venerdì 21 aprile 2017

La crisobolla di Andronico II

La crisobolla di Andronico II

Crisobolla di Andronico II, cm.195x26,5, 1301
Museo cristiano-bizantino
Atene

E' composta da quattro fogli di pergamena incollati insieme e fu emanata nel 1301 da Andronico II Paleologo per confermare i privilegi garantiti al metropolita di Monemvasia, Nicola (1283-1325). Il documento si apre - cosa assolutamente non comune - con una miniatura in cui Andronico è raffigurato in piedi su un cuscino rosso decorato dall'aquila paleologa di fronte al Cristo a cui porge la crisobolla, ha il capo circondato da aureola ed indossa il kaumelakion (la corona ad elmetto arricchita dai praependulia).

 
Nonostante il fatto che la crisobolla sia esplicitamente diretta al metropolita di Monemvasia la figura del Cristo non è in alcun modo connotata come Elkomenos (in vincoli) a cui pure era dedicata la mitropolis (cattedrale) della città (cfr. scheda). Indossa una tunica blu scura ed un himation purpureo, tiene il libro nella mano sinistra mentre la destra è benedicente.

particolare della firma di Andronico II
 
Il documento riporta la data del 1301 ed in calce la firma di Andronico vergata con inchiostro purpureo.
E' attualmente conservata nel Museo cristiano-bizantino di Atene.


martedì 11 aprile 2017

Demetrio Laskaris Leontari

Demetrio Laskaris Leontari

Amico fidato di Manuele II, compare per la prima volta nelle fonti nel 1403, quando riceve dall'imperatore l'incarico di coadiuvare il nipote Giovanni VII nell'amministrazione di Tessalonica, di cui quest'ultimo era stato nominato despota e di cui Demetrio Laskaris Leontari divenne comandante militare. Della sua vita precedente si sa soltanto che si era distinto come ufficiale dell'esercito prestando servizio in Morea e Tessaglia.
Nel 1408, alla morte di Giovanni VII, Manuele nominò il giovane figlio Andronico despota di Tessalonica, Demetrio Laskaris rimase al governo della città assumendone la reggenza fino al raggiungimento della maggiore età di Andronico (1415-1416), quando arrivarono a Tessalonica chiedendo asilo il fratellastro di Maometto I, Mustafa, ed il governatore di Aydin, Junayd, che, insorti contro il sultano, erano stati sconfitti. Alla richiesta del sultano di consegnargli i ribelli, seguì una trattativa che terminò con un accordo in base al quale, i due ribelli sarebber rimasti in esilio sotto custodia dell'imperatore dietro il pagamento di un congruo appannaggio annuo da parte del sultano. Demetrio Laskaris scortò personalmente i due prigionieri a Costantinopoli.
Rientrato a Costantinopoli, nel maggio del 1421 lo ritroviamo a capo di una importante missione diplomatica presso la corte di Maometto I ad Adrianopoli che fu interrotta dalla morte del sultano (26 maggio 1421).
Dopo la morte di Maometto I, a Costantinopoli prese il sopravvento il partito antiottomano guidato dal coimperatore Giovanni VIII a cui Manuele II rassegnò il potere di fatto. Su ordine di Giovanni, Demetrio rilasciò quindi Mustafa, assicurandogli sostegno nella lotta contro il nuovo sultano Murad II in cambio della città di Gallipoli. Mustafa prese Gallipoli ma si rifiutò di consegnarla ai bizantini; abbandonato da gran parte dei suoi sostenitori, fu comunque sconfitto e catturato poco dopo da Murad. Fu giustiziato nel 1422.
Nel 1427 – mentre Giovanni VIII assediava Clarentza che era stata occupata dai Tocco – Demetrio guidò la marina bizantina nello scontro con la flotta epirota guidata dal figlio illegittimo del despota Carlo I Tocco, Turno, noto come battaglia delle Isole Echinadi a largo delle quali fu combattuta (1). Il condottiero bizantino riportò una vittoria schiacciante affondando una buona metà del naviglio nemico e catturando molti prigionieri. La battaglia è ricordata come l'ultima vittoria riportata dalla marina imperiale.

