domenica 26 ottobre 2014

Epistula de urbis Costantinopoleos captivitate, parte II

Epistula de urbis Costantinopoleos captivitate, parte II
13. Frattanto tre navi genovesi giunsero da Chio in nostro soccorso con armi, soldati e grano scortandone un'altra imperiale che trasportava un carico di grano dalla Sicilia. La flotta turca, che era alla fonda fuori dalla città ed era all'erta, quando vide che tali navi, ormai vicine alla città, stavano per approdare, si diresse rapidamente contro di esse con gran fracasso di tamburi e di trombe facendo finta di voler attaccare la nave imperiale. Mentre noi assistevamo dalle mura, da lontano, cioè dal colle di Pera, stava a guardare anche il sultano dei turchi, attendendo l'esito dello scontro. Ed ecco che si levano alte grida: le triremi più grosse serrano da vicino le nostre navi, attaccano quella imperiale, ma vedendola protetta dalle altre navi la assalgono, impiegano il fuoco con i tubi di lancio, scagliano frecce, si scatena insomma una battaglia feroce. Le nostre navi, sotto il comando del genovese Maurizio Cattaneo, li respingono opponendo loro resistenza. La battaglia, a quel punto, prosegue con Domenico da Novara e Battista da Felizzano, ambedue genovesi, patron delle navi da guerra. (…) la nave imperiale si difende con coraggio: accorre in suo aiuto Francesco Lecanella, altro patron, rimbombano colpi di bombarda, grida selvagge si levano fino al cielo, i remi delle galere vanno a pezzi, i turchi cadono feriti senza possibilità di salvezza. Il loro sovrano, che vede dal colle il disastro della sua flotta, lancia bestemmie, sprona il suo cavallo fin nel mare, si strappa di dosso le vesti in preda al furore; gli infedeli lanciano gemiti ed i soldati, tutti quanti, sono in preda allo sconforto. (…) Venimmo poi a sapere, dalle notizie riportate dalle staffette e dai superstiti, che erano caduti quasi diecimila turchi. (…) E le navi nemiche, che avevano operato l'attacco, erano quasi duecento tra triremi e biremi. (…) Le nostre navi dunque, grazie a Dio, raggiunsero il porto durante la notte e salve con grande loro sollievo, senza aver subito danni e senza aver perso neppure un uomo, salvo quelli che rimasero feriti.

14. Il sultano, fortemente irritato contro Balta-oghlu, ammiraglio della flotta, gli fece salva la vita per intercessione dei suoi consiglieri, ma decretò che fosse spogliato della sua carica e dei suoi beni. (...)


16. Dopo questo avvenimento però nacque un grave contrasto tra i veneziani ed i genovesi di Galata, perchè gli uni rinfacciavano agli altri il sospetto di voler fuggire. I veneziani proposero che, a levare ogni sospetto, venissero tolti dalle navi e messi in serbo a Costantinopoli sia i timoni, sia le vele. I genovesi, sdegnati allora dissero: “Anche se noi manteniamo la pace col Turco simulandola in modo molto scaltro per ordine dell'imperatore al fine della salvezza dei greci – che è poi quella di tutti noi -, come potete pensare che noi si possa compiere un tale crimine, quello di abbandonare Pera, la più bella cittadina del mondo,le nostre spose, i nostri figli e le nostre ricchezze, piuttosto che essere disposti a difendere tutto fino all'ultimo sangue?” (…) Più tardi la situazione tornò tranquilla, ed i veneziani disposero delle loro triremi come ad essi più piacque.


