lunedì 31 ottobre 2016

La Biblioteca di Agapito al Celio, Roma

La Biblioteca di Agapito al Celio, Roma

Lato sud est
 
Lato nord est
 
Scendendo lungo il Clivus Scauri – l'antica strada romana che dal Celio digrada verso la chiesa di san Gregorio Magno - superati gli archi di sostegno che scavalcano la strada, sulla sinistra sono visibili i resti di una grande aula absidata (16x22m c.ca) in cui si è voluta riconoscere la biblioteca del centro di studi fondato da papa Agapito (535-536) con la collaborazione di Cassiodoro,

Interno

conosciuta attraverso uno scritto dello stesso Cassiodoro (1) e da un'incisione dedicatoria copiata dal cosiddetto Anonimo di Einsiedeln, un ignoto pellegrino dell’VIII secolo che ha lasciato un elenco dei monumenti romani ancora esistenti ai suoi tempi.

 
L'impianto dell'aula sembra però risalire ad un'epoca precedente (IV sec.) e la sua conformazione originaria si adatta meglio a quella di un ambiente di rappresentanza di una domus aristocratica tardoantica (forse appartenuta agli Anicii) che non a quello di una biblioteca, anche se nulla vieta che papa Agapito possa aver risistemato a questo fine un edificio preesistente.
 
Ipotesi ricostruttiva della domus aristocratica (da C. Pavolini, La metamorfosi di un'insula)
 
Nel corso del tempo l'aula ha subito numerosi rimaneggiamenti e variazioni d'uso (l'utilizzo come sepolcreto in epoca altomedioevale è attestato dal rinvenimento al suo interno di sei tombe).

Una delle sepolture rinvenute nella canaletta di scolo che scorre alla base dell'abside.
 
L'ingresso attuale lungo il Clivus Scauri è costituito da un portale seicentesco (1607-1608) commissionato all'architetto Flaminio Ponzio dal cardinale Scipione Borghese.
 
 
Nell'affresco che decora la sommità del portale – e che raffigura San Gregorio nell'atto di scrivere sotto dettatura dello Spirito Santo – c'è forse una reminiscenza dell'antica destinazione dei ruderi a cui introduce.
 
 
Note
 
(1) Cassiodoro, Institutiones divinarum et saecularium litterarum, I, 1.


giovedì 13 ottobre 2016

Mosaico d'ombre di Tom Harper

Tom Harper (Edwin Thomas), Mosaico d'ombre, TEA, 2006
Nellla Costantinopoli del 1096-1097, mentre l'esercito crociato diretto in Terrasanta è minacciosamente accampato alle sue porte, il “risolutore di misteri” Demetrios Askiates è incaricato dal parakoimomenos, l'eunuco Krysafios, d'investigare su un fallito attentato alla vita dell'imperatore Alessio I Comneno.
I quartieri e gli edifici costantinopolitani coinvolti nello svilupparsi della trama sono descritti con accuratezza e precisione documentaria così come i fatti realmente accaduti all'epoca in cui è ambientata ed i personaggi realmente esistiti che compaiono nel romanzo.

 
 
Personaggi storici che compaiono nel romanzo
 
Isacco Comneno: valente generale nonché fratello maggiore dell'imperatore Alessio I (1081-1118), ricopriva la carica di sebastocratore, istituita appositamente per lui dall'imperatore subito dopo il suo insediamento (1081). In realtà si trattava più propriamente di un titolo nobiliare (che divenne il primo della gerarchia bizantina precedendo quello di cesare) che non implicava però alcuna diretta responsabilità di governo. Sposato con Irene di Georgia, rimase sempre fedele al fratello non insidiandone mai la posizione. Morì, dopo aver preso gli abiti monacali con il nome di Giovanni, tra il 1102 ed il 1104. Nel romanzo la sua residenza in città è il cosiddetto Palazzo di Botaniate (cfr. scheda Il quartiere veneziano di Costantinopoli).
 
Alessio I Comneno
da un manoscritto miniato della Panoplia dogmatica di Eutimio Zigabeno commissionato dallo stesso imperatore.
Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Vat. gr. 666, f. 2v.
 
