mercoledì 30 settembre 2015

Piazza Sant'Oronzo (già Piazza dei Mercanti), Lecce

Piazza Sant'Oronzo (già Piazza dei Mercanti), Lecce


Sino agli ultimi anni del XIX secolo la piazza era occupata sul lato meridionale dalla cosiddetta isola del Governatore dove insisteva il Palazzo del Governo (un unico palazzo che comprendeva la residenza del Governatore, il Tribunale e l’antico Sedile o sala del Parlamento generale in cui avevano luogo le assemblee del pubblico reggimento) nonchè quello del console veneziano.
Ai primi del 1900, la costruzione del Palazzo della Banca d'Italia, opera in stile neorinascimentale fiorentino dell'architetto ferrarese Giovanni Travagli, alterò completamente la planimetria e la morfologia della piazza che fu ridedicata al santo patrono. Durante i lavori di costruzione del palazzo furono scoperti i resti dell'anfiteatro romano. Per far posto al primo e dar luce al secondo, fu demolita l'intera isola del Governatore nonchè le capande ossia le numerose botteghe dei mercanti veneziani che punteggiavano i portici degli edifici che affacciavano sul lato meridionale della piazza.

Il Palazzo del Sedile

Il Sedile e la chiesetta di San Marco

L'attuale Palazzo del Sedile fu fatto costruire dal sindaco Pietro Mocenigo nel 1592 in luogo del precedente demolito nel 1588 (*).
Posto nell’angolo settentrionale dell’isolato e rivolto verso il centro della piazza, l’antico Sedile o Tocco quattrocentesco era sormontato da una torretta dotata di campana per convocare il popolo e il reggimento.
La planimetria originaria del monumento era composta, oltre che dalla loggia esistente a pianta quadrata, da alcune stanze che si sviluppavano sul retro e da una soprastante alle stesse, utilizzate come armeria e demolite nel 1937 in seguito agli scavi che portarono alla luce l’Anfiteatro Romano.
Ognuno dei quattro prospetti del Sedile è definito da pilastri angolari – forati da cinque grandi ovuli - che inglobano, in una efficace invenzione architettonica, lo stelo di una colonna, come imprigionata al loro interno.
La volumetria del Sedile è quella di un parallelepipedo caratterizzato da due grandi archi gotici che si aprono sulle due facciate principali e che, con il verticalismo proprio di quello stile, conferiscono all’impianto ariosità e leggerezza.
Sulle due chiavi di volta degli archi ogivali sono scolpiti lo stemma di Filippo III di Spagna e quello della Città con la lupa sotto il leccio, rappresentata per la prima volta senza l’antica torre di Santa Irene.


Ai lati degli stemmi, su ambedue le facciate, si sviluppano ricche panoplie che raffigurano corazze, armi e scudi, richiamo alle armature e alle munizioni che venivano custodite nelle stanze retrostanti la loggia.
Nella parte superiore un sistema d'archi a tutto sesto forma un'altana di gusto rinascimentale a coronamento dell'edificio.
All’interno la loggia presenta un’alta volta acuta, a spigoli costolonati, decorata a festoni di foglie di quercia e mascheroni. La volta, così come le pareti, in origine era ricoperta da affreschi. Un’epigrafe in pietra leccese, collocata su una parete laterale interna, sovrastata dal volto di Carlo di Borbone, ricorda l’omaggio, reso al re dalla Città nel 1743, consistente in caraffe d’oro e d’argento contenenti l’olio della lampada di Sant’Oronzo e, di seguito, il suo ringraziamento in lingua spagnola.
Recenti lavori di restauro hanno svelato, ma solo sulla volta - non sulle pareti - e tra tante lacune, quanto è rimasto di superfici affrescate, che in origine dovevano conferire al monumento un aspetto fastoso. Oggi, dopo il restauro, sugli spigoli della volta sono visibili figure allegoriche - inserite in cornici che simulano il marmo e che seguono le linee architettoniche della stessa volta - Dazio, Frode, Onore, Virtù quelle di cui si riesce a ricostruire la dicitura sui cartigli che, molto probabilmente, fanno riferimento alla funzione di borsa svolta un tempo all’interno del Sedile.


Sulla crociera, s'intravedono i resti di un ciclo pittorico composto da una serie di episodi che, molto probabilmente, rappresentano la vita di Santa Irene, protettrice della Città.


Utilizzato come armeria, fu successivamente sede del Municipio fino al 1851 e quindi della Guardia Nazionale. Dopo i restauri terminati nel 2011, è stato adibito a sede espositiva.

(*) Il progetto del nuovo Sedile, per quanto non si abbiano notizie certe in proposito, dovrebbe essere opera di Alessandro Saponaro. Un coinvolgimento nella progettazione di Gabriele Riccardi – chiamato in causa per l'adozione della soluzione architettonica delle "colonne inglobate" che compaiono anche nella facciata della basilica di Santa Croce – appare improbabile, giacchè il celebre architetto leccese morì presumibilmente prima del 1574 (cfr. M. Cazzato, La prima attività di Gabriele Riccardi: le colonne dell'altare dei martiri nella cattedrale di Otranto (1524), pag. 85).
 
