La guerra di San Saba fu combattuta tra
il 1255 e il 1270 tra la Repubblica di Venezia e la Repubblica di
Genova, per il controllo del commercio in Oriente. Il casus belli fu
il possesso del monastero di San Saba, nella città di Acri.
Tra il 1260 e il 1265 il conflitto si
estese all'Impero di Nicea e quindi al ricostituito Impero bizantino.Genova, pur essendo rimasta esclusa dalla spartizione dell'impero bizantino del 1204 – in cui i veneziani avevano fatto la parte del leone - possedeva tuttavia alcune colonie commerciali, in particolare nelle città costiere della Siria e della Palestina, dove, a seguito del sostegno fornito nel corso delle Crociate agli Stati d'Outremer aveva ricevuto numerosi quartieri.
Le due repubbliche possedevano entrambe due ampi
quartieri a San Giovanni d'Acri, capitale del Regno di Gerusalemme
dopo la caduta della città santa.
I quartieri acritani di Venezia (9) e Genova (14) con il forte di Mongioia (11)
Nel 1255 nacquero ad Acri dei contrasti tra
Veneziani e Genovesi per il possesso del Monastero di San Saba,
rivendicato da ambo le parti.
Il console genovese Simone Vento esibiva al Patriarca una lettera del Priore degli Ospitalieri che riconosceva alla Superba il possesso della chiesa e del monastero, ma il bailo veneziano Marco Giustinian era rientrato ad Acri recando una missiva dello stesso pontefice Alessandro IV, nella quale si riconoscevano i diritti veneziani.
Lo scoppio di risse in città tra le due fazioni e l'arrivo di una nave genovese che i Veneziani sostennero essere frutto di un atto di pirateria fecero infine infiammare la situazione già di per sé esplosiva.
Il console genovese Simone Vento esibiva al Patriarca una lettera del Priore degli Ospitalieri che riconosceva alla Superba il possesso della chiesa e del monastero, ma il bailo veneziano Marco Giustinian era rientrato ad Acri recando una missiva dello stesso pontefice Alessandro IV, nella quale si riconoscevano i diritti veneziani.
Lo scoppio di risse in città tra le due fazioni e l'arrivo di una nave genovese che i Veneziani sostennero essere frutto di un atto di pirateria fecero infine infiammare la situazione già di per sé esplosiva.
I Genovesi
attaccarono le navi veneziane presenti in porto, rivolgendosi poi
contro lo stesso quartiere veneto, che fu dato alle fiamme.
Venezia, informata dell'accaduto,
pretese riparazione da Genova, ma, non ricevendo soddisfazione,
strinse alleanza con Pisa e Marsiglia e le città della Provenza,
affidando al futuro doge Lorenzo Tiepolo il comando di una flotta per portare la
guerra nei mari del Levante.I Genovesi dal canto loro ottennero il sostegno del Re di Gerusalemme, del Re d'Armenia Aitone e del Signore di Tiro Filippo di Montfort.
Nel 1256, le navi veneziane piombarono
su Acri, forzarono il porto, spezzandone la catena che ne proteggeva
l'accesso, e distruggendo tutte le navi genovesi presenti, in breve
seguite dal quartiere genovese, che fu dato alle fiamme. Cadde infine
anche il castello, detto del Mongioia.
A questo punto, i genovesi chiesero ed
ottennero una tregua di due mesi.Ne approfittarono per far giungere dieci galee da Cipro, al comando di Paschetto Mallone e altre dalle altre colonie, mentre allo stesso modo i Veneziani facevano affluire rinforzi da Candia. Nello scontro che ne seguì nelle acque di Tiro i genovesi persero quattro navi, tra cui la stessa ammiraglia, mentre un'altra flotta veneta prendeva Mesembria e attaccava tutte le navi genovesi lungo la rotta per Costantinopoli.
Nel 1257 Genova fu scossa dalle lotte
interne che portarono al potere Guglielmo Boccanegra (1257-1262), il quale, nuovo
Capitano del Popolo, provvide ad inviare immediatamente una nuova
flotta in Oriente, al comando dell'anziano ammiraglio Rosso dalla
Turca. Venezia rispose inviando ad Acri venti galee al comando di
Paolo Falier e dieci al comando di Andrea Zeno, per unirsi alla
flotta del Tiepolo.
La nuova battaglia ebbe luogo il 24
giugno 1258, nelle acque di Acri: venticinque galee genovesi vennero
catturate, i magazzini e il quartiere genovese nuovamente
saccheggiati e distrutti.Sotto gli auspici di papa Alessandro IV si giunse infine alla tregua: i Genovesi accettarono di abbattere le fortificazioni del proprio quartiere in Acri e di rinunciare ai privilegi che avevano in quella città, ma quando il Patriarca di Gerusalemme pretese da Veneziani e Pisani la restituzione delle fortezze che essi possedevano in Acri, la guerra si riaccese.
In questa grande tavola, opera di Francesco Montemezzana (1540-1620), incassata nel soffitto della Sala dello Scrutinio nel Palazzo ducale di Venezia, è raffigurato l'imbarco del bottino sulle navi veneziane dopo il saccheggio del quartiere genovese del 1258. Sulla sinistra, sollevato da un paranco, si nota uno dei cosiddetti pilastri acritani, perché all'epoca in cui fu realizzato il dipinto era diffusa la credenza che provenissero dal sacco del quartiere genovese di Acri.