17. Crescendo ogni giorno più le difficoltà, si tenne consiglio per vedere se era possibile che i nostri incendiassero le fuste nemiche. Un giorno, prima dell'alba, furono preparate di nascosto due navi per ordine di Giovanni Giustiniani assieme ad alcune biremi che le dovevano accompagnare fino alla costa pronte a lanciare il fuoco e a sparare le bombarde. Quando le navi vennero portate fuori, adottando la formazione stabilita, le navicelle coperte, dette borbote, si posero dietro di esse, cosicché le navi che precedevano, ricoperte di sacchi pieni di lana, potessero ricevere per prime senza danno i proiettili di pietra delle bombarde. Purtroppo però Jacopo Coco, un veneziano, bramoso di gloria e di onore, fatta sorpassare a piena voga la propria bireme imperiale, che aveva un equipaggio, secondo l'ordine ricevuto, fornito dalle triremi veneziane, la spinse innanzi, ed ecco che, appena è in vista del nemico – ahi, terribile sciagura! - viene sventrata al centro da un proiettile di bombarda e così sprovonda nel mare coinvolgendo nella sua rovina tutte le altre biremi armate. (…) In realtà il piano d'attacco era stato svelato e comunicato ai turchi, cosicchè i nostri, che volevano colpirli duramente, vennero essi stessi colpiti per primi. Ma che dire, beatissimo Padre? E' lecito accusare qualcuno? E' meglio che si taccia. L'insuccesso ebbe una grave e dolorosa ripercussione sui nostri e costrinse le nostre navi a ritornare là donde erano partite in mezzo a una gran confusione. Tra gli uomini che riemersero in superficie alcuni, raggiunta la riva a nuoto, vennero fatti prigionieri e il giorno dopo, per ordine dello spietato sultano, fatti decapitare davanti ai nostri occhi. I nostri allora, esacerbati, prendono i prigionieri turchi che tenevano in carcere e li uccidono senza pietà sulle mura al cospetto dei loro connazionali: così l'iniquità si mescolò alla crudeltà e rese più atroce la guerra.


18. Dopo questi fatti il Turco finse di voler fare la pace. Inviò dei messi i quali, parlando in modo ipocrita, fecero sapere che il sultano si era pentito di aver scatenato la guerra, come se egli fosse stato istigato ad essa dagli ungheresi, e propose un plenipotenziario. Ma la menzogna venne scoperta, poiché egli non volle accettare né di demolire la fortezza che aveva costruito sulla Propontide, né di risarcire i danni inferti nei territori da lui devastati (15). Ciò che più ci angustiava era la slealtà del Turco, che non aveva mai mantenuto fede ad alcun giuramento e patto. (…) Perciò noi, presentendo l'inganno, affidammo la nostra salvezza a Dio. Contavamo i giorni che ci rimanevano con un senso di profonda amarezza e di pentimento nel cuore e andavamo dicendo che occorreva placare Dio con litanie, con sacrifici divini, con incenso e preghiere. (…)


19. Pochi certo tra i greci, per lo più inetti alla guerra, erano in grado di combattere e si servivano dello scudo, della spada, della lancia e dell'arco più per istinto che con abilità. I comandanti erano armati di elmo, di corazza metallica o di corsale, di spada o di lancia; alcuni erano un po' più esperti nell'uso dell'arco e della balestra, ma quanto a numero erano certo inferiori alle necessità della difesa e combattevano come potevano e sapevano. (…) I greci, tra i combattenti, non superavano la cifra dei seimila; gli altri, genovesi e veneziani, anche sommando ad essi quelli che erano venuti di nascosto in loro aiuto, a stento arrivavano a tremila. (…)


20. Ahimè, o greci, dimentichi del vostro dovere, responsabili di furto di fronte alla vostra patria, troppo attaccati ai vostri averi! Quelli di voi a cui si rivolse l'imperatore, privo di mezzi, scongiurandovi con le lacrime agli occhi di dare a prestito dei soldi per arruolare delle truppe, giurarono di esser poveri e di aver tutto consumato a causa della penuria dei tempi; e furono quegli stessi che poi il nemico scoprì ricchissimi (16)! Ciò malgrado alcuni, ben pochi, fecero delle offerte volontarie. Per la verità bisogna dire che il cardinale pose ogni zelo nell'offrire il suo aiuto e fece riparare a proprie spese torri e mura (17).


21. D'altra parte l'imperatore, in preda all'incertezza, non sapeva che fare. Chiede consiglio ai suoi ministri, ed essi lo inducono a non far pressione fiscale sui cittadini, già angustiati dalla situazione, e a ricorrere ai tesori delle chiese. Perciò diede ordine di prendere dalle chiese le suppellettili sacre e di fonderle (…), di coniare delle monete e di distribuirle ai soldati, ai minatori e ai muratori, i quali, preferendo occuparsi delle cose loro piuttosto che di quelle pubbliche, si rifiutavano di prestare la loro opera senza essere pagati. Angustiato da queste ristrettezze, l'imperatore distribuì i soldati, per quanto gli fu possibile, lungo le fortificazioni (…), e ripose tutte le sue speranze nel comandante Giovanni Giustiniani. E sarebbe andata bene, se la sorte ci avesse favorito. L'imperatore prese posizione in quel punto delle mura, nei pressi di San Romano, dove erano state fatte delle riparazioni e dove più infuriava la battaglia, a fianco dello stesso comandante e dei suoi trecento commilitoni genovesi, magnifico nelle sue armi rifulgenti, associandosi alcuni soldati scelti greci molto valorosi (18).