Arcipelago delle Echinadi
 
Ritiratosi a vita monastica con il nome di Daniele, morì molto probabilmente nel 1431 e fu tumulato nel monastero costantinopolitano di San Giovanni in Petra (2).
Sposatosi con una donna di cui non si conosce il nome, si ha notizia di un suo figlio di nome Giovanni che morì nel 1437 e fu sepolto nello stesso monastero.

Note:
(1) Vedi anche scheda Despotato d'Epiro, Introduzione.
(2) Vedi scheda la chiesa di San Nicola al Bogdan saray, nota 2.




sabato 8 aprile 2017

chiesa di San Nicola al Bogdan saray


chiesa di San Nicola al Bogdan saray

  
I resti di questa chiesa si trovano a circa 250 m. ad est di S.Salvatore in Chora, nei giardini del Bogdan saray (Palazzo di Moldavia) e sono attualmente adibiti a deposito di pneumatici (ingresso al n.32 di Draman Caddesi).
 
 
Resti dell'abside della cripta
 
Interno dell'abside
 
Descrizione: era una piccola (6.20x3.50) cappella funeraria - è infatti orientata a nord anzichè ad est e, in alcuni scavi condotti nel 1918, vi vennero rinvenute tre sepolture - che dovrebbe risalire al XII sec., secondo altri al XIV (1), di cui rimane solo la cripta, essendo completamente crollata – ai primi del XX secolo - la cappella sovrastante.
Pianta della cappella scomparsa
 
La cappella sovrastante, di cui non rimane più nulla, era a navata unica, al centro della quale si levava una cupola impostata su pennacchi che originavano da due archi traversi, e terminava con un'ampia abside poligonale aggettante. La cripta, anch'essa a navata unica, era voltata a botte e terminava con un'abside. La muratura è a corsi alterni di mattoni e pietra.

fotografia del 1938
 
Identificazione: in età ottomana faceva parte delle dipendenze di un palazzo acquistato nel XVI sec. dagli hospodari di Moldavia per farne la sede della loro rappresentanza presso la Sublime Porta. In epoca bizantina, per la posizione, potrebbe essere appartenuta al complesso monastico di san Giovanni Battista in Petra (2). Il palazzo di Moldavia fu distrutto da un incendio nel 1784 e la cappella divenne inagibile.
Tutti gli atti ad essa relativi, compresa la donazione nel 1760 da parte di Giovanni Callimaco al monastero athonita di S.Pantelemone la indicano come dedicata a S.Nicola di Myra.

Note:

(1) R.Ousterhout, che propende per una datazione al XIV secolo, ne sottolinea la similitudine della pianta con quella del paraekklesion della chiesa di San Salvatore in chora, ipotizzando che possa aver avutola stessa funzione. E in effetti, nelle fotografie dei primi del Novecento, si notano dei setti murari che si distaccano perpendicolari dalle pareti laterali dell'edificio, suggerendo l'idea che fosse annesso ad un edificio più grande.

