domenica 9 settembre 2012

La cappella di S.Aquilino, Milano

La cappella di S.Aquilino nella basilica di S.Lorenzo a Milano



La basilica di S.Lorenzo colpisce sia per l’elaborata planimetria a tetraconco, ampiamente diffusa in area egea e mediorientale, ma assai rara nell’Occidente latino, sia per i numerosi problemi posti dalla sua cronologia e dalla sua funzione originale. Questo nonostante che molte parti del suo articolato complesso siano ancora conservate.
Il termine post quem per la fondazione della chiesa e dei suoi corpi annessi è dato dal reimpiego per le fondazioni dei blocchi dell’anello esterno del non lontano anfiteatro, verosimilmente demolito nel 401 all’approssimarsi dei Goti di Alarico, che avrebbero tenuto sotto assedio Milano per mesi: il loro uso per creare una vasta platea di fondazione soprattutto per la cappella di S. Aquilino – parte del progetto originale forse come mausoleo imperiale – permette di collocare la fondazione nel decennio successivo al 401, forse ad opera della committenza di
Stilicone (giustiziato a Ravenna nel 408, per ordine dello stesso imperatore Onorio: la damnatio memoriae che colpì il suo nome potrebbe spiegare la perdita del ricordo di un suo ruolo nella fondazione di questa chiesa, citata già da fonti scritte della fine del V secolo, ma che tacciono il nome del suo fondatore).
L'edificio compare per la prima volta nelle fonti scritte in relazione alla sepoltura al suo interno del vescovo milanese Eusebio I (morto nel 452), il che significa che a quella data la chiesa doveva essere stata terminata e consacrata. È noto dalle fonti scritte che una delle tre cappelle ottagonali annesse, quella di S. Sisto (lato nord della chiesa) fu costruita dal vescovo Lorenzo I, alla fine del V secolo, ma anche in questo caso l’edificio avrebbe potuto essere compreso nel progetto originario; infine, proprio in seguito alle recenti indagini sulle murature antiche, l’esame del carbonio 14 ha permesso di individuare mattoni della prima età longobarda nelle pareti di S. Aquilino.
La chiesa era preceduta da un vasto quadriportico, la cui superficie eguagliava quasi quella della basilica. I pochissimi avanzi, rintracciati a livello di fondazioni, hanno permesso di ricostruirlo come porticato su quattro lati, e dotato di esedre terminali sul lato adiacente alla facciata, che davano maggiormente risalto a questo spazio. Lungo la strada, un colonnato architravato fungeva da prospetto monumentale, con ingresso unico al centro sottolineato da un arco fra le colonne mediane (il loro intercolumnio è maggiore), soluzione glorificante che imitava i prospetti palatini di Spalato e Ravenna, il che avvalora ulteriormente l’ipotesi di un committente imperiale o strettamente legato alla corte. Le sedici colonne corinzie, con fusti scanalati e rudentati, sono in marmo di Musso e risalgono al II secolo, esattamente come gli architravi: si tratta di spoglie omogenee, probabilmente ricavate da un edificio civile di Mediolanum. Le aggiunte in mattoni sopra gli architravi appartengono alla fase basso medievale della chiesa: in origine, un attico e un timpano sempre in marmo dovevano completare la parte terminale della struttura. Avancorpi in muratura inquadravano ai lati questo prospetto.
La chiesa vera e propria, a pianta tetraconca, costituiva il centro del complesso. L'elaborata struttura del corpo centrale è leggibile nelle fondazioni, messe in luce negli anni Trenta: quattro torri angolari quadrate, disposte ai vertici di un quadrilatero, sono collegate da quattro esedre semicircolari dotate di un ambulacro interno a due piani. Lo spazio risultava quindi divisi in un vano centrale e in un ambulacro continuo (le quattro basi delle torri erano percorribili attraverso arcate), separati in origine da colonne (tutte sostituite nel XVII secolo) e da pilastri in muratura; anche la galleria al primo piano doveva essere aperta mediante colonnati, ma anche in questo caso tutti i sostegni risalgono al periodo barocco. Le più recenti indagini strutturali hanno definitivamente permesso di risolvere la dibattuta questione delle coperture originarie: le quattro esedre erano coperte da semicatini in muratura, mentre lo spazio quadrato centrale da una vasta volta a crociera, sempre in muratura: le tracce degli attacchi alle base delle quattro torri (che servivano appunto a contraffortare le spinte) non permettono ricostruzioni diverse della sua forma. Sappiamo dalle fonti che la chiesa fu danneggiata da incendi e terremoti nell’XI e XII secolo. Il Versum del Mediolano civitate, del 738, menziona lo splendore dei mosaici a fondo d’oro della cupola, e la lucentezza dei marmi dell’interno: le poche tessere i pochi frammenti di crustae marmoree recuperate negli scavi, assieme a qualche lacerto di pannello in stucco ancora alle pareti, permettono di farsi un’idea dello splendore interno dell’edificio: le ampie finestre ad arco che si aprivano nei muri esterni sicuramente inondavano questi spazi di luce naturale, esaltando lo splendore dei rivestimenti parietali. Un ultimo, interessante particolare costruttivo è dato dalla struttura esterna delle torri (una ancora interamente tardoantica), composte di blocchi sovrapposti leggermente rientranti, secondo un modello che trova esempi nella coeva architettura militare.
In asse su ciascuna esedra si addossano al corpo centrale tre sacelli ottagonali, sempre di origine paleocristiana e che ne completavano la struttura, anche se probabilmente avevano funzioni differenti.
La tradizione vuole che questa cappella fosse stata edificata da Galla Placidia perchè le servisse da sepoltura, è infatti anche detta cappella della Regina.
In origine era denominata cappella di S.Genesio in relazione alla antica tradizione milanese che Galla Placidia fosse la fondatrice del culto a questo santo.
La dedicazione a S.Aquilino avvenne infatti solo nel 1015, quando le sue ossa vi furono riposte subito dopo il suo martirio.

