domenica 17 aprile 2016

Antiochia sull'Oronte

Antiochia sull'Oronte

da G.Uggeri, Antiochia sull'Oronte: profilo storico-urbanistico, 1997

Antiochia di Siria - l'attuale Antakya in Turchia - fu fondata lungo la sponda orientale del fiume Oronte intorno al 300 aC. dal generale di Alessandro Magno, capostipite della dinastia seleucide, Seleuco I, che ne fece la capitale del suo regno.
Nel 69 aC. Pompeo Magno depose l'ultimo sovrano seleucide, Antioco XIII, e nel 64 fece di Antiochia la capitale della nuova provincia romana di Siria.

Testa di Gneo Pompeo Magno
copia del I secolo da un originale del 60-50 a.C
Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen
 
Originariamente la città era formata da quattro nuclei abitativi indipendenti – ragione per la quale era detta anche Tetrapolis – che furono racchiusi all'interno di una stessa cinta muraria soltanto sotto Tiberio (31 c.ca). La città fu spesso utilizzata dai Romani come base di partenza per le campagne contro i Parti sì che molti imperatori vi soggiornarono e vi intrapresero opere edilizie (Traiano, Diocleziano – che ne fece una residenza imperiale - Giuliano, Valente).
Tra il 438 ed il 444, Teodosio II provvede ad un ampliamento della cinta muraria per inglobare il nuovo quartiere sviluppatosi verso sud.
Nel 524 e nel 526 la città è colpita da due forti terremoti che costringono Giustiniano ad intraprendere le opere di ricostruzione. A quest'epoca la propaggine collinare settentrionale del monte Silpius sovrastante la città cominciò ad essere denominata Staurin, perché su questa collina durante il terremoto si sarebbe avuta l'apparizione della Croce.
Nel 637 viene conquistata dai musulmani che la tengono fino al 969 quando viene ripresa dall'imperatore Niceforo II Foca.
Rimase quindi sotto il controllo dell'impero fino al 1078 quando se ne impadronì l'armeno Filarete, un ex generale dell'esercito di Romano IV Diogene che, dopo il disastro di Manzikert (26 agosto 1071), si era rifiutato di riconoscere il nuovo impertore Michele VII e aveva proclamato l'indipendenza delle province orientali. Nel 1085, infine, quasi quattordici anni prima dell'arrivo dei crociati (cfr. scheda Il Principato di Antiochia), la città era stata conquistata dai Selgiuchidi.

La scarsità di resti archeologici oggi visibili relativi al periodo ellenistico, a quello romano e a quello bizantino è dovuta ad una serie impressionante di terremoti e alluvioni che, con il persistere dell'abitato, ne ha determinato nel tempo l'interramento a grande profondità che li rende difficilmente raggiungibili.
Al di sotto della via principale (Hürriyet caddesi), ad esempio, lo strato archeologico di età medio-bizantina (secolo X) si trova oggi a quattro metri di profondità, quello di epoca giustinianea a sette metri, quello romano a più di otto metri e quello ellenistico a undici metri di profondità.