 Ugo La Maisnè (Il Minore) conte di Vermandois: fratello minore del re di Francia Filippo I (1060-1108) riuscì ad ottenere un feudo sposando un'ereditiera (Adelaide, contessa di Vermandois). Fu il primo dei baroni crociati a raggiungere Costantinopoli nel novembre del 1096. Imbarcatosi a Bari per raggiungere Durazzo s'imbattè in una terribile tempesta che colò a picco diverse navi. Prima di imbarcarsi aveva inviato all'imperatore un messaggio molto insolente “Sappi, imperatore, che io sono il re dei re e il più grande di tutti coloro che stanno sotto il cielo, ed è opportuno venirmi subito incontro al mio arrivo e ricevermi in maniera magnifica e degna della mia nobiltà”.
Da Durazzo, scortato dai bizantini, raggiunse Costantinopoli seguendo la via Egnatia. Qui giunto fu ben accolto da Alessio che lo ricoprì di doni ottenendone in cambio il giuramento di vassallaggio secondo il rituale del feudalesimo occidentale.
 
Ugo di Vermandois
dall'edizione miniata della Chronica regia coloniensis, 1240 c.ca
Biblioteca reale di Bruxelles.

Il 23 dicembre Goffredo di Buglione, con il grosso dell'esercito crociato, si acquartierò alle porte della capitale ed ebbero luogo alcune scaramucce tra i crociati e gli imperiali.
Il conte di Vermandois fu quindi inviato da Alessio al campo crociato per richiedere ai baroni il giuramento di vassallaggio, conditio sine qua non per concedere loro le navi per traghettare l'esercito in Asia Minore. Dopo un iniziale sdegnato rifiuto (Goffredo di Buglione era tra l'altro già legato all'imperatore Enrico IV dal patto di vassallaggio) Goffredo e gli altri baroni accettarono di giurare, impegnandosi a consegnare all'imperatore i territori un tempo bizantini che avrebbero strappato ai turchi.
 
Baldovino di Boulogne: fratello minore di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, partecipò alla crociata al seguito del fratello con lo scopo di crearsi un proprio dominio. Nel romanzo viene infatti apostrofato dal conte di Vermandois come Baldovino di nessun luogo proprio perchè non possedeva un feudo. Alla morte del fratello sarà incoronato primo re di Gerusalemme (1100).
 
Poco più che citati nella narrazione sono anche il cesare Niceforo Briennio, marito della primogenita dell'imperatore Anna Comnena e Tatikios, il generale eunuco che guiderà il contingente bizantino che affiancherà i crociati fino all'assedio di Antiochia.

 
Episodi storici citati nel romanzo
 
La rivolta di Urselio: Urselio (o Roussel de Bailleul) era un avventuriero normanno, che, giunto in Italia al seguito di Roberto il Guiscardo, aveva combattuto contro i musulmani in Sicilia, e poi verso il 1069 o il 1070 si era arruolato come mercenario al servizio dell’impero bizantino nella lotta contro i Peceneghi. Nel 1071 aveva combattuto in Asia Minore al servizio di Romano IV Diogene contro le incursioni turche. Dopo l'ascesa al trono di Michele VII Ducas (1071) si era ribellato dando luogo ad un tentativo di usurpazione e conquistando diverse città (1073). Michele VII inviò contro il ribelle vari generali (tra cui lo stesso cesare Giovanni Ducas e suo figlio Andronico, che furono, peraltro, battuti) e infine ricorse all’aiuto dell'emiro turco Artuk che, invitato l'usurpatore ad un banchetto lo fece imprigionare a tradimento e, dietro un forte compenso, lo consegnò al generale Alessio Comneno - il futuro imperatore Alessio I - che era stato inviato da Michele VII per reprimere la ribellione. Condotto a Costantinopoli e incarcerato (1075), Urselio venne in seguito liberato per poter combattere al fianco di Alessio Comneno contro altri usurpatori, quali Niceforo Briennio senior.
 

