sabato 23 marzo 2013

La tomba di Jolanda di Brienne

La tomba di Jolanda di Brienne (Isabella II di Gerusalemme)


La cattedrale di Andria

Isabella II erede al trono del Regno di Gerusalemme, conosciuta come Jolanda di Brienne, nacque nel 1212 dal matrimonio della regina di Gerusalemme, Maria di Monferrato, che morì di febbre puerperale poco dopo averla data alla luce, e Giovanni di Brienne.
Nell'agosto del 1225 ad Acri fu unita in matrimonio per procura all'imperatore Federico II dal vescovo Giacomo di Patti; le nozze furono celebrate a Brindisi il 9 novembre dello stesso anno.
Il 5 maggio del 1228, non ancora diciassettenne, dieci giorni dopo aver partorito il figlio Corrado, morì di setticemia ad Andria e fu sepolta nella cattedrale cittadina (Riccardo di San Germano, Chronica).
Gli storici dell'epoca riportano inoltre che anche la terza moglie di Federico II, Isabella d'Inghilterra, che morì a Foggia nel dicembre del 1241, fu per volere dell'imperatore, seppellita ad Andria accanto a Jolanda.
 
Morte di Jolanda di Brienne
da un'edizione miniata acritana del XIII secolo della Historia rerum in partibus transmarinis gestarum di Guglielmo di Tiro e continuatori
Biblioteca Nazionale Francese, Parigi
Le tombe delle imperatrici caddero però nel dimenticatoio: nel XVIII secolo non c'è più traccia di esse. Si consolida però la tradizione che siano nella cripta della Cattedrale, usata come ossario e resa quindi inaccessibile.
Nel 1904, in vista della visita dell'imperatore Guglielmo II, fu intrapreso lo sterro della cripta che rivelò l'esistenza di una chiesa a due navate con abside semicircolare, che non può essere stata costruita come cripta della chiesa soprastante, ma che è piuttosto una costruzione antecedente e a sé stante; solo l’ultimo pilastro prima dell'abside si è conservato e su di esso i resti di una pittura murale, un'immagine del Cristo benedicente, sotto cui è stato sistemato l’altare.


La chiesa è preceduta da un atrio, meglio conservato.Tutti i particolari sono qui originali e sono testimonianza della rozzezza di un tempo: assenza di ornamenti scultorei, mancanza di capitelli, né basi, ad eccezione di due frammenti, portati visibilmente da lontano, un capitello romano del tutto rovinato ed un altro bizantino, usato come base. Per poter stabilire la data ricaviamo solo da quest'ultimo l’indizio che la costruzione non può essere stata eseguita prima del VII secolo; probabilmente è della fine del primo millennio.
Nel pavimento della chiesa , accostate alle pareti dell'atrio, furono trovate due tombe, fra loro molto simili e della stessa epoca. Sono formate di lastre di pietra calcarea, di forma lievemente trapezoidale, ed hanno nella parte inferiore (quella dove poggia il corpo) una speciale scanalatura rettangolare per la testa del cadavere.

Le due lastre rialzate, lungo le pareti sud ed ovest dell'atrio, sono identificate con le tombe delle imperatrici

Lo sgombero completo della cripta ha portato alla luce anche un gran numero di frammenti scultorei e blocchi di tufo dipinti. Sembrano resti di molti monumenti diversi che, in parte, possono essere pervenuti nella chiesa sottostante come massa di detriti o materiale da costruzione.




Un tutto unitario è costituito soltanto da una serie di blocchi di pietra calcarea. Si tratta di tre pezzi angolari di un baldacchino ricoperto da una volta a crociera. Le curve delle arcate sono ornate di fregi, due di essi si incontrano in un pezzo angolare; negli altri un lato é lasciato non decorato.
Vi si riconosce subito la forma di un baldacchino, ornato su tre lati, la cui parte posteriore, non lavorata, era accostata alla parete. Manca solo il quarto pezzo angolare (quello anteriore) ed anche i fregi continui ad archetti sono incompleti.
L'ornamento è molto semplice: sulla parte anteriore un tralcio ondulato con rosoni, a destra ovuli intrecciati, in cui sono poste a coppie delle aquile vicino ad una palmetta a fogliame, a sinistra un viticcio con dentro alternati ora un'aquila, ora un quadrupede.
Per le caratteristiche del loro stile questi fregi appartengono probabilmente alla prima metà del XIII secolo.
Nel 1992 i due sarcofagi furono nuovamente aperti dal prof. Gino Fornaciari, docente dell’Università di Pisa ed esperto di mummie dei principi svevi e aragonesi e nelle urne furono trovate le ossa di una quindicina di individui, quasi fossero diventate “tombe comuni.”
Tra quei resti Fornaciari ne individuò alcuni appartenenti a due donne dell’età delle due imperatrici.
La tradizione, il fatto di essere due e la posizione in luogo privilegiato parlano a favore di una identificazione delle due tombe con quelle delle imperatrici. Anche la forma delle tombe contribuisce a sostenere questa supposizione.
Per contro le dimensioni dei pezzi angolari del baldacchino e delle linee d'imposta della volta  rivelano che la pianta di questo baldacchino era approssimativamente quadrata, cosa che non si addice affatto ad un monumento sepolcrale, e che la sua lunghezza laterale era più corta di una delle tombe. A ciò va aggiunto il fatto che materiale e caratteristiche stilistiche sembrano non proprio degni di una tomba imperiale.