L'isola sull'Oronte
 
Sull'isola fluviale, formata allora da due bracci dell'Oronte, sorse il terzo quartiere della città (Neapolis) fatto edificare da Seleuco II (246-226 aC).
In età tardoimperiale l'isola era quadripartita da due vie principali colonnate, all'incrocio delle quali fu innalzato il cosiddetto Tetrapilo degli Elefanti. L'accesso principale all'isola era dal ponte situato a sud. Nel settore occidentale era stato costruito da Gallieno il palazzo imperiale, poi detto Liciniano; su di esso sorse il palazzo ricostruito da Diocleziano, che occupava un quarto dell'isola e
sul retro prospettava sull'Oronte con un elegante loggiato a colonne, simile al prospetto sul mare del palazzo di Spalato. Sembra che in prossimità Costantino diede inizio (327) alla costruzione della famosa chiesa ottagonale a quadriconco (detta Omonoia e definitivamente distrutta da un terremoto nel 588), sormontata da una cupola dorata, preceduta da un nartece e completata nel 341.
Sul lato orientale del palazzo imperiale si allungava per circa mezzo chilometro il circo o ippodromo, che sarebbe stato ricostruito dal proconsole di Cilicia Quinto Marcio Re nel 56 a.C. e poi restaurato ancora nel II secolo e infine da Diocleziano; il pubblico poteva raggiungerlo attraverso un ponte e una via colonnata dal quartiere nord della città. E' orientato nord-sud con la curva a Nord; è stato scavato solo parzialmente, ma sono stati riportati in luce le metae, la spina e i carceres. La sua capienza è stata stimata in circa 80.000 spettatori.
Circa trecento metri a sud-ovest di questo, venne costruito più tardi il cosiddetto stadio bizantino, che è stato rivelato dagli scavi. Ha un andamento quasi ortogonale al precedente, con la curva a est, è largo m 72 e lungo più dei m 350 che è stato possibile accertare. Il suo uso può attribuirsi al periodo tra il crollo del vecchio ippodromo nel 458 e il terremoto del 526.
L'isola doveva essere servita da diversi ponti, che la collegavano con il quartiere settentrionale della città, in particolare con la Porta del Cane (Bab el-Kelb) mentre a nord un ponte la collegava al campo per le esercitazioni militari.

La via colonnata
L'importante via carovaniera, che aveva motivato la nascita della città e ne aveva poi favorito lo sviluppo, faceva da cerniera tra i due primi nuclei urbani a ovest e l'ultimo – detto Epiphaneia dal nome del suo fondatore, Antioco IV Epifane (175-63 aC), a est.
Tiberio la fece fiancheggiare da portici che ospitavano le botteghe, trasformandone il tratto urbano (circa due miglia) in una maestosa via colonnata. Nella ricostruzione della città dopo i terremoti di età giustinianea furono recuperate le vecchie colonne, mentre sullo strato di circa un metro e mezzo di macerie fu stesa una nuova pavimentazione realizzata con blocchi di pietra lavica. Incrociando la via colonnata le strade ortogonali ad essa formavano delle piazze circolari, come si è potuto constatare accanto alla moschea di Habib el-Nedjar. È probabile che al centro vi sorgesse quella colonna onoraria in granito egiziano, che sosteneva la statua bronzea dell'imperatore Tiberio. Una più ampia piazza circolare doveva dissimulare la curva della via colonnata, secondo un accorgimento peculiare dell'urbanistica romana d'Oriente. Al centro di questa sorgeva forse l'omphalos con la statua di Apollo.
 
Mura e porte d'ingresso
Alle due estremità della via colonnata si aprivano rispettivamente a nord la Porta di Beroea-Aleppo (solo un centinaio di metri a nord della più tarda Porta di San Paolo) e a sud la Porta per Dafne, che sarebbe stata detta dei Cherubini dopo Vespasiano.
Una porta collinare sotto l'acquedotto era forse la Porta Daphnetica (detta poi di San Giorgio), che portava alle ville del sobborgo meridionale, mentre lungo le mura orientali una Porta intermedia (Mese Pyle) si apriva in corrispondenza della via alpestre lungo il torrente Parmenio.
Nella prima metà del V secolo Teodosio II chiuse entro una nuova cinta l'espansione della città verso meridione, attestando le nuove mura lungo il letto del torrente Phyrminus, su cui si aprirono la Porta Philonauta verso l'emporio in basso e più a monte la monumentale Porta Aurea, analoga a quella coeva di Costantinopoli. A Teodosio II si deve forse anche la fortificazione dell'acropoli sul monte Silpius.
La ristrutturazione giustinianea che seguì il terremoto del 536, come in altre città dell'impero, restrinse il perimetro difensivo abbandonando l'isola oltre l'Oronte e dando alla città murata un assetto più compatto. Ad ovest costruì nuove possenti mura, attestate sul ramo sinistro del fiume, che prima separava il quartiere dell'isola e che, ormai in parte ostruito dai crolli e dalle alluvioni, venne utilizzato come fossato delle nuove mura.
Ad est provvide a sistemare la gola tra il Silpio e lo Stauro con la cosiddetta Porta di Ferro.
La Porta di Ferro
 