La "colonna inglobata" che figura nella facciata della basilica di Santa Croce

La chiesetta di San Marco

La colonia veneziana a Lecce, probabilmente già attiva agli inizi del XIV secolo, conobbe un'ulteriore espansione durante il regno di Maria d'Enghien (cfr. scheda La contea di Lecce e la casa i Brienne).
Nel 1543, su istanza presentata dal console veneziano Giovanni Cristino, il vescovo di Lecce, Giovanbattista Castromediano, concesse alla colonia la chiesetta dedicata a San Giorgio in piazza dei Mercanti (come attestato dall'iscrizione riportata sul portale laterale) che fu ricostruita e ridedicata a San Marco e alla quale nel 1592 si ritiene venisse addossato il nuovo Sedile.
Il rifacimento della chiesa è stato per lungo tempo considerato opera di Gabriele Riccardi.
La chiesa si presenta come un unico blocco cubico, con una facciata schematicamente geometrica la cui ricchezza ornamentale è impostata sull'asse centrale formato dal portale e dal rosone.


Agli inizi del ‘900 era ormai un rudere (ne venne anche proposta la demolizione per allargare ulteriormente la piazza), con le parti ornamentali corrose e con uno dei portali deturpato da un incendio che per fortuna era stato domato prima che arrecasse altri danni.
Nel 1930 si procedette al restauro. Purtroppo non si poterono restaurare i due portali in quanto dei fregi di cui erano ornati era rimasto ben poco perché erosi dal tempo e dalla incuria, ma a questo si ovviò riproducendo in calchi il portale della chiesetta di San Sebastiano (costruita da Riccardi nel 1520) e da questi si potè ricavare il modello delle due colonne laterali e del fregio.
Oggi quindi non si ammira il portale originale della chiesetta di San Marco ma la riproduzione di quello di San Sebastiano.
Recenti lavori di restauro hanno però dimostrato che le decorazioni ellittiche dei pilastri del sedile erano già presenti in quello demolito nel 1588. Il vec­chio Sedile (costruito non molti anni prima del 1543) aveva, quindi, già, al­meno nel pilastro destro, le decorazio­ni ellittiche, e furono proprio queste ul­time a essere riproposte nella facciata (terminata nel 1582) della chiesa lecce­se di Santa Croce, e non il contrario co­me finora ritenuto (cfr. paragrafo precedente). Al momento della ricostruzione del Sedile, il pilastro destro del Sedile precedente (alla cui base è stata ritrovata la data del 1582) fu conser­vato per necessità strutturali e per­ché questa era evidentemente la solu­zione più rapida ed economica.
La chiesetta di S.Marco fu quindi addossata al vecchio Sedile (e non il nuovo costruito a fianco ad essa come sino ad oggi ritenuto) e molto probabilmente non fu costruita in un unico tempo.

La colonna di Sant'Oronzo


Fu eretta per volontà della cittadinanza nel 1681, come ex-voto dopo la funesta epidemia di peste che aveva colpito la città nel 1656. L'architetto barocco Giuseppe Zimbalo reimpiegò il fusto in marmo cipollino d'Africa dell'antichissima colonna che segnava, insieme a una sua gemella, la fine dell'antica via Appia presso il porto di Brindisi.
Nel 1684 giunse a Lecce la statua di Sant’Oronzo di rame, fusa a Venezia, che fu posta sulla sommità della colonna. Nel 1737 durante i festeggiamenti in onore del Patrono, un dei fuochi d’artificio andò a conficcarsi sotto il braccio della statua che, realizzata sostanzialmente in legno ricoperto di rame, prese fuoco e si sgretolò rapidamente. La testa del santo, pur cadendo da quell’altezza, rimase intatta apparendo tale fatto un miracolo. Così la gente raccolse le ceneri e i tizzoni ritenendoli delle reliquie miracolose. Il giorno dopo la testa della statua fu esposta nel Sedile e la gente numerosa si recò in adorazione.
Due anni dopo fu posta in opera la nuova statua, sempre fusa a Venezia.

L'Anfiteatro romano

Trasformato in fortezza in epoca medioevale, rimase successivamente completamente interrato fino ai primi del '900, quando venne riscoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d'Italia.
Ne è stato riportato alla luce circa un terzo, perchè sulla parte non scavata insistono importanti edifici.
 
Presentava una cavea a pianta ellissoidale che misurava circa 100 metri sul diametro maggiore e 83 su quello minore e poteva ospitare circa 25.000 spettatori. E' generalmente considerato di età traiano-adrianea (II sec), anche se non si può escludere una datazione più antica dell'edificio che potrebbe essere stato soltanto restaurato e rinnovato nel periodo indicato.
E' in parte scavato in un banco tufaceo ed in parte eretto su imponenti arcate di sostruzione.
Il perimetro esterno è delimitato da pilastri pressochè quadrati che presentano una lesena sulla faccia esterna. Sui pilastri s'impostano arcate a tutto sesto e attraverso questi fornici si accede all'ambulacro esterno coperto da una volta a botte la cui chiave è posta a circa 6 metri di altezza.

L'ambulacro esterno

Dall'ambulacro esterno comode rampe di discesa ad ampi gradoni introducono all'ambulacro interno – la cui volta a botte è alta alla chiave circa 4 metri – da cui delle scale si aprono in forma di vomitoria (ne sono attualmente visibili sette) nel parapetto (balteus) che separa l'ima dalla media cavea. Della parte più alta della cavea (summa cavea), a cui esternamente corrispondeva un secondo ordine di fornici e che probabilmente culminava con una galleria colonnata, non è purtroppo rimasta traccia.


