire e a riparare a Mosynopolis presso il suocero. Successivamente catturato dai crociati viene fatto giustiziare da Enrico Dandolo, che lo fa precipitare dalla colonna di Teodosio.
Bonifacio di Monferrato s’installa nel Palazzo di Bucoleone, Baldovino di Fiandre in quello delle Blachernae.
Il 9 maggio 1204 Baldovino di Fiandre viene eletto imperatore latino di Costantinopoli da una commissione formata da sei principi crociati e sei veneziani.


Antonio Vassilacchi, Il doge Enrico Dandolo incorona Baldovino I di Fiandre imperatore di Costantinopoli, Sala del Maggior Consiglio, Palazzo Ducale, Venezia, 1587 c.ca.

Il 12 maggio viene incoronato in Santa Sofia. Il veneziano Tommaso Morosini viene invece eletto al seggio patriarcale. La Serenissima ottenne il dominio sulla quarta parte e mezza dei possedimenti bizantini e si assicurò il possesso nel Mediterraneo orientale di scali commerciali e vere e properie colonie.

Armi dell'Impero latino di Costantinopoli

1204-1205 Baldovino I di Fiandre. Nel febbraio del 1205 i feudatari greci di Tracia si ribellarono ed offrirono allo zar bulgaro Kalojan la corona imperiale in cambio dell'aiuto per la riconquista di Costantinopoli e la cacciata dei latini. La guarnigione latina fu espulsa da Adrianopoli. Baldovino allora marciò sulla città e si accinse ad assediarla.

Battaglia di Adrianopoli (13-14 aprile 1205)
Lo zar diede ordine alla cavalleria cumana di provocare il nemico fin nei suoi accampamenti e di portare allo scoperto la cavalleria pesante latina. I comandanti crociati, prevedendo tale pericolo, diedero l'ordine di non uscire uscire dal campo fortificato.
Ma quando i Cumani apparvero alle porte del campo gli stessi comandanti crociati, dimentichi dei loro stessi ordini, si mossero per attaccarli. I primi ad uscire dal campo furono l’Imperatore Baldovino ed il conte Luigi di Blois i quali, avventatisi sui barbari, li misero in fuga e li inseguirono per due leghe; ma improvvisamente piombarono su di loro altri Cumani e quelli che fuggivano tornarono al contrattacco.


I crociati dovettero ripiegare e disporsi a difesa del campo mentre la fanteria bulgara li circondava. Il conte di Blois e molti altri cavalieri persero la vita nel tentativo di difendere il loro imperatore che alla fine cadde prigioniero dei bulgari e fu successivamente giustiziato.
Il doge Enrico Dandolo, che era rimasto a guardia del campo crociato, riportò le truppe rimaste a Costantinopoli e si preparò ad un eventuale assedio, in attesa del ritorno di Enrico di Fiandra, impegnato in Asia contro l'impero di Nicea. La notizia della morte di Baldovino raggiunse Costantinopoli verso la metà di luglio ed il 20 di agosto venne incoronato imperatore suo fratello Enrico.
Jean Joseph Jaquet, Baldovino I di Fiandre, 1864
Mons, Belgio
 
1205-1216 Enrico di Fiandra, fratello di Baldovino, fronteggiò efficacemente gli attacchi congiunti dei bulgari di Kalojan e dell'impero niceno di Teodoro Lascaris.

Armi di Enrico di Fiandra

Nel 1207 sposò Agnese di Monferrato, figlia di Bonifacio, confermando al suocero i suoi diritti sul regno di Tessalonica come vassallo. Nello stesso anno la morte dello zar Kalojan pose fine alle incursioni bulgare.
Nel 1214 firmò a Ninfeo, un trattato di pace con Teodoro Lascaris che marcava i confini dei due imperi. Il trattato dava ai latini la parte nord-occidentale dell'Asia Minore fino a Adriamittio e ai bizantini le terre che si estendevano al di là di questo confine fino alla frontiera del sultanato di Iconio.
Alle sue innegabili capacità militari Enrico univa grandi doti politico-diplomatiche e un innato senso di giustizia che gli valse l'appoggio dell'aristocrazia bizantina e la fiducia dei ceti più bassi.
Rimasto vedovo della prima moglie, si risposò nel 1213 con Maria di Bulgaria, la figlia di Kalojan, da cui fu probabilmente avvelenato.
 