L'imperatore fece sbarrare la gola con un possente muraglione alto oltre 18 metri, come una diga, lasciandovi solo una piccola apertura, che serviva normalmente da postierla, ma permetteva all'occorrenza di controllare le acque del torrente Parmenio, chiudendola con una saracinesca, che diede alla gola il nome di Porta di Ferro.
Le mura giustinianee avevano uno spessore di oltre due metri; il nucleo era cementizio e i paramenti in conci con intercalate fasce decorative in laterizio. Erano rafforzate da circa quattrocento torri quadrate a due o tre piani, ciascuna contenente al piano inferiore una cisterna per assicurarne l'autonomia e dotata di scale per raggiungere il piano superiore e il cammino di ronda. Al riparo di queste possenti opere di fortificazione, all'epoca ancora del tutto integre, i selgiuchidi fronteggiarono l'assedio crociato.
Porta di San Paolo: terminava a nord la via colonnata e prese questa denominazione per la vicinanza di un monastero dedicato all'apostolo, in precedenza era nota come Porta di Beroea (Aleppo). Rimase praticamente intatta fino al XIX secolo quando fu smantellata per ricavarne materiale edilizio. Ne abbiamo un'idea abbastanza precisa grazie ad alcune incisioni dell'artista francese Louis Francois Cassas che visitò la città tra il 1784 ed il 1786.
 
La Porta di San Paolo
L.F. Cassas, incisione, 1784-1786
 
Secondo Förster (Antiochia am Orontes, 1897) la porta fu smantellata soltanto nel 1881 sotto gli occhi dell'archeologo francese Ernest Chantre che si trovava in visita ad Antiochia. Durante l'assedio nei pressi di questa porta si trovava il campo trincerato del contingente normanno di Boemondo.

Porta del Cane (Bab-el-Kelb): dietro l'attuale municipio di Küçükdalyan, è l'unica di cui siano stati riportati alla luce dei resti. Introduceva al ponte che scavalcava il braccio dell'Oronte che separava l'isola dalla città. All'epoca dell'assedio crociato questo braccio del fiume era già interrato e qui pose il suo campo Raimondo IV di Tolosa con i suoi provenzali.
resti della Porta del Cane
 
Secondo alcuni autori, sarebbe raffigurata in questa illustrazione allegata dal geografo inglese William Francis Ainsworth al resoconto della sua visita ad Antiochia del 1839 con la didascalia "Torre di Antiochia".
 
 
Porta del Duca: prese questo nome dopo l'assedio crociato. Di fronte a questa porta pose il suo campo Goffredo di Buglione.
 
 
Porta Philonauta: introduceva ad un ponte sull'Oronte (Ponte di Diocleziano) da cui partiva la strada per Rodi. Era detta anche Porta del Ponte e doveva trovarsi di fronte al luogo dove attualmente si trova la Ulu cami (1400 c.ca).
Porta di San Giorgio (Porta d'oro, Porta di Dafne): terminava a sud la via colonnata e si apriva nella cinta teodosiana.

Porta dei Cherubini: si apriva nella cinta più interna (mura di Tiberio) in asse con la Porta di San Giorgio. Prese questo nome dopo che Vespasiano (69-79) vi fece collocare (probabilmente davanti ad essa e non al di sopra) le statue dei Cherubini provenienti dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme (70). La porta introduceva al quartiere ebraico e l'imperatore vi avrebbe fatto collocare le statue provenienti dal Tempio come monito delle conseguenze di una ribellione per la comunità ebraica di Antiochia.

Porta di mezzo (Mese Pyle): non ne è stata ritrovata traccia ed è scarsamente descritta nelle fonti. Probabilmente non si trattava di una vera e propria porta ma di un arco trionfale fatto costruire da Traiano. Uggeri ipotizza invece che alle pendici del monte Silpius, parallela alla via colonnata, corresse un'altra cinta muraria e che su questa si aprisse la Mese Pyle.