Nel 1259 il nuovo imperatore niceno,
Michele VIII Paleologo, si mostrava fermamente intenzionato a
riconquistare Costantinopoli e a porre fine all' Impero Latino, retto
dal debole Baldovino II.
Venezia si sobbarcò quasi da sola la difesa del traballante impero, ma il 13 marzo 1261 Genova stipulò con Nicea il Trattato di Ninfeo, che consentì da una parte ai Bizantini di riconquistare con un colpo di mano Costantinopoli (25 luglio 1261), ponendo fine all'Impero Latino, con la protezione della flotta genovese, e dall'altra permise a Genova di trovarsi in una posizione di forza nei territori del restaurato impero bizantino. I Genovesi ottennero nella città un intero quartiere, al di là del Corno d'Oro, detto Galata.
La Serenissima reagì
inviando una potente flotta a difendere i propri possedimenti
nell'Egeo e trenta galee nel Mar Nero, al comando di Giacomo Dolfin.
Una volta riunitesi le due flotte, l'armata veneziana, nell'estate
del 1262, si presentò nelle acque di Tessalonica, dove si trovava la
flotta greco-genovese forte di sessanta legni, ma questa non rispose
alla provocazione e non ingaggiò battaglia. I liguri si ritirarono
poi a svernare a Genova.Venezia si sobbarcò quasi da sola la difesa del traballante impero, ma il 13 marzo 1261 Genova stipulò con Nicea il Trattato di Ninfeo, che consentì da una parte ai Bizantini di riconquistare con un colpo di mano Costantinopoli (25 luglio 1261), ponendo fine all'Impero Latino, con la protezione della flotta genovese, e dall'altra permise a Genova di trovarsi in una posizione di forza nei territori del restaurato impero bizantino. I Genovesi ottennero nella città un intero quartiere, al di là del Corno d'Oro, detto Galata.
Venezia ne approfittò per istigare i Duchi dell'Arcipelago ad inviare navi per razziare la costa fino a Costantinopoli, ma la squadra navale venne intercettata sulla via del ritorno dalla flotta greca: fu una strage.
Battaglia di
Settepozzi: nel maggio o nel giugno del
1263 una flotta greco-genovese forte di 38-39 galee e dieci navigli
leggeri diretta a Monemvasia si scontrò con una squadra veneziana
di 32 galee al comando dell'ammiraglio Gilberto Dandolo nelle acque
dell'isola di Spetses nel golfo dell'Argolide. I greco-genovesi
persero 4 galee e l'ammiraglio Pietro Grimaldi, affiancato al comando
da Paschetto Mallone, rimase ucciso nel corso della battaglia ma
riuscirono comunque a riparare su Monemvasia. Secondo gli Annales
Ianuensis, la flotta greco-genovese
ingaggiò battaglia in maniera disordinata e scomposta: quando venne
dato il segnale di attacco solo 14 galee avanzarono contro il nemico.
Nello stesso anno Venezia schierò sul
teatro di guerra altre cinquantaquattro galee agli ordini di Andrea
Barozzi, il quale, dopo aver dato inutilmente la caccia alle forze
genovesi, attaccò Tiro.
La squadra navale genovese di Simone
Grillo, invece, assalì una muda (convoglio mercantile)
veneziana di undici navi, ma le merci più preziose furono portate al
sicuro a Ragusa, impedendo il saccheggio ai Genovesi.
Battaglia di Trapani: il 23
giugno del 1266 ebbe luogo, nelle acque tra Trapani e Ragusa, una
battaglia decisiva. La flotta genovese forte di ventotto galee al
comando di Lanfranco Borborino si scontrò con quella veneziana forte
di ventiquattro galee al comando di Giacomo Dondulo e Marco
Gradenigo.
Malgrado godesse di un lieve vantaggio
numerico e trovandosi anche in favore di vento, Borborino preferì
assumere una posizione strettamente difensiva, ponendo le sue galee
l'una accanto all'altra e legandole fra loro a formare una fortezza
galleggiante ancorata a breve distanza da terra. Questa misura si
rivelò un grave errore perché Dondulo attaccò con decisione e,
dopo due tentativi respinti, al terzo assalto riuscì a gettare lo
scompiglio fra gli equipaggi genovesi, molti dei cui componenti, tra
i quali numerosi erano i mercenari di scarsa affidabilità, si
gettarono in mare cercando scampo sulla costa siciliana ed
abbandonando al nemico le loro navi, che furono tutte catturate
pressoché intatte, tranne tre che, staccatesi dalle altre, vennero
raggiunte ed incendiate.La sconfitta genovese mise l'Imperatore bizantino - Andronico II Paleologo - nella difficile condizione di dover affrontare da solo la flotta veneziana, così il basileus si risolse a firmare un accordo di tregua quinquennale con la Repubblica .
La guerra tra Genova e Venezia continuò a trascinarsi, ma senza episodi eclatanti.
Venezia, nel frattempo provvide a stabilizzare il proprio controllo del mare Adriatico creando una squadra navale permanente con il preciso compito di vigilare su tutte le navi in transito, riscuotere i dazi, impedire l'ingresso non autorizzato a navi armate e contrastare il contrabbando, sotto il comando del cosiddetto "Capitano del Golfo".
Infine, nel 1270, in prossimità dello scadere del quinquennio di tregua con Bisanzio, venne firmato il Trattato di Cremona (22 agosto 1270) per siglare la pace tra Venezia, Genova e Costantinopoli.
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