fotografia del 1908
 
(2) La fondazione del monastero di San Giovanni in Petra, molto rinomato in epoca paleologa ma di cui oggi non rimane più nulla, è attribuita dalla tradizione ad un monaco di origini egiziane, Baras, che giunse a Costantinopoli probabilmente durante il regno di Zenone (476-491). Il monastero fu comunque rifondato nell'XI secolo dall'igoumeno Giovanni detto il più veloce con il patrocinio di Anna Dalassena. Dopo il 1308 il monastero conobbe una nuova rinascenza, grazie alla costruzione patrocinata dal re serbo Milutin – che aveva sposato la figlia di Andronico II, Simonide - di una chiesa e di un ospedale (xenon del Kralj) che divenne il più importante della città. A testimonianza del prestigio raggiunto dal monastero, il patriarca Nilo Kerameus con un decreto del 1381 ne promuove l'igoumeno ad archimandrita e protosincello e pone il monastero al terzo posto – dopo quelli di Studion e dei Mangani – nella gerarchia dei monasteri costantinopolitani.
Sopravvissuto e rimasto cristiano dopo la conquista (nel 1463 fu donato dal sultano al Gran Vizir Mahamud pascià che era serbo e cristiano), si spopolò e decadde nel corso del XVI secolo, tanto che E.Gerlach, in una lettera ad un amico del 1578, lo descrive come completamente in rovina e semideserto. 
Ne conosciamo l'aspetto grazie alla dettagliata descrizione lasciataci dal diplomatico spagnolo Ruy González de Clavijo che lo visitò nell'inverno del 1403. Il katholikon del monastero era preceduto da un ampio atrio porticato al centro del quale si trovava una fontana, presentava una pianta centrale ed era sormontata da un'alta cupola. All'interno il santuario era tripartito e la chiesa era interamente decorata a mosaico mentre colonne di diaspro verde separavano le navate.
Janin lo localizza con molta precisione nella valletta che da Karagümrük digrada verso Balat (cfr. cartina sopra), in un luogo chiamato dai turchi Kesmekaya (pietra tagliata), un nome che ricorda quello antico di Petra.

martedì 4 aprile 2017

Il cassone con dipinta la Caduta di Trebisonda

Il cassone con dipinta la Caduta di Trebisonda


E' un cassone nuziale fiorentino del XV secolo – oggi conservato nel Metropolitan Museum di New York - che, nella parte frontale, mostra dipinta la Caduta di Trebisonda.
E' segnalato per la prima volta in un articolo del Weisbach del 1913 come proveniente da casa Strozzi per la presenza delle insegne araldiche della famiglia (1). E' considerata opera della bottega fiorentina di Apollonio di Giovanni e Marco del Buono Giamberti.
In una variopinta scena di battaglia sono raffigurate due città: a sinistra Costantinopoli, identificabile dalla legenda e dall'accurata resa della topografia; in alto a destra Trebisonda, anch'essa identificata dalla legenda e, per la maggiore contiguità alla scena di battaglia, considerata come fulcro dell'azione.
Il tema raffigurato suggerisce quindi un termine post quem per la datazione (1461, caduta di Trebisonda) mentre la morte di Apollonio di Giovanni (1465) ne stabilisce uno ante quem.


Come già osservato la topografia costantinopolitana è molto accurata, sulla sponda opposta di un dilatato Corno d'Oro si distingue il sobborgo di Pera e più a nord, indicata come chastelo novo dalla didascalia, la fortezza di Rumeli Hisari fatta costruire nel 1452 da Maometto II sul versante europeo del Bosforo.
L'accuratezza topografica della ricostruzione della fortezza risulta evidente dal confronto con un suo schizzo realizzato da una spia veneziana all'incirca nel 1453.

Cod.membr.641, 1453 c.ca,
Biblioteca Trivulziana, Milano

Ben riconoscibile, sulla sponda asiatica, è anche il sobborgo di Scutari (l'antica Crisopoli) indicato dalla didascalia come Loscuterio).
 
Particolare della raffigurazione di Costantinopoli

All'interno delle mura di Costantinopoli si distinguono chiaramente la colonna di Giustiniano – priva della statua equestre dell'imperatore, come appariva già poco tempo dopo la conquista ottomana - e l'obelisco di Thutmosi III nella spina dell'Ippodromo. Ancora, in primo piano Santa Sofia, con la cupola e le due semicupole e, davanti ad essa e più bassa, la cupola di Sant'Irene. All'angolo nordoccidentale della città l'edificio a tre piani addossato alle mura è il palazzo delle Blacherne sul cui tetto sembra di veder sventolare il vessillo dei Paleologi,


a sinistra di questo un altro edificio coperto da cupola e a cui è addossato un porticato rappresenta molto probabilmente il katholikon del monastero di San Giovanni Battista nel quartiere di Petrion (2) mentre di più incerta identificazione è la chiesa a pianta basilicale con un tetto a doppio spiovente, eretta su un basamento a cui da accesso una scalinata di tre gradini. La chiesa presenta inoltre una facciata in cui si aprono tre portali, quello centrale dei quali sormontato da rosone e la didascalia la indica chiaramente come dedicata a San Francesco.