La crociata dei pezzenti: Dopo l'appello alla crociata per la liberazione della Terrasanta (Deus vult!) lanciato il 27 novembre 1095 al Concilio di Clemont da papa Urbano II, un monaco di Amiens, sino allora vissuto in eremitaggio e noto come Pietro l'eremita, iniziò a predicare la crociata nelle regioni francesi del Berry, spostandosi successivamente verso est in Lorena, Orleans, Champagne e Renania. Raccolto un esercito di circa 15.000 pellegrini, in gran parte formato da contadini analfabeti a cui si unì un discreto numero cavalieri tra cui Gualtieri Senza Averi, raggiunse la città di Colonia nell'aprile del 1096 dove l'armata fu ingrossata dai pellegrini raccolti da altri predicatori.

Pietro l'eremita mostra ai crociati la via per Gerusalemme
da una miniatura del Roman du chevalier au cigne, 1270
manoscritto 3139
BNF

L'esercito crociato si divise in due colonne, la prima, guidata da Gualtieri Senza Averi, partì da Colonia il 19 aprile e, dopo aver attraversato l'Ungheria e la Bulgaria, raggiunse Costantinopoli dopo due mesi di marcia. Il primo di agosto fu raggiunta dalla colonna guidata da Pietro l'eremita e forte di 30.000 uomini. Accampati alle porte della città, i pellegrini si accinsero ad attendere gli eserciti dei nobili ma l'imperatore, preoccupato dal saccheggio delle campagne ad opera dei crociati in cerca di cibo, preferì liberarsi di questa ingombrante presenza traghettandoli dall'altra parte del Bosforo (6-8 agosto) ed assegnando loro il campo di Kibotos (Civetot per i latini) a meno di un giorno di marcia da Nicea. Qui Pietro perse il controllo della situazione non riuscendo a trattenere i crociati che iniziarono a compiere incursioni in territorio selgiuchide e fece ritorno a Costantinopoli per chiedere aiuto e consiglio all'imperatore.
 
Il campo di Civitot
 
Nel frattempo un contingente di circa 6.000 crociati tedeschi e italiani, eletto al comando un certo Rainaldo, occupò una fortezza abbandonata – il castello di Xerigordon – a solo tre miglia da Nicea, pensando di utilizzarla come base per attaccare la città.
Il 29 settembre l'esercito selgiuchide strinse d'assedio la fortezza che rimase priva di rifornimenti d'acqua. Dopo otto giorni Rainaldo si arrese avendo salva la vita in cambio dell'abiura del cristianesimo.
Giunta la notizia che l'esercito turco si stava avvicinando a Civitot, contro il parere degli altri comandanti, Goffredo Burel persuase i crociati ad andare incontro al nemico.
Il 21 ottobre l'esercito crociato, forte di oltre 20.000 uomini, a sole tre miglia dal campo di Civitot, cadde in un'imboscata tesagli dal sultano selgiuchide. Mentre marciavano senza precauzioni in una stretta valle boscosa i crociati furono bersagliati dagli arcieri turchi protetti dalla boscaglia mentre la cavalleria incalzata dai turchi fu rigettata sulla fanteria che la seguiva determinando una disordinata ritirata verso il campo di Civitot dove erano rimasti soltanto donne, vecchi e bambini. Qui si consumò l'eccidio, soltanto tremila uomini, guidati da Goffredo Burel riuscirono a trincerarsi in una fortezza abbandonata lungo la costa e a resistere fino all'indomani quando furono tratti in salvo a Costantinopoli dalla squadra navale inviata in soccorso dall'imperatore.
 
