Situata nella regione dell'Elide, la
parte nordoccidentale del Peloponneso, a 7 km dalla costa ionica, la
città di Andravida (Andreville per i Franchi) fu conquistata nel 1205 da Guglielmo di
Champlitte. In virtù della sua particolare ubicazione – nella
fertile pianura dell'Elide, vicina all'importante porto di Clarentza
ma non sulla costa, sì da non essere esposta a incursioni navali, e
lontana dalle montagne del Peloponneso centrale dove si annidava la
resistenza greca – divenne la residenza dei Principi d'Acaia e la
capitale de facto del Principato. Qui, nella non più
esistente chiesa di san Giacomo, venivano anche tumulati i regnanti.
Con l'andar del tempo, Andravida perse però progressivamente il
ruolo di capitale amministrativa del Principato a favore della città
portuale di Clarentza che la soppiantò definitivamente durante il
regno di Matilde de Hainault (1314-1318). La città rimase in mani
latine fino al 1420 quando fu riconquistata dai bizantini ed annessa
al despotato di Morea.
La chiesa di santa Sofia fu costruita
dopo il 1263 molto probabilmente come chiesa abbaziale domenicana,
utilizzata anche come cattedrale nonché come sala delle udienze, dal
principe d'Acaia Guglielmo II Villehardouin (1245-1278). E' l'unico
edificio di Andravida costruito dai Latini di cui siano ancora visibili i resti.
La chiesa è chiaramente improntata ai
dettami dello stile gotico occidentale e presenta una pianta
basilicale a tre navate priva di transetto.
Le volte a crociera, innervate da costoloni in pietra, sembra che siano state utilizzate solo nel capocroce, per il santuario e le due cappelle che lo fiancheggiano lateralmente e che richiamano i pastoforia dell'architettura ecclesiastica bizantina.
Le navate erano invece molto probabilmente coperte da un tetto di legno.
lato absidale
Le volte a crociera, innervate da costoloni in pietra, sembra che siano state utilizzate solo nel capocroce, per il santuario e le due cappelle che lo fiancheggiano lateralmente e che richiamano i pastoforia dell'architettura ecclesiastica bizantina.
Interno del santuario
Le navate erano invece molto probabilmente coperte da un tetto di legno.
Una mensola parzialmente abrasa, lungo
la parete meridionale del santuario, è decorata con una testa
maschile coronata. E' l'unica figura presente nella chiesa e potrebbe
rappresentare simbolicamente il principe in sua assenza.
Su questo capitello - attualmente conservato nel museo del castello di Chlemoutsi - sono invece scolpite le armi di Isabella Villehardouin e Florent Hainault (1289-1297).
Nella chiesa è stata rinvenuta questa
pietra tombale scolpita in marmo – oggi conservata nel museo del
castello di Chlemoutsi - che copriva il sarcofago di Anna (Agnese) Angelina Comnena
d'Epiro, terza moglie di Guglielmo II Villehardouin che sposò nel 1258 e figlia del
despota epirota Michele II (cfr. scheda Despotato d'Epiro, Introduzione). L'iscrizione che corre lungo il bordo esterno della lastra, in francese ed in caratteri
gotici (l'unica in questa lingua che sia stata ritrovata nel Principato), recita infatti: "ICI
GIST MADAME AGNES IADIS FILLE DOU DESPOT KIUR MIKAILLE ET […]
MCCLXXXVI AS IIII IOURS DE IANVIER.
Quattro pavoni – simbolo d'immortalità – sono scolpiti agli angoli della lastra, mentre nei quattro riquadri centrali sono raffigurate altrettante salamandre (dal significato simbolico più incerto). Sia i puntini sul dorso delle salamandre che gli occhi dei pavoni sono resi da fori riempiti di piombo.
L'esame della parte posteriore della pietra, che mostra una lavorazione ed una iconografia riconducibili al periodo tardoantico, rivela infine che si tratta di un materiale di reimpiego.
Quattro pavoni – simbolo d'immortalità – sono scolpiti agli angoli della lastra, mentre nei quattro riquadri centrali sono raffigurate altrettante salamandre (dal significato simbolico più incerto). Sia i puntini sul dorso delle salamandre che gli occhi dei pavoni sono resi da fori riempiti di piombo.
L'esame della parte posteriore della pietra, che mostra una lavorazione ed una iconografia riconducibili al periodo tardoantico, rivela infine che si tratta di un materiale di reimpiego.
Nessun commento:
Posta un commento