22. Poco più in là Maurizio Cattaneo, nobile genovese, prende posizione, pieno di ardore, come comandante della difesa, dalla Porta di Peghé, cioè della Fonte, fino alla Porta Aurea assieme a duecento balestrieri a cui erano mescolati anche dei greci, proprio di fronte a quel bastione di legno, coperto da pelli bovine, che stava al di là delle mura. I fratelli Paolo, Antonio e Troilo Bocchiardi assumono il comando della difesa, con gran coraggio e con armi loro, a proprie spese, nel punto assai critico di Miliandro (19) dove la difesa era più pericolosa, rimanendo continuamente all'erta, notte e giorno. (...)


23. Teodoro Caristeno, un greco, vecchio ma forte come una quercia, espertissimo nell'uso dell'arco, e Teofilo, un altro greco della nobile famiglia dei Paleologi, uomo di lettere, l'uno e l'altro cattolici, assieme a Giovanni [Grant], un tedesco geniale, provvedono a riparare la Caligaria, che era stata sconquassata, e a difenderla. Catarino Contarini, un veneziano molto illustre tra la sua gente, nominato comandante della Porta Aurea e della fortezza adiacente ad essa fino alla riva del mare, assunto su di sé con gran coraggio il peso della difesa. (…) La difesa del Palazzo imperiale [delle Blacherne] viene affidata a Girolamo Minotto, bailo dei veneziani (...)


24. Il cardinale, che non mancava mai di dare il suo consiglio, si era assunto la difesa del quartiere di san Demetrio verso il mare; il console dei catalani [Pere Julià] difendeva invece la torre che stava davanti all'Ippodromo verso la zona orientale (20). Kyr Luca [il megadux Luca Notaras] vigilava alla difesa del porto e di tutta la zona prospiciente il mare. Girolamo Italiano e Leonardo di Langasco, ambedue genovesi, assieme a molti altri loro commilitoni, tenevano la difesa della Xyloporta e delle torri dette Anemadi (21), che erano state rimesse in sesto a spese del cardinale.


25. (…) Gabriele Trevisan, capitano delle galere veloci, nobile veneziano, uomo molto assennato, aveva assunto il suo posto di combattimento con quattrocento veneziani scelti dalla Porta del Kynegos alla torre del Phanar [Faro]; da questa torre del Phanar fino alla Porta Basilica, cioè Imperiale, la difesa era stata assunta con grande impegno dai fratelli Ludovico e Antonio Bembo, uomini di notevole coraggio, assieme a centocinquanta veneziani (22). Alvise Diedo, comandante delle galere grosse, assieme agli altri che rimanevano, difendeva, da uomo pavido qual'era, più le sue triremi che il porto. (...) Demetrio, suocero di N […] Paleologo e Nicola Goudeles, suo genero, posti a capo di un reparto, vengono tenuti di riserva perchè possano intervenire in aiuto, passando da un capo all'altro della città, con un notevole numero di armati (23). (…)


27. Nello stesso periodo di tempo venne diramato l'ordine che il pane venisse distribuito in modo proporzionato ad ogni compagnia, cosicchè la gente non si allontanasse dal proprio posto di combattimento con la scusa di preoccuparsi del rifornimento. (…) L'imperatore non era in grado di esercitare un controllo rigoroso, e chi disubbidiva non veniva castigato con la fustigazione o punito con la morte. (…)