 La Guardia Variaga: con il termine “variago” - che in lingua norrena significa all'incirca “legato da giuramento di fedeltà” - i bizantini chiamavano i vichinghi e più in generale le popolazioni provenienti da Thule, espressione vaga che indicava le terre del Nord.
Il corpo della Guardia Variaga (Τάγμα των Βαραγγίων) fu istituito come guardia personale dell'imperatore da Basilio II nel 988. Il primo nucleo di questo corpo d'elite fu costituito da 6000 guerrieri inviati all'imperatore da Vladimir I di Kiev in osservanza di una clausola del trattato di pace russo-bizantino stipulato da suo padre nel 971.
Nel 989, al comando dello stesso imperatore, la Guardia Variaga debellò la rivolta di Barda Foca e successivamente si distinse per fedeltà e valore nelle campagne di Georgia e Armenia.
Il comandante della Guardia aveva il grado di Aκόλουθος (letteralmente “Colui che segue”) e aveva il compito di vigilare sulla persona dell’Imperatore stando al suo fianco nelle occasioni ufficiali in qualità di guardia del corpo.
Per più di cento anni il reclutamento nelle file della Guardia Variaga fu appannaggio di uomini provenienti dalla Nazione Vichinga. All’originale nucleo di soldati Rus, molto presto cominciarono ad unirsi uomini provenienti da tutto il Nord ed Est Europa: i primi furono Scandinavi di Norvegia e Svezia, seguiti da quelli d’Islanda.
Servire fra i Variaghi era considerato un onore che veniva tramandato di padre in figlio, e non era raro che fra loro vi militassero Principi e figli di importanti condottieri.
Arma caratteristica della Guardia Variaga era l'ascia da battaglia vichinga con un manico molto lungo (120-150 cm.) che veniva impugnata a due mani. Anna Comnena nell'Alessiade li definisce infatti pelekyphoroi barbaroi (barbari portatori di ascia).
A partire dall'XI secolo la composizione etnica della Guardia Variaga cambiò radicalmente. Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore sconfisse il re anglosassone Aroldo II nella battaglia di Hastings insediandosi sul trono d'Inghilterra (1). In conseguenza di questa sconfitta molti profughi anglosassoni si rifugiarono nell'impero bizantino arruolandosi nella Guardia Variaga per poter combattere i Normanni.

Graffito in lettere runiche ritrovato a Costantinopoli su una balconata della chiesa di Santa Sofia ed attribuito ad un soldato variago del IX sec.(2)
 
Nel 1018 la Guardia Variaga, inviata nel thema di Longobardia agli ordini del catepano Basilio Boiannes, fu decisiva nel determinare la fine della rivolta di Melo, il cui esercito, formato da truppe longobarde e mercenari normanni, fu duramente sconfitto nella battaglia di Canne (1 ottobre 1018).
Raggiunse l'apice della sua fama sotto il comando di Harald Sigurdsson (1034-1041) (3) detto Hardrada (lo Spietato) che successivamente diverrà re di Norvegia con il nome di Harald III.
Aggregata al corpo di spedizione comandato dallo strategos autokrator Giorgio Maniace nella campagna del 1038-1040 che riconquistò provvisoriamente ai bizantini parte della Sicilia orientale, si distinse per il valore mostrato sui campi di battaglia (in particolare le saghe nordiche attribuiscono ad Hardrada e alla Guardia gran parte dei successi ottenuti da Maniace contro gli arabi di Sicilia) che meritò al suo comandante il conferimento del titolo di manglavite (4).
Nel 1204, quando i crociati conquistarono Costantinopoli, la Guardia Variaga, la cui fedeltà all'imperatore era divenuta leggendaria, fu l'unico reparto dell'esercito bizantino a battersi fino all'ultimo uomo. Dopo questa data, nelle fonti scritte, si trovano solo vaghi accenni ad una ipotetica rifondazione del corpo nell'Impero niceno, di certo non c'è traccia di questa unità nelle cronache dell'assedio di Costantinopoli del 1453.
 
Gli Immortali: ispirandosi al celebre corpo d'elite dell'esercito persiano dell'antichità, l'imperatore Giovanni I Zimisce (969-976), nel corso della campagna contro i Rus' del principe Svjatoslav I di Kiev (971), istituì con questo nome un corpo speciale di cavalleria. Durante il regno di Michele VII Ducas (1078-1090), su iniziativa del logoteta, l'eunuco Niceforitza, l'unità fu ricostituita.

Tzangra: è il nome con cui i bizantini indicavano la balestra. Quest'arma rimase praticamente a loro sconosciuta fino all'arrivo dell'esercito crociato nel 1096. Nelle fonti scritte questo termine compare per la prima volta nell'Alessiade di Anna Comnena che la descrive come un arco barbaro assolutamente sconosciuto ai Greci, impiegato dai Normanni di Riccardo di Salerno in uno scontro navale con la marina bizantina, che li aveva scambiati per pirati ed attaccati, mentre traversavano l'Adriatico per unirsi sull'altra sponda all'esercito crociato.
L’origine etimologica e fonetica del termine risale probabilmente al francese cancre/chancre (granchio, gambero), nome comunemente usato dai soldati per la balestra che, per la sua forma, richiama appunto le chele di un gambero o di un granchio.
 