L'ippodromo
Resti delle sostruzioni delle scalinate
 
Si trovava nell'isola ed era molto probabilmente connessa al palazzo imperiale (il lato verso il palazzo non è stato scavato) così come a Roma e Costantinopoli. All'arrivo della spedizione della Princeton University nel 1932 i suoi resti erano praticamente le uniche rovine visibili e quindi qui iniziarono gli scavi. In base alle monete e ai frammenti di ceramica tardoellenistica ritrovati nelle fondazioni, la struttura originaria può essere riferita al proconsolato di Quinto Marcio Re, che iniziò probabilmente nel 67 aC.

Fotografia aerea degli scavi del 1932
In basso l'ippodromo, più in alto le fondamenta di un tempio
 
Fu quindi ampliato in epoche successive con il crescere della popolazione di Antiochia.

Sono stati individuati due ordini di balconate (maenianum primum e maenianum secundum), il più alto dei quali sosteneva probabilmente una galleria colonnata. Nella sua versione più tarda - che dovrebbe risalire alla ricostruzione traianea successiva al devastante terremoto del 115 - misurava circa 500 m. di lunghezza e 70-75 di larghezza e poteva accogliere circa 80.000 spettatori. 
 
 
1. Mete
2. Torri
3. Ingressi
4. Carceres

La cittadella


La sommità del Monte Silpius fu probabilmente fortificata già in epoca seleucide, le rovine attualmente visibili risalgono però alla ricostruzione successiva alla riconquista bizantina della città sotto Niceforo II Foca (969) che inserì la cittadella nella cinta muraria giustinianea. Quando il 3 giugno i crociati dilagarono per la città, la cittadella, difesa dal figlio dell'emiro Shams al Dawla, non si arresedando rifugio ai profughi che risalivano la montagna per sottrersi alla furia crociata. Passata sotto il comando di un ufficiale dell'esercito di Kerbogha - Ahmad ibn Marwan - capitolò soltanto il 28 giugno, quando l'atabeg di Mosul fu sconfitto in una battaglia campale e costretto a ritirarsi.

Le mura che dalla cittadella discendono verso la Porta di ferro.

Il mosaico di Yatko

Il bordo di un pavimento musivo databile al tardo V secolo e rinvenuto in una villa romana nel quartiere di Yatko nei pressi del sobborgo residenziale di Daphne (circa 7.5 km a sud di Antiochia) offre alcune informazioni sugli edifici antiocheni oggi scomparsi. Il mosaico, attualmente custodito nel Museo archeologico di Antakya, raffigura al centro la Megalopsychia (la virtù pagana della magnanimità) ma lungo i bordi scorrono immagini topografiche, a volte provviste di didascalia, della città di Antiochia. Secondo Downey in particolare, la successione degli edifici raffigurati accompagnerebbe il visitatore dalla Porta di San Paolo fino al sobborgo di Daphne,

La chiesa ottagonale: era detta anche Tempio della Concordia (Omonoia), Domus aurea o Ottagono d'oro.
Fu fatta costruire da Costantino nell’isola e annessa al palazzo imperiale. Era a quadriconco, sormontata da una cupola dorata e preceduta da un nartece, soluzione architettonica che avrebbe costituito il prototipo delle chiese a pianta centrale (cfr. la basilica di San Vitale a Ravenna).

Planimetria ipotetica

L’edificio fu cominciato nel 327 sotto il vescovo Eustazio (che fu poi espulso dallo stesso Costantino) e terminato nell’estate 341, quando in presenza dell’imperatore Costanzo fu consacrato dal vescovo Flacillo. Gravemente danneggiata dal terremoto del 526 fu ricostruita dal vescovo Efrem. Secondo alcuni autori sarebbe raffigurata in questa porzione del mosaico di Yakto.

 
I bagni di Ardaburio (To pribaton Ardabouriou): Ardaburio Iunior era un generale appartenente ad una famiglia di militari di origini alane che per tre generazioni furono ai vertici dell'esercito bizantino (cfr. scheda Gli Ardaburi). Ricoprì la carica di magister militum per Orientem dal 453 al 466 e risiedette probabilmente fino al 459 ad Antiochia, dove possedeva una lussuosa residenza nel sobborgo di Daphne, a cui apparterrebbero i bagni con due cupole ed un giardino raffigurati nel mosaico.












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