I due ingressi principali – uno dei quali portato alla luce - erano posti alle estremità dell'asse maggiore del'ellisse ed introducevano all'arena per mezzo di un ampio corridoio.
L'arena è separata dalla cavea da un muro abbastanza alto decorato sul parapetto da fregi marmorei che raffigurano scene di combattimento fra uomo e animale (venationes).

Particolare del fregio marmoreo: un gladiatore armato di gladio affronta un leone

Nel Museo Castromediano di Lecce si conserva inoltre una statua di Atena Hephasteia (*), replica di un originale greco del V secolo a.C., proveniente dall'anfiteatro.

(*) Il tipo dell'Atena Hephasteia prende il nome dalla statua vista da Pausania (II secolo) nel tempio di Efesto (Hephaisteion) ad Atene ed attribuita ad Alcamene (seconda metà del V secolo a.C.). E' caratterizzato dalla cesta contenente Erittonio – frutto dell'amore tra Atena ed Efesto - che la dea tiene in braccio.







venerdì 25 settembre 2015

Le Centopietre, Patù

Le Centopietre, Patù


L'edificio detto delle Centopietre sorge nella zona ovest dell’abitato di Patù, in prossimità di piazza Marco Pedone e a una decina di metri dalla chiesa di San Giovanni Battista.
La costruzione si presenta come un parallelepipedo (con i lati rispettivamente di 7,25 e di 5,50 metri e l’altezza di 2,20 metri), con l'asse maggiore orientato in direzione NS, composto da enormi blocchi squadrati connessi a secco e inframezzati da inserimenti di colonne, capitelli ed altri elementi architettonici, probabilmente di recupero.
La copertura è formata da un tetto a doppio spiovente di 26 lastre tufacee megalitiche di m 2,40 l’una.
All'interno l'architrave che sostiene i lastroni di copertura è composta da tre blocchi parallelepipedi che poggiano su due colonne che dividono lo spazio interno in due navate.


Spicca il contrasto tra l'accurata fattura dei blocchi dell'architrave che, laddove l'intonacatura è caduta, rivelano la presenza di un fregio a metope e triglifi, e la rozzezza dei blocchi che formano le pareti ed il tetto.

Particolare del fregio dell'architrave

La porta che si apre sul lato meridionale costituisce probabilmente l'ingresso originario, mentre quella che si apre sul lato orientale sembra esser stata aperta successivamente scavando col piccone i blocchi di pietra.
L'edificio sembra essere stato costruito in epoca altomedievale (VIII-IX secolo) riutilizzando materiali provenienti da edifici preesistenti dell'antica Vereto.

Secondo la tradizione locale, l'edificio sarebbe stato eretto come sepolcro del cavaliere Geminiano. Tra l'875 e l'877, negli anni in cui fu re d'Italia, Carlo II detto il Calvo, su richiesta di papa Giovanni VIII, sarebbe sceso nel Salento con un esercito per contrastare la penetrazione araba. Dopo una serie di scaramucce, Geminiano sarebbe stato inviato per trattare una tregua nel campo nemico dove sarebbe stato catturato e trucidato. L'indomani, il 24 di giugno, festa di San Giovanni Battista, si sarebbe svolta nella località detta Campo Re una cruenta battaglia, nel corso della quale i cristiani avrebbero recuperato le spoglie dello sfortunato cavaliere e successivamente avrebbero quindi eretto l'edificio per tumularlo. Nei secoli successivi, sarebbe avvenuta la trasformazione del sepolcro in chiesa.
Di tutta questa storia, a partire dalla supposta spedizione in Salento di Carlo il Calvo, non c'è però alcuna traccia nelle fonti scritte.
Una cinquantina di tombe terragne sono però state rinvenute in una campagna di scavo condotta dal Prandi negli anni Cinquanta dentro e in prossimità del complesso e nel fondo adiacente, che ancora porta la denominazione di Campo Re, cinque delle quali, scavate nella roccia, sono tuttora visibili.
Un'altra ipotesi identifica nell'edificio un'antica laura basiliana, trasformata successivamente in oratorio e quindi decorata con pitture murali.
Nella sua Guida ai luoghi misteriosi d'Italia (Edizioni Piemme, 1996) infine, Cordier riporta una ipotesi raccolta in loco secondo la quale la costruzione sarebbe una delle più antiche della Magna Grecia, originariamente consacrata al dio Sole, sarebbe stata assorbita dal culto cristiano soltanto nel X secolo e dedicata a San Gimignano. Il culto solare si sarebbe perpetuato anche in epoca cristiana con la costruzione nello stesso sito della chiesa dedicata a San Giovanni Battista, la cui festa ricorre il 24 giugno in coincidenza con il solstizio d’estate.  

Affreschi:

All'interno dell'edificio, la Falla Castelfranchi ha rilevato nella decorazione parietale, anche se siamo di fronte a tracce ormai decisamente evanescenti, la stesura di 3 strati pittorici, il più antico dei quali riferibile al XIII secolo.
Si tratta di un ciclo di istanza votiva, tipico della decorazione degli ambienti rupestri: l’unica scena cristologica distinguibile è una Crocefissione posta sul muro nord e riferibile allo strato pittorico più tardo; allo stesso strato è riconducibile un san Giorgio presente sullo stesso muro settentrionale ma nella navata occidentale.

