giovedì 28 agosto 2014

Acerenza

Acerenza

La Cattedrale di S.Maria Assunta e S.Canio



La Cattedrale di Acerenza, così come la vediamo oggi, insiste su una precedente chiesa paleocristiana, a sua volta eretta sul luogo dove sorgeva il tempio dedicato ad Ercole Acheruntino. Qua e là sia all'interno che all'esterno, sono incastonati nella nuova fabbrica resti sia dell'antico tempio pagano che della primitiva Cattedrale.
Nella sua forma attuale venne fatta costruire da Roberto il Guiscardo, a margine del Concilio di Melfi del 1059 e del giuramento di fedeltà alla Chiesa mediato dal vescovo Godano: maestranze locali dirette da architetti francesi la realizzarono in stile romanico-clunyacense, conformemente all’indirizzo fornito dall’abate di Cluny Arnoldo che, designato Arcivescovo, nel 1080 la consacrò a santa Maria Assunta ed a san Canio, vescovo martire probabilmente di origini africane, le cui spoglie si ritengono essere tutt’ora presenti, seppur nascoste, all’interno della chiesa che ne custodisce anche, in un antico altare, il bastone, da sempre protagonista di episodi miracolosi.
Presenta una pianta a croce latina ed è lunga m. 69 e larga m. 23 con una crociera di m. 39 con 10 massicci pilastri, cinque per lato, 3 navate con transetto, tiburio ottagonale, 2 absidiole, coro con deambulatorio e 3 cappelle radiali disposte intorno all'abside centrale.




Esterno

Al centro della facciata si apre un elegante portale formato da due colonnine sorrette da scimmie unite a figure umane in atteggiamento osceno. Al di sopra dei capitelli due sfingi sorreggono sulle spalle un arco giunto a noi mutilo, ma che doveva essere formato da una teoria di angeli, come appare da due frammenti a sinistra dell'arco e da altri conservati nel piccolo museo dell'opera.
Mancano, sotto le colonnine, i due leoni di pietra che certamente c'erano all'origine: uno è stato messo di recente in cima all'angolo sinistro della facciata, l'altro è stato scoperto, mutilo ma ancora leggibile, murato all'esterno di una casa di via Santa Sofia.
 
 
Sul vertice della facciata una croce marmorea di recente fattura ha sostituito il supposto busto dell'imperatore Giuliano l'Apostata (1) – che vi era stato collocato in quanto erroneamente attribuito a San Canio - oggi conservato nel museo dell'opera.
Gli spioventi del prospetto principale, sul quale si apre anche un grande rosone al di sotto del quale è incassato lo stemma della famiglia Ferrillo-Balsa, si interrompono sul lato destro con l’innesto di una torre campanaria voluta dal cardinale Saraceni e dalla nobile casata dei Ferrillo, che finanziarono il rifacimento della chiesa seriamente danneggiata dal forte terremoto del 1456.


Il campanile è cartterizzato dalla presenza di belle monofore, di una finestra rettangolare e due stemmi: del Cardinale Giovanni Michele Saraceno e della città; un terzo stemma, quello dei Conti Ferrillo, è andato perduto ed al suo posto è rimasto un vuoto. Una scritta sotto lo stemma centrale, nel riquadro che lo contiene, dice: "Ioannes Michael Saracenus SS R E Presb. Card. Archiep. Ach. erontinus erectis. MDLV" (Giovanni Michele Saraceno, della Santa Romana Chiesa Cardinale e presbitero, Arcivescovo Acheruntino, eresse nell'anno 1555).


Tra il materiale utilizzato per la costruzione della torre campanaria compaiono anche frammenti di sarcofagi romani con volti di defunti togati e resti di un’ara funeraria decorata con amorini, un’erma e due crateri. (Nel busto di donna con la mano sul petto alcuni vorrebbero ritratta la dea Iside).