1217 Pietro di Courteney, marito di Jolanda di Fiandra, sorella dei due precedenti imperatori. Fu catturato da Teodoro I Ducas Comeno, Despota d'Epiro, mentre cercava di raggiungere Costantinopoli e molto probabilmente fatto uccidere. La moglie Jolanda assunse la reggenza.
 
1217-1219 Jolanda di Fiandra. Siglò la pace con Teodoro Lascaris a cui diede in sposa la figlia Maria.

1219-1221 sede vacante. Jolanda muore ne 1219 e Roberto de Courteney rimane in Francia fino al 1221. Viene nominato reggente Conone di Béthune che muore poco dopo la nomina.
 
1221-1228 Roberto di Courteney, secondogenito di Jolanda (il primogenito Filippo rifiutò il trono). Fu incoronato in Santa Sofia il 25 marzo 1221.
battaglia di Poimanenon: alla morte di Teodoro I Laskaris, salì al trono di Nicea il genero Giovanni III Ducas Vatatzes ma i fratelli di Teodoro – i sebastokrator Alessio e Isacco – insorsero contro di lui e chiesero il sostegno dell'Impero latino. Agli inizi del 1224, i due fratelli affiancati da truppe dell'impero latino si scontrarono con l'esercito niceno guidato dal suo imperatore nei pressi di Poimanenon (l'attuale Esky Manyas), a sud del Mar di Marmara. La vittoria nicena fu netta, i due fratelli furono catturati e accecati, e causò all'impero latino la perdita di tutti i territori dell'Asia minore ad eccezione della città di Nikomedia e del suo circondario.
Nello stesso anno Tessalonica veniva occupata dalle forze di Teodoro I Dukas Comneno, despota d'Epiro, che poneva fine al regno latino dei Monferrato.

L'Impero latino dopo la battaglia di Poimanenon e la caduta di Tessalonica

Nel 1227 sposò la signora de Neuville, già promessa ad un nobiluomo burgundo di cui non si conosce il nome. Questi sollevò i cavalieri franchi contro l'imperatore. L'imperatrice e la madre furono catturate e vennero tagliate loro le labbra ed il naso, mentre Roberto fuggiva a Roma per chiedere il sostegno di papa Gregorio IX.
Nel 1228, durante il viaggio di ritorno, mentre si trovava presso la corte del principe d'Acaia Goffredo II di Villerdhouin, cadde ammalato e morì.

1228-1261 Baldovino II, fratello minore di Roberto, aveva solo 11 anni quando ereditò il trono. I baroni scelsero come reggente Giovanni di Brienne (+ 1237) di cui Baldovino sposerà la figlia Maria.
Al momento della sua ascesa al trono, i latini controllavano praticamente la sola Costantinopoli ed il territorio immediatamente limitrofo. Baldovino intraprese numerosi viaggi presso le corti europee per procacciarsi denari - che a volte otteneva in cambio di reliquie - e sostegni.

 
Sigillo di Baldovino II, 1240-1261
L'imperatore latino è raffigurato su entrambe le facce, in trono e a cavallo
 
Nel gennaio del 1260, l'imperatore niceno Michele VIII Paleologo conquistò alcune città latine nelle vicinanze di Costantinopoli, tra cui Selimbria, e pose l'assedio a Costantinopoli e Galata. L'imperatore contava di prendere Galata per poter tagliare la catena che sbarrava l'accesso al Corno d'oro e sulla complicità di un traditore latino – Asel – che gli avrebbe aperto le porte della città. Tuttavia gli abitanti del Galata resistettero più del previsto e Asel non aprì le porte. Incapace di fare qualche progresso, Michele in aprile levò l'assedio.
Nell'agosto del 1260 fu firmato un armistizio tra Michele VIII e Baldovino II, che prevedeva un anno di pace; Michele comunque continuò a fare piani per un nuovo assedio. Nel marzo del 1261 Michele firmò il trattato di Ninfeo con i genovesi, che si impegnarono a fornirgli appoggio navale per riconquistare Costantinopoli, in cambio di diritti commerciali.