Nella rappresentazione di Trebisonda non si riscontra invece una altrettanta accuratezza topografica, sì che essa sembra corrispondere piuttosto ad un modello immaginario.
L'abbigliamento e l'armamento degli eserciti che si scontrano appaiono molto simili, differendo soltanto per la foggia dei copricapo: conici e, in alcuni casi, forniti di una falda ripiegata alla base o ornati da una piuma, per i trapezuntini; bassi ed ornati da una fascia bianca, a ricordare la forma di un turbante, per i turchi.
L'esito della battaglia è evidenziato dai prigionieri tapezuntini inginocchiati con le mani legate dietro la schiena nei pressi del campo nemico.

Andrea Paribeni (2001) ha però rilevato una serie di incongruenze in questa interpretazione:
1. L'ultimo imperatore di Trebisonda, Davide II Comneno, si arrese a Maometto II senza combattere. Non vi fu quindi alcuna battaglia (cfr. scheda L'impero di Trebisonda);
2. Maometto marciò su Trebisonda da Costantinopoli - quindi da ovest - e non da oriente come nel dipinto.
Ma è soprattutto la parola tanburlana che compare, appena sbiadita, nei pressi del carro che trasporta il comandante dell'esercito vincitore, a fargli avanzare l'ipotesi che l'esercito vittorioso proveniente da oriente sia quello dei mongoli di Tamerlano mentre gli sconfitti siano i turchi del sultano Beyazit I nella battaglia di Ankara (1402).
La presenza della città di Trebisonda – che comunque appare nel dipinto estranea alla battaglia (ad esempio non si notano soldati sulle mura) – andrebbe ricercata nella committenza che Paribeni fa risalire a Vanni degli Strozzi come dono nuziale per il matrimonio del fratello Ludovico con la figlia di Bertoldo Corsini e collega ad i suoi recenti interessi economici nella città di Trebisonda.
Il riferimento alla battaglia di Ankara alluderebbe inoltre ad una adesione del committente al progetto politico elaborato da papa Pio II Piccolomini intorno al 1458 di formare un'alleanza antiottomana tra i regni cristiani orientali di cui Unzun Hasan - il khan cristiano dei turcomanni di Ak Koyunlu (il Montone bianco) che aveva mutuato per sè proprio l'appellativo di nuovo Tamerlano - sarebbe stata la punta di diamante (3).

Note:
(1) Quando, circa un anno dopo l'articolo del Weisbach, il cassone venne acquistato dal Metropolitan Museum era però già privo di queste insegne. La provenienza da casa Strozzi sembra però confermata dall'impresa dipinta sulle fiancate laterali, un falcone ad ali spiegate appollaiato su un trespolo. Strozziere significa infatti falconiere.
 
 
(2) Sul monastero di San Giovanni Battista in Petra vedi scheda la chiesa di San Nicola al Bogdan saray, nota 2.

(3) Paribeni osserva che se da un lato un oggetto destinato ad un uso privato come un cassone può apparire poco adatto a veicolare un messaggio politico, dall'altro questo durante l'esposizione dei doni nuziali viene visto da tutti, ben prestandosi quindi al "doppio gioco" di un mercante fiorentino come Vanni Strozzi il cui animo si divideva tra gli interessi commerciali delle nuove relazioni che andava stringendo con gli ottomani e l'adesione allo spirito crociato.