Frammento della mano e del braccio destro del Cristo nella Crocefissione
sul muro settentrionale

Le impronte pittoriche più chiare sono ubicate lungo la parete occidentale, con una teoria di tredici di santi inquadrati da arcatelle rette da colonnine: sono riconoscibili san Basilio, un probabile santo monaco e un gruppo di cinque sante, tra cui Lucia e Tecla; un’altra santa sembrerebbe somigliare a santa Caterina.

 
 
Parete occidentale: Tre santi
 
 
Parete occidentale: Il gruppo delle sante
 
Sulla stessa parete occidentale, ma in prossimità dell’innesto con il muro meridionale, è probabilmente dipinto San Giuliano con la sua tipica lunga capigliatura.
Alba Medea, nel 1939, ha potuto ancora individuare, sempre sulla parete occidentale, tracce di una Madonna che tiene in braccio il Bambino da un lato e di un'altra Madonna con il Bambino, di fronte. Quest'ultima, con le mani protese, potrebbe essere la Sant' Anna vista dal Diehl (1), rappresentata seduta in trono con la Vergine sulle ginocchia che porta a sua volta il Bambino e considerata “sia per la rarità del tema iconografico sia per la qualità dell'esecuzione che deve risalire all'XI secolo” di particolare importanza (A. Medea, Gli affreschi nelle cripte eremitiche pugliesi, 1939, pagg. 271-272).

Note:

(1) C. Diehl, L'art Byzantine dans l'Italie meridionale, Parigi, 1894, pag.87.


sabato 19 settembre 2015

La chiesa di San Pietro, Otranto

La chiesa di San Pietro, Otranto


Una leggenda vuole la chiesa legata al passaggio da Otranto dell'apostolo Pietro in viaggio verso Roma. Secondo alcune fonti sarebbe inoltre stata la prima sede della cattedra vescovile idruntina.
Ha una pianta a croce greca inscritta quasi quadrata ed è presumibilmente databile tra la fine del IX e la metà del X secolo, comunque molto prima della conquista normanna della città (1068).
In origine presentava anche un ingresso laterale ubicato sulla destra al quale era addossata una struttura absidata (costruito non molto tempo dopo l'edificio originario) in funzione di parekklesion.
Il santuario è tripartito con absidi semicircolari aggettanti all'esterno. La cupola centrale – priva di tamburo - è impostata su quattro colonne ed è traforata da quattro aperture (modificate in età barocca). Il pulvino è ricavato semplicemente scolpendo le estremità delle arcate sovrastanti, dando comunque slancio alle colonne.

La decorazione parietale originaria sopravvive soltanto nella volta della prothesis nelle scene dell'Ultima cena e della Lavanda dei piedi e, forse, nelle due figure superstiti degli evangelisti raffigurati nei pennacchi della cupola.
Ultima cena: da notare la prospettiva gerarchica, le proporzioni delle figure diminuiscono di grandezza a partire dal Cristo fino a Giuda che è quella più piccola ed il parapetasma – la tenda attorcigliata al bastone - che fa da sfondo alla scena.

L'Ultima cena

Lavanda dei piedi: l'iscrizione in caratteri greci riporta – pur con molti errori – il passo di Giovanni (XII, 8-9): Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!» Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!».
Da notare l'apostolo rannicchiato a terra come se si stesse slacciando i calzari.

La Lavanda dei piedi
 
Secondo alcuni studiosi questi affreschi mostrerebbero delle forti affinità stilistiche con quelli realizzati dal pittore Teofilatto nella cripta di Santa Cristina a Carpignano (959).

La vergogna dopo il peccato: nell'imbotte del braccio settentrionale della croce è raffigurato in forma abbreviata il ciclo della Genesi. L'albero con il serpente attorcigliato allude all'antefatto della scena della Vergogna dopo il peccato, con i Progenitori nudi davanti a Dio padre, che è invece rappresentata per esteso.

 
Battesimo: è rappresentato nell'imbotte del braccio meridionale. Cristo è dritto quasi fosse in croce (prefigurazione della morte e resurrezione) mentre la figura del Battista, oggi scomparsa, doveva probabilmente trovarsi a sinistra del Cristo. Gli angeli hanno le mani velate del velo omerale (la stola liturgica che copre spalle e braccia e che il sacerdote usa quando benedice il popolo con il Santissimo a significare l'impossibilità di toccare con mani impure ciò che è santo).
 
 
Secondo la Falla Castelfranchi questi affreschi sarebbero riconducibili allo stile comneno del tardo XII secolo (1).

Nel catino absidale è dipinta la Vergine in posizione di orante che tiene il Bambino benedicente tra le ginocchia ed è affiancata da due angeli inginocchiati. L'affresco è da attribuire al 1540, come recita la data dipinta sotto di esso, ma ripete probabilmente uno schema iconografico già presente in precedenza. Dunque non una Theotokos, cioè una Vergine con Bambino, bensì un’orante: questa precisa scelta va forse posta in relazione alla presenza di un’icona della Vergine attestata dalla fine dell’XI sec. nelle Vite di S.Nicola Pellegrino che, a giudicare da un sigillo dell’arcivescovo di Otranto, Gionata, lo stesso menzionato nel celebre pavimento musivo della cattedrale, presentava probabilmente l’immagine di una Vergine orante, iconografia mariana d’origine paleocristiana che ebbe grande fortuna anche in epoca mediobizantina.