La fine dell'Impero latino

Nel luglio del 1261 Michele VIII inviò in Tracia il megas domestikos Alessio Strategopulo con un piccolo esercito di circa 800 uomini, quasi tutti mercenari cumani, con il compito di condurre piccole azioni di disturbo contro i latini e saggiare le difese di Costantinopoli. Alessio doveva anche andare sulla frontiera bulgara per fare una dimostrazione di forza nei confronti dello zar bulgaro Costantino Tich Asen (1257-1277) che era impegnato nel tentativo di impedire ai niceni la riconquista di Costantinopoli. Quando Alessio arrivò a Selimbria, venne a sapere dai contadini del luogo (thelematarioi), che l'intera guarnigione latina insieme alla flotta veneziana era partita per attaccare l'isola di Dafnusio che dominava l'accesso al Bosforo dal Mar Nero, appartenente all'impero di Nicea. I suoi informatori gli indicarono anche una posterla, attraverso la quale un manipolo di soldati poteva entrare facilmente senza essere notato. Inizialmente riluttante – il generale bizantino temeva che un rapido rientro in città della guarnigione avrebbe spazzato via il suo modesto contingente e che in caso d'insuccesso, avendo intrapreso un'azione non autorizzata, ne avrebbe pagato le conseguenze a caro prezzo – Alessio decise alla fine di tentare il colpo che l'avrebbe consegnato alla Storia.
La Porta di Pege

Nella notte del 25 luglio appostò il grosso del suo esercito nei pressi del monastero della Zoodochos di Pege a circa mezzo miglio dalla Porta di Pege (3). Quindi inviò un piccolo distaccamento a cui i thelematarioi di Selimbria mostrarono il passaggio segreto (secondo alcuni autori si trattava di un cunicolo sotterraneo) attraverso il quale oltrepassare le mura senza essere notati. Una volta entrati, i soldati di Alessio ebbero facilmente ragione delle guardie e aprirono la porta di Pege da cui il resto dell'esercito penetrò in città acclamando l'imperatore Michele VIII e travolgendo i pochi soldati latini presenti in città. La popolazione greca si unì alle acclamazioni mentre l'imperatore latino Baldovino II si asserragliò nel palazzo della Blachernae e inviò un messaggero alla guarnigione e alla flotta che stavano assediando Dafnusio ordinandogli di rientrare immediatamente.
Verso la fine della giornata la flotta veneziana apparve all'imboccatura del Bosforo e Alessio Strategopulo diede l'ordine di incendiare il quartiere veneziano affinchè i veneziani più che a combattere si preoccupassero di porre in salvo la propria gente ed i propri beni, cosa che puntualmente avvenne. Lo stesso Baldovino II raggiunse il Gran palazzo e riuscì ad imbarcarsi sulle navi veneziane dirette verso l'isola di Eubea insieme ad altri 3.000 profughi.
Ormai padrone della città, Strategopulo inviò a Michele VIII le insegne abbandonate da Baldovino durante la fuga.
Il 15 agosto Michele VIII Paleologo fece il suo ingresso trionfale in Costantinopoli attraverso la Porta d’Oro e percorse la Città a piedi, preceduto dall’icona della Hodegetria, fermandosi al monastero di Studion, fino alla basilica di Santa Sofia, riconsacrata dal vescovo di Cizico, in assenza del Patriarca Arsenio, il quale in settembre incoronò solennemente nella Grande Chiesa Michele e suo figlio Andronico.
L'Impero latino cessava di esistere.


Note:

(1) Il Codice gr.122 conservato nella Biblioteca Estense di Modena è una copia manoscritta realizzata nel XV sec. della Epitome delle storie di Giovanni Zonara che abbraccia un periodo compreso tra la creazione del mondo e la morte di Alessio I Comneno (1118). In questa redazione del XV secolo è stata aggiunta una lista - accompagnata a margine dai relativi ritratti - degli imperatori e delle loro consorti saliti sul trono dopo Alessio I fino alla caduta dell'Impero.

(2) La tenda fatta erigere da Murzuflo si trovava sul IV colle della città, nei pressi del monastero di Cristo Pantepoptes (l'attuale Eski Imaret Cami).

(3) Il nome di Porta di Pege le derivava dalla vicinanza, circa mezzo miglio ad ovest della cinta muraria, del monastero della Zoodochos pege. Con questo nome è indicata in un'iscrizione murata nella parte posteriore della torre meridionale che ricorda i restauri fatti eseguire a spese di Manuele Briennio Leontari (1433 o 1438). Nel 1376 sempre attraverso questa porta fece il suo ingresso in città, dopo 32 giorni di assedio, Andronico IV che usurpò il trono del padre Giovanni V dal 1376 al 1379.
Dopo la conquista ottomana cominciò ad essere chiamata Porta di Selimbria (Selivri kapi) perchè da qui partiva la strada per questa città.