Sarcofago detto di Galla Placidia

La cappella
è stata costruita assieme all’atrio a forcipe che le fa da vestibolo entro la metà del V secolo, ma con una tecnica muraria in parte differente da quella della chiesa vera e propria: questo sarebbe indizio di una cronologia leggermente posteriore rispetto al tetraconco; ciò non significa che l’edificio non facesse parte del progetto originario, ma solo che difficoltà varie (probabilmente riconducibili alla situazione politica e militare del tempo) hanno rallentato e forse interrotto per un certo tempo l’attività del cantiere.
La funzione originaria doveva essere quella di mausoleo, forse imperiale, forse destinato a un membro della dinastia teodosiana: questa ipotesi potrebbe essere confermata dal materiale usato per i rivestimenti parietali, il porfido rosso, ora scomparso ma attestato da Giuliano da Sangallo (che definisce S. Aquilino “tuto di porfido”).
Al vestibolo si accede attraverso un sontuoso portale scolpito con motivi vegetali e scene di corsa nel circo, di età flavia, altro elemento che arricchiva questi spazi e ne accresceva il carattere monumentale.
Lo spazio interno dell’ottagono era scandito, nel livello inferiore, da nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, nel livello superiore da nicchie rettangolari finestrate e collegate da una galleria ricavata in spessore di muro.
La cupola a padiglione è in mattoni e ha i rinfianchi colmati di anfore annegate nella malta.
Le pareti del vestibolo erano ricoperte in basso di marmi, in alto di mosaici a fondo azzurro con teorie di personaggi biblici, apostoli e martiri su due livelli, inquadrati da paraste: ne restano scarsi resti, integrati da linee e profili sull’intonaco steso al momento della loro scoperta. Anche il sacello ottagono aveva pavimenti e pareti ricoperti da marmi colorati: dagli scarsi resti scoperti in una delle nicchie si è potuto ricostruire che i motivi decorativi erano di tipo geometrico.
Nei semicatini delle nicchie est ed ovest sopravvivono ampie tracce dei mosaici originari.
Il primo, meglio conservato, raffigura Cristo docente fra gli apostoli, Cristo è rappresentato imberbe con una mano benedicente e l'altra che tiene i rotoli delle leggi, rappresentati anche ai suoi piedi all'interno di una cesta. Gli Apostoli indossano gli abiti tipici dei Senatori romani, hanno pose molto naturalistiche e sono caratterizzati da volti diversi gli uni dagli altri. La figura del Cristo presenta molte affinità con quella del mosaico della chiesa di Hosios David a Tessalonica.


L'altra è una scena di difficile interpretazione (L'ascensione di Elia? Il Cristo/Sol invictus che risveglia i pastori?).


L’altissima qualità di questi mosaici, opera di maestranze di grande abilità, che hanno reso con spiccato senso naturalistico le figure e i paesaggi, fanno rimpiangere la perdita del resto del ciclo (che si estendeva anche alla cupola): in queste due raffigurazioni contrapposte sono state lette le metafore dell’alba (Cristo che risveglia i pastori) e del tramonto (immagine del paradiso). I confronti stilistici con i mosaici della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (quarto decennio del V secolo), permettono di ipotizzare una cronologia entro il 450 circa.
Negli spazi della galleria al primo livello rimangono frammenti di affreschi raffiguranti tarsie di marmi colorati: sono coevi all’edificio, e sembrerebbero una soluzione “a risparmio” rispetto ai più costosi sectilia.

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