Interno


Nella navata di destra si trova il prezioso polittico della Madonna del Rosario, opera del pittore Antonio Stabile del 1583. La Vergine compare qui in trono con il Suo Bambino, tra i Santi Tommaso d’Aquino e Domenico, cui porge la corona. Circondata da riquadri con i Santi Misteri, l’immagine è sormontata da una Trinità. Le pareti del deambulatorio conservano affreschi del XVI secolo: si riconoscono una Madonna col bambino (qualcuno vorrebbe l’ignoto autore nella cerchia del Botticelli), un San Canio vescovo, mentre sbiadite grottesche si notano negli archi che fiancheggiano il presbiterio.
 

La cripta


Al di sotto del presbiterio si trova la cripta; completamente ristrutturata nel 1524 (come si deduce dalla data incisa nella pietra sotto il timpano dell'ingresso a cui si arriva tramite due brevi rampe a gradini) dal conte Giacomo Alfonso Ferrillo e dalla sua consorte Maria Balsa sul modello del succorpo del duomo di Napoli (1497-1506), consiste in un vano perfettamente quadrangolare suddiviso in tre navate da quattro colonne che poggiano su piedistalli.
All'ingresso della cripta si trovano due acquasantiere, su quella di destra sono incise le parole Si credis unda lavat, e all'interno sono scolpiti pesci e anguille (rimando alla forza purificatrice del Cristo).


La parete di fondo – che appare tamponata nei due comparti laterali dove, fino agli inizi del XX secolo si trovavano degli armadi per i reliquari – mostra al centro un abside quadrangolare entro cui è collocato un grande sarcofago marmoreo popolarmente noto come cassone di san Canio.
L’ingresso alla piccola abside appare visibilmente frutto di una risistemazione operata in epoca successiva:
1) mentre infatti lo stipite di sinistra è realizzato interamente in marmo di Carrara, quello di destra è formato da tre spezzoni di materiali diversi;
2) entrambi gli stipiti, e i semicapitelli che li coronano, risultano poi rimontati, analogamente a tutto il vano dell’abside in cui è inserito il grande sarcofago, vano che denuncia anch’esso vistosi rimaneggiamenti;
3) il piano di posa degli stipiti non è allineato, come ci si aspetterebbe, al bordo superiore dei piedistalli che tripartiscono la parete di fondo, ma è curiosamente più alto di circa 20 centimetri. Gli stipiti poggiano infatti su una sorta di davanzale – evidentemente riutilizzato a causa dell'altrimenti inspiegabile presenza di un piccolo rincasso di forma rettangolare – sostenuto da due mensoloni scanalati e, al centro, da una tozza colonnina, scanalata nel rocchio inferiore e rastremata nel tratto superiore, sormontata da un capitello a larghe foglie lisce: elementi, questi ultimi, che si direbbero realizzati in un'epoca piuttosto recente.

Le pareti laterali della cripta sono abbellite da 4 affreschi opera di Giovanni Todisco da Abriola:

1) S. Margherita (Marina) martire d’Antiochia vincitrice del demonio in forma di drago.
Secondo altri in quest'affresco sarebbe invece raffigurata la Donna dell'Apocalisse:
Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.
(Ap, XII, 1-9)



2) Adorazione dei Magi
Nel 1650 questo affresco fu ricoperto da un'altro raffigurante San Nicola. Fu riportato alla luce alla fine del XIX secolo.
 
3) Sant’Andrea.

4) S.Matteo
 
In seguito al rinvenimento di un libro del 1666, intitolato: Albero della Famiglia Dragona confidata, è stata analizzata la storia della famiglia dei conti Ferrillo-Balsa, Signori di Acerenza.
I Ferrillo erano nobili napoletani, insediatisi in Basilicata nel XV sec., quando Matteo Ferrillo ottenne dal Re di Napoli, Ferdinando D’Aragona, il titolo di Signore di Acerenza. Morto Matteo nel 1499, gli successe il figlio Giacomo Alfonso, che presto convolò a nozze con una principessa proveniente dai Balcani, di nome Maria Balsa (in qualche documento compare anche con il nome di Barsa) (2).
Le cronache descrivono Maria Balsa arrivata in Italia nel 1480 all’età di circa 7 anni, orfana, al seguito di Andronica (Donuka) Arianiti Comnena - la vedova dell’eroe albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, despota di Albania - e di suo figlio Giovanni giunti profughi alla corte del loro alleato - anche in virtù della comune appartenenza all'Ordine del drago (3) - il re di Napoli Ferrante (Ferdinando I) d’Aragona (1458-1494).
La bambina, indicata quale figlia di una sorella di Andronica Arianiti Commena, era stata salvata non si sa dove ed in quali circostanze dall’invasione turca dei Balcani. Le notizie su di lei sono comunque scarse e contraddittorie, la sua origine non viene specificata neppure nell'atto di matrimonio. Il cronista Terminio la descrive come figlia del despota di Serbia ed effettivamente una sorella di Andronica – Angelina – sposò Stefano III Brankovic che fu – seppure per pochi mesi (1458) – despota di Serbia ed ebbe da lui una figlia di nome Maria che però sposò Bonifacio III di Monferrato. Andronica avrebbe presentato Maria alla corte napoletana come figlia di sua sorella, sfruttando questa omonimia, per essere certa che le sarebbe stato concesso asilo giacchè Vlad III Draculea era stato scomunicato dalla Chiesa.