Note:
 
(1) Nel romanzo i variaghi di origine anglosassone si riferiscono a lui chiamandolo il bastardo perchè era figlio illegittimo di Roberto I di Normandia.
(2) Un'altra incisione in lettere runiche, anch'essa attribuita a soldati della Guardia Variaga si trova sul Leone del Pireo oggi all'ingresso dell'Arsenale di Venezia. 
(3) Non casualmente nel romanzo, il comandante della Guardia Variaga che affianca il protagonista nelle sue indagini ha il nome di Sigurd.
(4) In origine i manglavites erano un'unità speciale della guardia imperiale, i cui membri avevano il compito di aprire davanti all'imperatore alcune porte del sacro palazzo e di precederlo nelle processioni facendogli largo tra la folla maneggiando una sorta di clava (il manglavion, la cui etimologia deriva probabilmente dalla fusione delle parole latine manus e clava). Successivamente divenne un titolo onorifico che - come molti altri titoli di corte - veniva conferito a persone che non avevano nulla a che fare con questo ufficio.






lunedì 10 ottobre 2016

Palaiopanagia, Manolada

Palaiopanagia, Manolada
E' situata nel cimitero del paesino di Manolada

 
In questa chiesa pregò Ferdinando di Majorca prima della battaglia del 5 luglio 1316 (cfr. scheda Morea, Introduzione).
 
 
Dedicata alla Dormizione della Vergine, presenta una pianta a croce libera con bracci della stessa lunghezza, quello occidentale sopravanzato da un nartece a forma di pi greco - coperto da cinque cupolette emisferiche - a formare un deambulatorio che avvolge la navata centrale. Le due campate laterali del nartece comunicano inoltre per mezzo di aperture con il corpo principale della chiesa.
 
Facciata occidentale, ai lati della porta d'ingresso le due croci in blocchi di pietra squadrata sottolineate da una cornice in mattoni.

I larghi blocchi di pietra che formano croci nella muratura dalla facciata occidentale sono caratteristici della seconda metà dell'XI sec e del XII, mantre la loro sottolineautura in mattoni li riferisce alla fase più tarda di questo periodo. La chiesa è sostanzialmente un ibrido, con la parte orientale costruita come una pianta a croce libera che diventa a croce inscritta, per la presenza del nartece, nella metà occidentale. Di particolare interesse il modo in cui è eretta la cupola, che mostra un estremamente raro arrotondamento degli angoli del tamburo.
 

L'interno è affrescato.



lunedì 3 ottobre 2016

Corone

Corone

Il tratto nordorientale delle mura. Al centro l'ingresso principale e a sinistra il torrione di NE.

Coronis, l'antico nome della città, significa "corvo" e pare sia dovuto al rinvenimento di una statuetta di bronzo raffigurante l'animale durante la fondazione della città.
Nell'antichità era un piccolo fortilizio (è comunque menzionata da Omero come una delle sette città offerte da Agamennone ad Achille per placarne l'ira), divenne una postazione militare di qualche importanza sotto i Bizantini.
Fu conquistata dai Franchi nel corso della Quarta Crociata ed entrò a far parte dei domini di Guglielmo di Champlitte (1205), nel 1209 con il Trattato di Sapienza il suo successore, Goffredo I di Villehardouin, cedette la fortezza ai Veneziani; la cessione fu più tardi confermata dall'Imperatore Michele VII Paleologo. Sotto il dominio della Serenissima divenne, insieme al vicino porto di Modone con il quale formava un'unica unità militare e amministrativa, una delle più importanti roccaforti veneziane in Egeo (1).
Tra il 1292 e il 1294 il castellano (2) Guido da Canal s'impegnò nella ricostruzione generale del castello bizantino facendo largo uso di materiali di spoglio.
Ulteriormente fortificata dai Veneziani negli anni Sessanta del Quattrocento, venne conquistata dai Turchi nel 1500.
Nel 1532, Andrea Doria, agli ordini di Carlo V riuscì ad espugnare la città e a respingere la flotta ottomana inviata da Solimano nella primavera del 1533 per riprenderla. L'anno seguente, assediata da terra dagli ottomani, la guarnigione spagnola fu però costretta a capitolare.
Nel 1685, durante la guerra di Morea (1684-1699), fu la prima città ad essere assediata dalle forze del Morosini (25 giugno 1685) a cui si arrese il 7 di luglio.
Posto l'assedio i veneziani furono contrassediati dai rinforzi inviati dai turchi a sostegno del presidio. Morosini decise di attaccare e i veneziani poterono mostrare ai difensori più di cento teste di nemici uccisi sulle loro picche. Visto sbaragliato anche un secondo contingente di rinforzo, la guarnigione ottomana finalmente si arrese.
Nel 1715 fu ripresa dagli ottomani, nelle cui mani rimase fino al 1828 quando fu liberata nel corso della guerra d'indipendenza greca (1821-1832) dal corpo di spedizione anglo-francese del generale Maison.