Lungo l'arco absidale scorre un'iscrizione in caratteri pseudo cufici bianchi su fondo azzurro lapislazzuli (2). Ai lati dell'abside, ricoperti da strati di pittura più recente, si notano i resti dell'Annunciazione che apriva il ciclo cristologico.

Parete ed emivolta sinistra del bema
 
Sulla parete sinistra del bema è raffigurata l'Anastasis e sui due versanti della volta gli Apostoli a gruppi di sei per lato (raffigurazione della Pentecoste?). Sulla parete destra del bema, molto deteriorata, è raffigurata la scena della Natività.
Questi affreschi mostrerebbero l’adesione ai canoni della pittura bizantina d’epoca paleologa, in particolare, secondo la Falla Castelfranchi (La Chiesa di san Pietro ad Otranto, in Puglia preromanica: dal V secolo agli inizi dell'XI, pagg. 181-192, Milano 2004) la supposta Pentecoste, con le sue figure monumentali avviluppate in panneggi volumetrici antichizzanti, presenterebbe significative assonanze con il celebre ciclo di affreschi del monastero della SS. Trinità di Sopočani in Serbia (1265).

A sn. gli Apostoli dipinti nella chiesa di San Pietro, a ds., particolare della Dormizione della Vergine dipinta nella chiesa di Sopočani
 

Note:
 
(1) Questa fase tardocomnena della decorazione parietale potrebbe essere attribuita ad un pittore idruntino, Paolo, di cui riporta significative notizie un carme di Nicola-Nettario, il celebre igumeno (1220-35 ca.) del monastero bizantino di S.Nicola di Casole, ubicato a breve distanza dalla città, che aveva dipinto la phiale (fontana liturgica posta nell’atrio) di uno dei più importanti monasteri di Costantinopoli, quello della Theotokos Evergetis, intorno al 1200.

(2) L'iscrizione, rimasta leggibile solo in parte, non sembra comunque avere un senso compiuto ma soltanto un mero valore decorativo (cfr. Franco dell'Aquila, Il cufico in Puglia).



sabato 12 settembre 2015

La chiesa di Santa Marina, Muro leccese

La chiesa di Santa Marina, Muro leccese


La chiesa di Santa Marina venne eretta poco fuori dall’originaria cinta muraria di età messapica - riutilizzando i suoi stessi grossi blocchi di pietra calcarea - presumibilmente tra l'VIII ed il IX secolo.
Presenta attualmente sulla facciata occidentale un portale centrale decorato da un arco sormontato da una lunetta, una tempo probabilmente affrescata, e sopra di essa una cornice rettangolare che inquadra uno spazio in muratura liscia destinato nel ‘500, probabilmente, ad ospitare un’epigrafe o un bassorilievo. Nella stessa epoca venne aggiunto un campanile a vela in stile romanico. Sul lato orientale l’abside semicircolare e aggettante presenta una bifora divisa da un capitello a stampella su cui è scolpita una croce.


Un tempo, sui fianchi della chiesa erano ricavati due portichetti accoppiati che fungevano da accessi laterali, la cui presenza è tuttora testimoniato dai resti delle doppie arcate tamponate nel corso del X secolo.


A seguito della chiusura di queste arcate, sulle pareti interne si dispiegarono e si sovrapposero nuovi affreschi di Santi mentre alla facciata originaria della chiesa venne addossato un nuovo corpo di fabbrica così come si rileva da due cesure poste sulle fiancate esterne meridionale e settentrionale.
Contemporaneamente sulla facciata esterna sono ricavate anche due piccole finestrelle centinate e accoppiate poi chiuse e tamponate nel corso del XVI sec. Il nuovo ambiente che si crea, quindi, funge da vestibolo e anche in quest’area è ben visibile la sovrapposizione d’immagini su due strati di intonaco differenti.
La creazione del vestibolo davanti alla muratura dell’entrata originaria fa pensare ad un adeguamento della chiesa a katholikon di un monastero essendo il vestibolo un ambiente tipico delle strutture monastiche medio bizantine. Ipotesi supportata anche dalla raffigurazione nei sottarchi dei santi eremiti (S.Onorio e S.Macario nel primo sottarco; S.Antonio Abate ed un santo non identificato nel secondo).
 
La navata è coperta da una volta a botte che sostituisce l’originario tetto a doppia falda, come è osservabile esternamente dalla forma assunta dalla facciata absidale, con capriate in legno ricoperte da canne ed embrici.
Attorno all’XI sec. i cenni di cedimento della volta determinarono l’inserimento di tre spessi arconi trasversali di sostegno nell’aula e di uno nel vestibolo.

Affreschi:
Soltanto attorno al X sec. le pareti interne della chiesa vennero completamente ricoperte di affreschi mentre non c’è alcuna traccia di un impianto pittorico precedente o coevo alla fondazione dell'edificio. Questo ha fatto pensare che all'epoca della sua fondazione, la chiesa fosse in uso ad una comunità di stretta osservanza iconoclasta, ipotesi suffragata anche dalla presenza di una croce dipinta in rosso sulla parete settentrionale, frequente nella decorazione aniconica del periodo iconoclasta.