I sostenitori dell'ipotesi che Maria Balsa potrebbe essere la figlia di Vlad III Draculea adducono i seguenti elementi:
1) In un testo del 1531, redatto vivente Maria e con valenza giuridica e dinastica, nel quale dovendo dare atto dei possedimenti in dote alla figlia Beatrice, andata in sposa al Principe Ferdinando Orsini, vengono indicate delle proprietà in Romania.
2) Lo stemma dei Ferrillo incassato nella facciata principale della cattedrale è sormontato da un drago che deriverebbe dallo stemma di Vlad III e posto qui in posizione dominante a significare il più alto lignaggio di Maria Balsa.
Lo stemma dei Ferrillo incassato nella facciata della cattedrale.

La presenza del drago nello stemma di Vlad è notizia incerta, dato che non ci sono testimonianze lapidee di stemmi ma solo alcuni armoriali di Romania che per i Vlad descrivono un’insegna del tutto diversa. Ad ogni modo, quand’anche vi comparisse, il drago era all’epoca un elemento molto diffuso negli stemmi nobiliari e con connotazioni positive. Non solo, ciò che è più importante è che la presenza di un drago sovrastante a mo’ di cimiero, connota lo stemma degli stessi Ferrillo, come si vede nel sepolcro di Matteo Ferrillo (1499) nella chiesa di S. Maria La Nova a Napoli.
 
Sepolcro di Matteo Ferrillo, 1499, chiesa di S.Maria La Nova, Napoli
 
A ciò si aggiunga che – quella che viene interpretata come una testa di drago negli stemmi della famiglia Balsa riprodotti nella cripta – è molto più verosimilmente una testa di lupo. Una testa di lupo appare inoltre nelle insegne della famiglia Balsa (Balsic) del Montenegro, che secondo alcuni storici discenderebbe dai Del Balzo e fu presente anche in Albania accanto a Skanderbeg nella lotta contro i turchi (vedi nota 4). Sarebbero dunque i legami fra il condottiero albanese e il re aragonese di Napoli all’origine dell’accoglienza di Maria in Italia e non quelli fra Vlad e l’ordine del Drago.

3) Entrando nella cripta, in alto sulla sinistra, su un cornicione sul quale sono posti in successione e scolpiti sullo stesso livello (segno che si tratta di parenti) i profili della Balsa, di Ferrillo, e, sempre di profilo, ma opposto agli stessi un Signore dal volto a dir poco inquietante posto di spalle all’altare (come se avesse voltato le spalle a Dio).
 
 

Sono evidentissime le narici, il mento prominente, la fronte e perfino i denti.
Occorre notare che l’artista ha volutamente evidenziato questi elementi, tant’è che ha distorto il naso per mettere in risalto la dilatazione delle narici. E' però più probabile che - anzichè di un ritratto dell'Impalatore -  si tratti di quello di Matteo Ferrillo, padre del conte Giacomo Alfonso.
4) Sempre nella cripta, nell'affresco raffigurante l'Adorazione dei Magi, nell'uomo inginocchiato ai piedi della Vergine e del Bambino (Baldassarre, che fu il primo ad avvistare la cometa) andrebbe identificato Vlad per la presenza, poggiato in terra, del copricapo tempestato di perle che l'Impalatore era solito indossare. Nella figura della Vergine, sarebbe inoltre ritratta la stessa Maria Balsa , riconoscibile dal pendaglio a forma di stella con al centro un rubino che adornava il copricapo di Vlad a ricordare il fatto che il suo regno era iniziato in corrispondenza con il passaggio della cometa di Halley. Inoltre nel vaso della mirra offerto al Bambino sarebbero raffigurati due diavoli.
 