Torre Resalto

Nel 1824 gli insorti avevano provato a conquistare la fortezza scalando una torre sul suo fianco meridionale. Probabilmente pensavano di sorprendere la guarnigione turca, ma il piano fallì e quasi tutti gli assalitori perirono: la torre è oggi chiamata Resalto (forse perchè i corpi dei Greci "saltarono" giù) e culmina con una cappella costruita in memoria dei caduti.

F.Coronelli, Pianta delle fortificazioni di Corone, 1685
 
La fortezza sorge sul Capo Livadia ed ha una forma irregolarmente quadrata. L'ingresso principale si trova sul lato settentrionale e si apre in una larga costruzione a pianta quadrata con un arco a sesto acuto sormontato da un altro a sesto ribassato che corrisponde al locale dove prendeva posto il corpo di guardia.

L'ingresso principale visto dall'interno della fortezza

Nell'epoca d'oro dell'occupazione veneziana questa porta era fiancheggiata su ambo i lati da colonne e l'arco d'ingresso era sormontato da un leone di San Marco. A ridosso della porta si apriva una corte interna che, con l'andar degli anni, venne progressivamente riempita da piccole case. La cittadella, separata dal resto della fortezza da un muro interno, occupava la parte occidentale mentre il tratto nordoccidentale delle mura è quello più antico, di epoca bizantina. Alla cittadella (attualmente non accessibile) si accede attraverso un ingresso sormontato da un arco mentre sulla sua punta più occidentale si trovano le fortificazioni più recenti ricostruite dai veneziani nel 1685.

Il sistema bastionato formato dai due torrioni più meridionali del versante orientale delle mura.

Il versante orientale delle mura, che taglia il promontorio lungo una linea perpendicolare nord-sud, era rinforzato da quattro massicci torrioni circolari, molto probabilmente realizzati durante la dominazione ottomana. I due torrioni più meridionali erano inoltre legati da due cortine murarie che racchiudevano un terrazzamento per le artiglierie e sopravanzati da un fossato.

 
Agios Charalambos: si trova grosso modo al centro della fortezza - di fronte alla chiesa di Agia Sophia che è trattata in una scheda a parte - e risale agli inizi del secondo periodo di occupazione veneziana (1685-1715). Presenta una pianta a navata unica ed una copertura lignea. Era originriamente dedicata a san Rocco. Durante la seconda occupazione ottomana fu convertita in moschea come testimoniato dal moncone del minareto (su cui venne successivamente eretto il campanile) addossato alla facciata occidentale.
 
L'iconostasi in muratura
 
Ridedicata a San Caralampo (3) dopo la liberazione e convertita al culto ortodosso è stata gravemente danneggiata da un incendio nel 2012.

Note:

(1) Per la loro importanza strategica le due città vennero definite Venetiarum ocellae (gli occhi di Venezia).
(2) Castellano era il titolo con cui veniva designato il governatore militare di una fortezza nell'amministrazione dello Stato da Mar veneziano. Nel periodo 1685-1715 Corone verrà invece posta sotto il controllo di un Provveditore
(3) San Caralampo, vescovo di Magnesia in Tessaglia, fu martirizzato sotto Settimio Severo (193-211).