La croce dipinta sulla parete settentrionale

Nel vestibolo si distinguono alcune immagini frammentarie di Santi, riferibili al X secolo, tra i quali un San Giovanni Battista, identificato da un rotolo retto con la mano sinistra dove si legge in greco “io voce di uno che grida nel deserto”, e un San Giorgio a cavallo nell’atto di trafiggere il drago. Mentre S.Antonio Abate (nelle vesti di monaco ospitaliero e non in quelle di eremita come nella tradizione bizantina) e San Vito risalgono al XV secolo. Le due Madonne con Bambino dipinte nella parte destra del vestibolo sono invece opere settecentesche.

S.Antonio Abate, XV secolo

Recenti restauri hanno reso possibile l’individuazione e la decifrazione, sugli archi della navata, di un ciclo pittorico relativo ai temi della Vita e dei Miracoli di San Nicola di Myra.
Precisamente si tratta di quattro affreschi campiti negli archi che, solo parzialmente conservati e di difficilissima lettura, costituiscono quasi certamente solo una porzione di un ciclo agiografico più complesso.
Nel primo affresco, campito nel primo arco di sinistra e in parte obliterato da un rinforzo strutturale tardo, si osserva l'ordinazione di San Nicola a diacono.

San Nicola giovane viene ordinato diacono
 
Nel secondo, sul secondo arco di destra, alcuni particolari come un remo di nave e il volto del Santo su di essa, fanno pensare all'apparizione del Santo sulla chiglia di un’imbarcazione che salverà da una furiosa tempesta assieme all’equipaggio.
 
S'intravedono la chiglia della barca ed un remo
 
Il terzo affresco, ubicato sull’arco successivo al precedente, raffigura una scena frammentaria riferibile presumibilmente alla storia del Santo che abbatte, nella città di Plakoma in Licia, un cipresso infestato da demoni che causavano la morte di chiunque si avvicinasse.
Il quarto ed ultimo si trova nella parte opposta al secondo arco di destra e qui si nota una scena, anche questa in parte occultata da un rinforzo strutturale tardo, dove alla destra di San Nicola c’è un edificio distrutto. Quest’ultimo elemento fa supporre che la scena si riferisca all’episodio nel quale si narra della grazia ricevuta da tre generali bizantini. L'episodio, narrato da Eustrazio (VI sec), racconta che tre generali, Urso, Erpilione e Nepoziano erano stati ingiustamente condannati a morte dall'imperatore Costantino il grande. S.Nicola apparve in sogno all'imperatore e gli ingiunse di liberare i tre uomini.

Tra il secondo ed il terzo arco della parete destra verso l’abside è infine raffigurato parte di un trono gemmato oltre a un paio di piedi calzati da sandali e, più a destra, anche una donna dai capelli lunghi, coronata e inginocchiata ai piedi di un Cristo in trono.
La Falla Castelfranchi interpreta la figura femminile come quella dell'imperatrice Zoe – molto devota a San Nicola di cui fece restaurare il santuario di Myra – che avrebbe fatto realizzare il ciclo agiografico in onore del Santo in ringraziamento per la protezione accordata durante il tentativo di usurpazione di Giorgio Maniace (1043). (1)


Una analisi ravvicinata rivela però che la figura femminile non indossa abiti imperiali, men che meno una corona, che sembra, invece, di poter interpretare come una ricercata acconciatura dei capelli raccolta in una reticella; inoltre, l’abito imperiale è sempre raffigurato tempestato di gioielli e non prevede una semplice cintura di pelle nel girovita, come nell’affresco in oggetto; oltretutto, la scollatura e le maniche perlinate, corredate cioè da bottoni, non sono ammissibili prima del XIII secolo.

L'Ascensione

Sulla controfacciata è dipinta l'Ascensione, con il Cristo avvolto da una mandorla che sovrasta la Vergine affiancata da un gruppo di santi. Sulla sinistra santa Barbara identificata dalla didascalia.

Abside: Tra la fine del IX e i primi del X sec. venne ridotta la primitiva struttura absidale, che ospita tuttora l’altare in pietra, e contemporaneamente venne decorata con le figure di otto santi vescovi tra i quali si distinguono i Padri della Chiesa San Basilio, San Gregorio Nazianzeno e San Giovanni Crisostomo. Molto probabilmente nel catino era dipinta la Theotokos con il Bambino affiancata dagli Arcangeli. 
Nel tardo Rinascimento questa parte dell’abside viene coperta da un nuovo strato di intonaco e le
decorazioni pittoriche perdono definitivamente quello stile bizantineggiante originario che oggi riemerge proprio sulla parete absidale dove sono visibili ancora le figure di due Santi diaconi.
 
Abside
In basso, al di sotto dello strato di epoca rinascimentale, emergono le figure dei Padri della Chiesa dipinte nel X secolo 

San Basilio, X secolo.
 
La centralità del ciclo nicolaiano nell'impianto decorativo della chiesa fa supporre che la titolazione a Santa Marina sia subentrata nel tempo – all'incirca verso la seconda metà del Cinquecento - a quella originaria al santo di Myra, con la quale la chiesa figura citata nelle più antiche visite pastorali. 