Negli altri due Re magi sarebbero ritratti rispettivamente il re d'Ungheria Mattia Corvino (1458-1490), identificato dal corvo che figura sull'elsa della sua spada, che indusse Dracula a convertirsi al Cristianesimo e lo stesso Ferdinando I d'Aragona, identificato dal toson d'oro che porta, emblema dell'omonimo ordine cavalleresco a cui aveva aderito.

In realtà la presenza di Baldassarre gioca un ruolo importante nella cripta di Acerenza perché la famiglia del Balzo, a cui secondo altra interpretazione sembra appartenere Maria Balsa, si riteneva discendente di Baldassarre re di Tartarìa che scelse l’immagine della cometa di Gesù come insegna, e così fecero anche i suoi discendenti. Ecco spiegata la stella a sedici punte presente nello stemma della Balsa e in vari altri punti della cripta (4).

5) S.Andrea e S.Giorgio – il primo raffigurato in un affresco e l'altro mentre uccide il drago sul basamento di una colonna della cripta – costituirebbero un altro riferimento alla Romania, di cui sono i santi patroni, estranei invece al culto locale.




La presenza dell’ immagine di S. Giorgio potrebbe giustificarsi con la diffusione in ambiente aristocratico del culto di S. Marina (Margherita) d’Antiochia, raffigurata anch’essa nella cripta e spesso confusa con la giovane principessa salvata dal santo cavaliere. Lo stesso dicasi per quanto concerne il S. Andrea dell’affresco sulla parete destra, il quale piuttosto che farci pensare alla Romania di cui è patrono, potrebbe qui rappresentare il primo apostolo che la Casa di Borgogna elesse suo protettore. Poiché però accanto ad Andrea compare anche un S. Matteo, è stato anche ipotizzato che i due affreschi siano stati un omaggio a Andrea Matteo Palmerio rettore della locale Archidiocesi fra il 1518 e 1528.

Note: 
 
(1) Il frammento di un'iscrizione dedicatoria, che si legge su di una pietra attualmente conservata ai piedi del busto nel museo dell'opera ma precedentemente reimpiegata nella costruzione del campanile dove è tuttora visibile il suo incasso vuoto, recita: "REPARATORI ORBIS ROMANI D.N. - CL. IULIANO AUG. AETERNO PRINCIPI - ORDO ACHERUT." (Al restauratore del Mondo Romano il nostro signore Claudio Giuliano Augusto Eterno Principe, l'Ordine Acheruntino).


 Secondo Lenormann questa pietra, insieme ad un'altra su cui si legge ancora la parola ULIAN e al busto dell'imperatore, apparterrebbero al basamento di un monumento fatto erigere in onore dell'imperatore Giuliano dal senato di Acerenza per ringraziarlo del ripristino del culto di Ercole Acheruntino – il cui tempio sorgeva sullo stesso sito su cui oggi insiste la cattedrale – che aveva rilanciato l'economia cittadina.
 