sabato 2 marzo 2013

La Porta d'oro di Gerusalemme

La Porta d'oro di Gerusalemme


 La Porta d'oro si apriva sul lato orientale della spianata del Tempio ed è la più antica delle porte di Gerusalemme. Secondo alcuni studiosi la porta attualmente visibile risalirebbe all'epoca di Giustiniano (520 circa), secondo altri sarebbe invece stata costruita da maestranze bizantine al servizio dei califfi omayyadi alla fine del VII secolo. Sono stati comunque ritrovati resti di una porta più antica, risalente all'epoca del secondo Tempio (515 a.C).
Secondo la tradizione ebraica, quando il Tempio fu distrutto, la presenza divina (Shekhinah), che dimorava nel Sancta Sanctorum, se ne andò attraverso la Porta d'oro e proprio da lì rientrerà quando il Tempio sarà riedificato.
Secondo la tradizione cristiana lo stesso avverrà con il Secondo Avvento di Cristo mentre i Vangeli riportano come Gesù già fece attraverso questa porta il suo Ingresso in Gerusalemme (Baioforos) il giorno della Domenica delle Palme.

Ingresso a Gerusalemme, Monastero di Dafni, XI sec.

Gli Atti degli Apostoli (III, 1-8) collocano presso questa porta la guarigione di uno storpio ad opera di San Pietro:

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio.
Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta "Bella " a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio.
Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l'elemosina.
Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse : "Guarda verso di noi".
Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa.
Ma Pietro gli disse : "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina !".
E, presolo per la mano destra, lo sollevò . Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava ; ed entrò con loro nel tempio camminando , saltando e lodando Dio .

Nel testo greco la porta è indicata con il termine tecnico specifico di Oraia (Ωραια=bella), ossia quella porta che si trovava non all'entrata del recinto sacro, com'è oggi, bensì all'interno e precisamente nell'Atrio delle donne. Una cattiva traduzione dal greco al latino deve aver fatto nascere, per assonanza della parola oraia con aurea, la denominazione di Porta d'oro.
Il vangelo apocrifo dello pseudo-Matteo (VIII-IX sec.) riprende questa denominazione e vi situa L'incontro tra Gioacchino ed Anna, dopo aver ricevuto dall'angelo l'annunciazione della nascita di Maria.


Dopo che da trenta giorni erano in cammino per ritornare e ormai vicini all'arrivo, l'angelo del Signore apparve ad Anna mentre se ne stava ritta in preghiera, e le disse: "Va ora alla porta che è detta Aurea, fatti incontro a tuo marito, oggi infatti verrà da te".
(Vangelo dello pseudo-Matteo, 3,5)

Incontro di Gioacchino e Anna davanti alla Porta d'oro
 chiesa della Theotokos, Trykomo, Cipro, primi XII sec.
 
Attraverso questa porta fece il suo ingresso nel 627 l'imperatore Eraclio (610-641), alla testa della processione che restituiva alla basilica del Santo Sepolcro la reliquia della Vera Croce trafugata dal re persiano Cosroe nel 614 (cfr. La leggenda della Vera Croce)

La Porta d'oro fu probabilmente definitivamente murata nel 1541 - in parte per ragioni difensive ed in parte per motivi connessi alle profezie messianiche - durante la ristrutturazione delle mura voluta da Solimano il magnifico, ma già in epoca crociata (XI-XII sec.) veniva aperta soltanto una volta l'anno, il giorno della Domenica delle Palme.
La chiusura della Porta d'oro sembra comunque essere anche una antica tradizione che risale all'epoca del Primo Tempio, come è ricordato in Ezechiele (44,1-3):

"Mi condusse poi alla porta esterna del santuario dalla parte di oriente: essa era chiusa. Mi disse: 'Questa porta rimarrà chiusa: non verrà aperta, nessuno vi passerà, perché c'è passato il Signore, Dio d'Israele. Perciò resterà chiusa. Ma il principe, il principe siederà in essa per cibarsi davanti al Signore: entrerà dal vestibolo della porta e di lì uscirà.'"