Note:

(1) Secondo questa ipotesi interpretativa il ciclo precederebbe quindi di circa quarant'anni la traslazione a Bari delle spoglie del santo (1087). Per il tentativo di usurpazione di Giorgio Maniace cfr. Catepanato d'Italia, nota 2.
 

La masseria di Celsorizzo (Acquarica del Capo)

La masseria di Celsorizzo (Acquarica del Capo)


La monumentale torre, alta 25 m. (considerando la torretta) e databile al tardo Trecento, che svetta sull'intero complesso fu inglobata nella masseria costruita verso la metà del XVI secolo. A pianta quadrata, è provvista su tutti i lati di feritoie e caditoie. In un rogito del 1615 il complesso compare comunque come semplice feudo ad indicare che non era più considerato un fortilizio.

La cappella di San Nicola
Nella scarpa della base della torre è contenuta una piccola cappella dedicata a San Nicola preesistente alla torre stessa. Risale infatti al 1283 e fu fatta edificare dal feudatario Ioannes de Ogento come risulta dall'iscrizione presente nella controfacciata:

Nell’anno 1283 dall’incarnazione del Signore, sotto il regno del nostro illustrissimo signore Carlo (D’Angiò) re di Gerusalemme e Sicilia nel mese di aprile, Giovanni de Ogento, signore del casale di Cicivitio, con la sign… per dono e beneficio della sua anima e di quella dei suoi parenti, ha fatto costruire e dipingere questa “basilica” in onore di Dio e del beato Nicola vescovo glorioso confessore, dipinto per mano di N. Melitino e Nicola …” (1)


All'interno, nell'unica abside, è dipinto il Cristo Pantokrator, al di sotto del quale si distinguono, separati dalla monofora centrale, S.Basilio (a sn.) e S.Giovanni Crisostomo (a ds.).
Il taglio alto e verticale della monofora che si apre nel cilindro absidale, ha conseguentemente ridotto lo spazio destinato al catino: il Cristo Pantokrator in alto dunque, benedicente alla greca con la mano destra mentre nella sinistra tiene un vangelo aperto dove è scritto in latino - Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre (Giovanni VIII, 12) - risulta essere come schiacciato.
Sempre sulla parete est, al di sopra dell’abside, è campito il Cristo in una mandorla portato in gloria da angeli e attorniato dai Quattro Viventi (Tetramorfo) mentre ai lati dell’abside, sulla parete nord, è visibile la scena dell’Annunciazione, la prima delle scene delciclo cristologico che poi si dipana nel registro superiore.
Nel registro superiore della parete sud, la prima scena identificabile è quella della Natività, seguono
la Presentazione al tempio, il Battesimo e la Trasfigurazione; di quest’ultima scena si notano benissimo le figure di san Pietro e sant’Elia, in quanto un tempo coperte dall’arco di sostegno posticcio (2).

Presentazione di Gesù al Tempio

Nel registro inferiore della parete sud, ripartendo dall'abside, troviamo un santo diacono con turibolo e vangelo, identificato come santo Stefano; segue, dopo la piccola finestra, un altro santo diacono con turibolo e con pisside. A seguire, sotto un arco trilobato che conferisce a questo pannello il giusto risalto, un viso della Madonna leggermente reclinato a destra: è una Vergine in trono, presumibilmente recante il Bambino. Dopo l’attuale porta d’ingresso, figure di santi tra cui san Vincenzo (riconoscibile solo dall’iscrizione esegetica) e una santa, per la cui identificazione è stata proposta Agata.
Nella parete ovest, in basso, notiamo il frammento superiore di san Giorgio, riconoscibile grazie all’iscrizione esegetica. Nella rientranza, una Vergine col capo reclinato, mentre sopra l’ingresso tamponato compare l’iscrizione dedicatoria già richiamata. Sulla stessa parete, nel registro superiore, proseguono le scene del Dodekaorton, ma la loro leggibilità è a dir poco difficile. Probabile l’identificazione della Resurrezione di Lazzaro (proposta dal Marino), a cui fa seguito l’Ingresso a Gerusalemme.

L'Ultima cena


Lungo la parete nord, partendo da ovest, sul registro superiore si susseguono le altre scene del ciclo cristologico. L’ultima cena
, un frammento riconoscibilissimo per il suo buon stato di conservazione nel settore un tempo coperto dall’arco. Si leggono le lettere “O Mystikos deipnos” sopra una basilica che fa da quinta architettonica alla scena. Nella parte superstite, i volti dei santi sono identificabili grazie alle lettere identificative: IA sta per Giacomo il Maggiore, Θω sta per Tommaso e CI per Simone Zelota. Sulla tavola imbandita, delle ceste con dei pesci, pagnotte, un tripode e un coltello con manico nero che ricorda il coltello utilizzato nella liturgia bizantina per la prosphorà (offerta del pane).


L'Ultima cena (particolare dei tre apostoli rimasti)

Seguono il Tradimento di Giuda (in stato di degrado avanzatissimo), la Crocefissione e l’Anastasis.

Il Tradimento di Giuda

Nel registro inferiore, ripartendo dal lato occidentale si susseguono: un santo che monta un cavallo loricato riccamente bardato in rosso ed in presenza di una bandiera rossocrociata - che l'iscrizione identifica in S.Ippolito - segue, scarsamente visibile, San Nicola e quindi i SS. Cosma e Damiano (3).
Gli archi di sostegno della volta – rimossi nel corso del restauro della chiesa - furono molto probabilmente aggiunti dopo la costruzione della torre soprastante.