Già nel 1933 però Richard Delbrück (Spätantike Kaiserporträts) escluse che il busto potesse raffigurare Giuliano, spostando la datazione dell’opera al periodo medievale avanzato considerandola come un prodotto della plastica dell’Italia meridionale del XIII secolo, confrontabile con i busti capuani della Porta di Federico II.
Il busto fu collocato al vertice della facciata - probabilmente nel 1524 quando fu completato il restauro promosso dai Ferrillo-Balsa o, al più tardi, nel 1555 quando fu completata la ristrutturazione della torre campanaria - nel quadro di una serie di interventi di recupero e reimpiego di manufatti antichi riscontrabili in varie parti dell'edificio. Sulla base di tali presupposti, e in considerazione degli interessi antiquari del Ferrillo (comprovati dal Terminio e anche dalle scelte operate nella cripta), dell’analisi stilistica del busto, nonché dell’uso delle immagini di fondatori e benefattori laici nei prospetti delle chiese beneficate, uso attestato fin dal Medioevo, Luigi Todisco (cfr. Il busto di Acerenza, in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, Bari 1994, pp. 323-371) ha proposto in maniera convincente una datazione ancora più bassa suggerendo l'identificazione del busto con un ritratto dello stesso Giacomo Alfonso Ferrillo, nelle vesti ideali di un imperatore romano o di un miles Parthenopeius (titolo con cui è ricordato in un'epigrafe scolpita sul plinto della prima colonna a sinistra della cripta). Il busto sarebbe stato quindi realizzato ad hoc in epoca rinascimentale e posto al vertice della facciata per celebrare il conte Ferrillo in qualità di restauratore (rifondatore) della cattedrale.
 
 
A conferma della tesi sostenuta da Todisco, si osservino le similitudini tra il mascherone scolpito sulla spalla sinistra del busto (a ds.) e un elemento decorativo della trabeazione della cripta (a sn.). 

(2) Dal matrimonio nacquero due figlie, Beatrice ed Isabella; la prima andò in sposa al principe Ferdinando Orsini che, alla morte del conte Giacomo Alfonso Ferrillo (1530), ereditò il feudo di Acerenza.


(3) L’Ordine del Drago era stato fondato nel 1408 dal re d'Ungheria Sigismondo di Lussemburgo – il futuro Imperatore del Sacro romano impero - da Alfonso di Aragona, re di Napoli, dal padre di Skanderbeg, e infine da Vlad II Dracul, cui succederà Vlad III Draculea, detto l'Impalatore (Tepes) che ispirerà il personaggio del conte Dracula del romanzo di Stoker e che prenderà il nome proprio dall’adesione all’ordine e per l’aver adottato nel suo blasone il simbolo del Drago (Dracul).

(4) Lo stemma utilizzato da Maria Balsa nella cripta - un inquartato alle stelle a sedici punte e alle teste di lupo - è quello della famiglia montenegrina dei Balsic; somiglia però molto a quello dei Del Balzo - un inquartato ai corni da caccia e alle stelle a sedici punte - a suggerire una comune origine delle due famiglie.
 
Lo stemma dei Balsic riprodotto sul sarcofago nella cripta

Il castello

Posta su una rupe tufacea  che si erge tra il corso del Bradano e quello del suo affluente Fiumarella, vista dalla valle, Acerenza dà ancora oggi l'impressione di essere una fortezza inespugnabile.
Il castello vero e proprio si sviluppava tra gli attuali Largo Gianturco, via Giacinto Albini, via Vittorio Emanuele e Largo Gala, nel bel mezzo del paese. L'edificazione del complesso architettonico è opera dei Longobardi che, utilizzando la città come una roccaforte militare, costruirono, all’interno delle mura cittadine, un poderoso castello (1). La struttura architettonica presentava oltre al fabbricato del castello, numerose pertinenze. All’epoca, intorno alla fortezza, infatti, si sviluppava una complessa struttura urbana che accoglieva diverse attività artigianali e produttive al fine di assicurare e soddisfare gli indispensabili servizi primari, nonché necessari degli abitanti della città. Al di fuori di questo complesso architettonico, ma all’interno di questa piccola cittadella, furono costruiti in epoche successive alcuni palazzi nobiliari. Dall’aspetto imponente, il palazzo del Vescovado e il Palazzo Vosa, risalenti al XVIII secolo, fanno parte però, secondo alcuni, dell'impianto anteriore al dominio Longobardo che comprende anche, dalla parte dell'ex Seminario, la cappella di San Vincenzo. Attualmente, di questo castello resta soltanto una torre e le strutture del vecchio castello sono occupate dall'arcivescovado, dal seminario, e da altre strutture private.

La torre longobarda

Note:

(1) Nel 663, Acerenza, ritenuta dai Longobardi un caposaldo nevralgico per impedire all'armata di Costante II di dilagare nella valle del Bradano, forte della sua posizione e ben guidata dal comandante del presidio, resistette a due tentativi di assedio.







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