I due archi gemelli della Porta d'oro ebbero inoltre due distinti nomi, nella tradizione islamica, quello a nord venne chiamato Porta del Pentimento, quello a sud (unitamente alla tradizione ebraica) Porta della Misericordia.
Il nome arabo della porta è infine Bab a-daharya (Porta della Vita eterna), a sottolineare come alla fine del mondo i morti seppelliti nelle vicinanze risusciteranno per non morire più.

venerdì 1 marzo 2013

Il sarcofago di Elena

Il sarcofago di Elena
di Nazzarena Gallerini

Sarcofago di Elena, Museo Pio-Clementino, Città del Vaticano

L’uso del porfido per i sarcofagi inizia in età costantiniana con pezzi riservati alla sola famiglia imperiale. Le prime realizzazioni di cui si ha conoscenza sono quelli dedicati a Costantina ed Elena, rispettivamente figlia e madre di Costantino.
Il sarcofago di Costantina (Costanza), deceduta nel 354 d.C. e sepolta in un sarcofago di porfido collocato al centro del Mausoleo a lei dedicato in Roma, subì nel corso degli anni diversi cambi di collocazione.
Durante il pontificato di papa Alessandro IV, più precisamente nel 1256, venne spostato vicino alla nicchia all’ingresso del Mausoleo, in seguito sotto Paolo II, nel 1467, fu collocato nel palazzo Apostolico.
Una decina di anni più tardi papa Sisto IV decise di ricollocarlo nuovamente nel suo Mausoleo dal quale papa Pio VI lo recuperò per collocarlo nel Museo Pio Clementino a Roma dove si trova tutt’oggi.
Il sarcofago di Elena, la cui salma fu spostata a Costantinopoli e collocata in un sarcofago che successivamente avrebbe accolto anche le spoglie di Costantino, proviene dal suo mausoleo a Tor Pignattara a Roma.
Le scene di tipo militare rappresentate su di esso hanno fatto pensare che in origine esso non fosse destinato a lei ma a Costanzo Cloro o al figlio Costantino.
Nel 1154 il sarcofago di Elena venne collocato nel palazzo Lateranense per poi subire altri spostamenti negli anni successivi.
Nel 1609, infatti, venne collocato vicino alla porta del Battistero di S. Giovanni in Laterano, mentre nel 1690 fu posizionato sotto il portico.
Nel 1788 giunse ai Musei Vaticani, ove si trova tutt’oggi, e qui fu sottoposto per nove anni a pesanti restauri.
Diversi frammenti di porfido conosciuti in varie collezioni si possono ricollegare per soggetto, stile e dimensione al sarcofago di Elena o ad un sarcofago dello stesso tipo.
Una testa barbata e un braccio sono conservati nei Magazzini dei Musei Vaticani, una testa di barbaro si può ammirare a Londra al Victoria and Albert Museum, mentre un’altra testa di barbaro, facente parte della collezione Del Bufalo, si trova a Roma.

 Braccio destro di cavaliere, Magazzini dei Musei vaticani (inv.52133)


Testa di uomo barbato, Magazzini dei Musei vaticani (inv.52132)



Testa di barbaro, Collezione Del Bufalo, Roma



Testa di barbaro, Victoria and Albert Museum, Londra

Probabilmente associabili al sarcofago di Elena sono anche tre teste maschili murate all’interno di un riquadro su di una parete del cortile di Palazzo Medici Riccardi a Firenze.

 
Teste elmate, Palazzo Medici Riccardi, Firenze

Bisogna inoltre ricordare la zampa anteriore sinistra di cavallo conservata al Museo Granet d’Aix-en-Provence proveniente dalla collezione Bourguignon de Fabregoules in parte formatasi in Italia alla fine del XVIII secolo.


Questa zampa, per lo stile e la resa dei dettagli anatomici, è molto simile agli arti dei cavalli del sarcofago di Elena. La posizione dell’arto, infatti, corrisponde alla cavalcatura dei primi due cavalieri che si dirigono verso sinistra.
L’inventario del Museo Granet ci indica che questa zampa è stata trovata negli scavi sotterranei del Vaticano a Roma.
Un braccio, proveniente dallo stesso scavo e che apparteneva anch’esso al Museo Granet, ha portato a pensare che, forse, questi frammenti nel corso del restauro subito dal sarcofago di Elena non sono stati ricollocati o furono scartati.

Bibliografia:
P.Malgouyres, Porphyre: La pierre pourple des Ptolémées aux Bonaparte, Paris, 2003.
N.Gallerini, Sarcofagi in porfido di età tardoantica, tesi di laurea, Facoltà di studi umanistici, Univerità degli studi, Milano, 2012