28. Frattanto il comandante generale Giovanni Giustiniani, su cui pesava tutto il destino della difesa, quando intuì attraverso la proclamazione fatta dai turchi che stava per essere scatenata l'offensiva finale, cercò di riparare in fretta e furia quelle mura che erano state sconquassate dalle bombarde; chiese anzi per sé a Kyr Luca [Notaras], megadux imperiale, delle bombarde, che erano a disposizione della difesa, per schierarle contro i nemici. Egli però gliele negò con alterigia, per cui il capitano gridò: “Chi mi trattiene, traditore, dall'ucciderti con questa mia spada?”. Sdegnato per l'insulto ricevuto, soprattutto perchè un latino lo aveva rimproverato, in seguito provvide alle necessità del combattimento in modo più remissivo. (…) In ogni caso il capitano Giovanni, su consiglio del comandante Maurizio Cattaneo, di Giovanni del Carretto, di Paolo Bocchiardi, di Giovanni Fornari, di Tommaso Selvatico, di Laudisio Gattilusio, di Giovanni Dalmata e di altri alleati greci, riorganizzò lo schieramento e le difese. (…)


29. I nostri s'impegnarono duramente nell'azione di difesa, non soltanto del fossato e dell'antemurale, cosa che io non ho mai approvato, perchè ho cercato sempre di far capire che l'ultimo scampo stava nel non abbandonare le mura alte principali, le quali, benchè fossero in rovina o prive di merlature, a causa delle intemperie o per incuria, avrebbero potuto essere riparate fin dall'inizio, quando cioè si profilò la prospettiva di una guerra; anzi si dovevano restaurare e munire di difensori, in modo tale che, debitamente occupate, potessero servire di presidio estremo per la salvezza della città. (…)


Note:

(14) Qui sembrerebbe che Francesco Lecanella (Lecavella in altre cronache) fosse al comando di una quarta nave da guerra genovese mentre tutti i cronisti – eccezion fatta per il Ducas, Historia Turco-Bizantina 1341-1462, che parla appunto di quattro navi da guerra - parlano di tre navi. Più probabilmente Lecanella comandava la nave da trasporto imperiale.
(15) L'offerta di pace che fu realmente avanzata tra la fine di aprile e i primi di maggio, fu molto probabilmente fatta pro forma, più che altro in osservanza dell'usanza musulmana di offrire la pace al nemico prima di lanciare l'attacco finale per garantirsi i favori della divinità.
(16) In un passo qui omesso – anche perchè fortemente corrotto – Leonardo accusa Manuele Paleologo Iagari, un alto funzionario della corte bizantina, e l'igoumeno del monastero di Carsianite, Neofito, di essersi appropriati di fondi destinati alla riparazione delle mura.
(17) Cfr. la voce Isidoro di Kiev.
(18) Per l'elenco di assegnazione dei posti di comando che segue vedi anche la voce L'assedio di Costantinopoli.
(19) Myriandrios o Polyandrios era anche detta la Porta Rhegium (Mevlana kapi per i turchi). Quando furono restaurate le mura e aggiunte quelle esterne (447), gli Azzurri cominciarono a costruire a partire dalle Blacherne, i Verdi dalla Porta d'Oro. Il nome deriverebbe dal fatto che i due gruppi si congiunsero in corrispondenza di questa porta.
(20) I catalani di Pere Julià difendevano in realtà il tratto di mura compreso tra il Palazzo di Bucoleon ed il Kontoskalion. Al centro di questo tratto, in corrispondenza dell'Ippodromo come scritto da Leonardo, si trovava una torre di guardia del Porto di Sofia nota con il nome di Boukinon perchè sulla sua sommità erano state poste delle buccine che amplificavano il suono melodioso delle onde che si frangevano in questo punto contro una parte cava delle mura.
(21) Le torri affiancate di Isacco II Angelo e di Michele Anemas. Per la conformazione delle mura in questo tratto vedi la voce La Prigione di Anemas.
(22) Ludovico e Antonio Bembo erano membri autorevoli della colonia veneziana. Entrambi figurano tra i consiglieri del Consiglio dei Dodici che la notte del 14 dicembre votò la decisione di trattenere in porto le navi veneziane e partecipare attivamente alla difesa.
(23) Demetrio va identificato con Demetrio Cantacuzeno Paleologo, mesazon dell'imperatore, e suo genero, con N[iceforo] Paleologo che ne aveva sposato la figlia, ed erano al comando di una forza mobile di circa 700 uomini acquartierata nei pressi della chiesa dei SS.Apostoli. Nicola Goudeles, nominato nel testo, molto più probabilmente dirigeva la difesa della Porta di Pege assieme al veneziano Battista Gritti come riportato da Ubertino Puscolo (Costantinopolis, 1464 c.ca) 


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