Torre colombaia
 
La torre colombaia
L'adiacente torre colombaia, a pianta circolare, fu fatta edificare nel 1550 dal feudatario Fabrizio Guarino come si evince dallo stemma e da un'iscrizione sulla porta d'ingresso:

FABRICIUS GUARINUS COLUMBARIUM HOC FRUCTUS AUCUPANDIQUE CAUSS CONSTRUXIT SIBI SUIS AMICISQUE ANNO DOMINI MDL
(Fabrizio Guarino fece costruire questa colombaia per sé e per i suoi amici per diletto di caccia nell’anno del Signore 1550).
 
 
Note:

(1) L'epigrafe è scritta in latino fuorchè per i nomi dei frescanti che sono scritti in greco. L'alternarsi delle due lingue nelle iscrizioni è una caratteristica della chiesa a sottolineare la fase di transizione tra le due culture del periodo in cui venne edificata. Il toponimo di Cicivitio che figura nell'epigrafe è quello con cui era anche conosciuto il casale di Celsorizzo.

(2) Con la costruzione della torre sovrastante, la volta della cappella fu rinforzata con tre archi di scarico successivamente rimossi nel corso del restauro. In corrispondenza delle aree un tempo coperte da essi, si trovano i brani di affresco meglio conservati.


(3) Nella zona dove era campito il Sant'Ippolito compaiono, incisi a graffito diversi fiori a sei petali usualmente considerati segno della presenza dei Templari.

venerdì 11 settembre 2015

Chiesa della Madonna dei panetti, Celsorizzo (Acquarica del Capo)

Chiesa della Madonna dei panetti, Celsorizzo (Acquarica del Capo)


E’ una costruzione riferibile originariamente al XII secolo, sebbene tradizioni differenti la attestino già presente nel X sec. Ha forma quadrangolare e non presenta navate all’interno, mentre sul lato orientale si aprono due absidi affrescate, parte restante di una decorazione pittorica che doveva coinvolgere l’intera superficie muraria.
Planimetria. In neretto le parti ricostruite dopo il crollo del XVIII secolo

La presenza della doppia abside che caratterizza l'edificio potrebbe essere funzionale alla politica di integrazione religiosa intrapresa dai normanni, essendo destinati ad ospitare rispettivamente la funzione latina e quella greca. In questa chiave, un'interpretazione della denominazione della chiesa la vuole derivare dal termine greco panellenios, mentre un'altra la connette invece ad una tradizione locale di distribuire gratuitamente ai poveri il pane il giorno della Madonna dell'Assunta (15 agosto).
Secondo alcune ipotesi recentemente avanzate, la chiesa in passato doveva occupare una superficie maggiore rispetto a quella attuale, protendendosi in direzione Ovest, e presentando probabilmente una doppia navata. Quello che resta allo stato attuale è frutto della ricostruzione compiuta dopo il crollo di inizio XVIII sec.
Infine, per il Sigliuzzo, la chiesa è la naturale sostituzione di un luogo di culto interrato ad essa preesistente e che dovrebbe corrispondere all’attuale frantoio ipogeo che si trova nei pressi.

Affreschi:

L'abside settentrionale presenta nella conca san Giovanni Battista che tiene nella sinistra un cartiglio con la scritta in greco io voce che grida nel deserto. Nel cilindro absidale, due figure meno identificabili, una delle quali probabilmente una Madonna con Bambino.
 
Abside settentrionale
 
Un palinsesto pittorico più tardo che copre quasi completamente gli affreschi più antichi informa anche l’abside meridionale, dove si intravede una figura in trono sulla quale furono, poi, sovrapposti altri dipinti. Lo strato più tardo risale alla seconda metà del XVII secolo. In alto Dio Padre con una mano benedicente e con l’altra che regge il globo crucifero; in basso, tre figure, sempre databili alla fase seicentesca: a sinistra un francescano con nella mano destra il giglio e nella sinistra un libro. La figura centrale campita dopo la tamponatura della monofora, è di difficile identificazione; di impegnativa identificazione anche la figura affrescata a destra, un santo vescovo giovane con un cingolo in vista. Sottostante il padre Eterno, nella calotta, si intravede uno strato più antico con una porzione del viso di una santa, in quanto indossa il maphorion.

Abside meridionale

Sulla parete Nord, nell’angolo di raccordo con il muro Ovest, si staglia una bella immagine di san Nicola, stante, rappresentato nei consueti abiti vescovili. Si tratta di un affresco riferibile forse agli inizi del XIII secolo.

Parete settentrionale con indicati i lacerti di affresco
 
Sulla stessa parete, si può riconoscere un frammentario ciclo nicolaiano riferibile forse alla seconda metà del XIII secolo. Di quest’ultimo si individua chiaramente san Nicola corredato da un’apposita iscrizione esegetica: O AG[IOC]NIK[OLAOC];egli è rivolto verso la sua destra, dove, evidentemente, erano rappresentati due astanti dei quali si leggono soltanto i nomi: OURCOC (Urso) e NEPOTIANOC (Nepoziano), che sono quelli di due dei tre generali condannati a morte da Costantino il grande che il santo fece graziare e liberare apparendo in sogno all'imperatore. 

San Nicola