domenica 19 dicembre 2021

Il castello di Roccascalegna

Il castello di Roccascalegna

Lato nordovest

Originariamente il borgo sorse come avamposto longobardo per il controllo della Valle del Rio Secco. Per difendere l'area, dove ora sorge il castello, venne eretta una torre d'avvistamento che costituì il primo nucleo della fortificazione. Il vero e proprio castello, tuttavia, è, verosimilmente, di epoca normanna. Nel 1320 Roccascalegna (1) viene nominata infatti "cum castellione", all'epoca, quindi, il castello già esisteva. Nel XV secolo vi risulta infeudato un soldato di ventura, Raimondo Annechino, agli ordini di Giacomo di Caldora. La dinastia feudataria giunge fino a Giovanni Maria Annechino a cui si deve una ristrutturazione del castello – con l'aggiunta di quattro torri - per adattarlo all'uso delle armi da fuoco (1525). Giovanni pagò però il sostegno dato al re di Francia Francesco I contro l'imperatore Carlo V con la perdita di tutti i possedimenti di famiglia (1528). In seguito il feudo viene concesso ai Carafa che lo tengono fino alla fine del secolo, quando sono costretti a cederlo per onorare i propri debiti. Ai Carafa succedono i Corvo o de Corvis che tengono Roccascalegna per oltre un secolo (1599-1717) anche se soltanto uno di loro dimorò nel castello, Giuseppe, che, ad appena 46 anni, morì (1645) in circostanze poco chiare durante un viaggio e fu sepolto nella Chiesa di San Pietro.Gli ultimi feudatari di Roccascalegna sono stati i Nanni, ma anche questi hanno avuto poca cura del feudo e dei sudditi; il Castello, sia che fosse in cattive condizioni, sia che fosse stato la scena di un omicidio, sia che non fosse più in grado di ospitare degnamente un nucleo familiare di una certa consistenza, fu abbandonato e l’abitazione del feudatario fu costruita in una zona più comoda e di facile accesso.


Si accede alla fortezza per mezzo di una lunga gradinata che dalla chiesa di san Pietro, eretta probabilmente nel XV secolo (2), conduce alla porta d'ingresso della fortezza realizzata in rovere massiccio. 


Da qui è possibile osservare i resti della garitta e della torre di guardia – a pianta circolare – che proteggeva l'ingresso. Una volta oltrepassato l'ingresso, sulla sinistra, si nota un un portale in pietra ornato da un cuore rovesciato che introduceva ad una prima torre a base circolare crollata nel 1940. A questa torre crollata è legata la leggenda del barone Corvo de Corvis che, nel 1646 avrebbe reintrodotto il discusso ius primae noctis assieme ad altre stramberie vessatorie come quella di costringere i propri sudditi a venerare un corvo nero e chi si rifiutava di genuflettersi al cospetto di questa creatura veniva arrestato e buttato in un pozzo, dove vi erano delle spade conficcate nel terreno. La leggenda vuole che una giovane sposa, recandosi al talamo del barone per consumare la notte d'amore che gli spettava, lo avrebbe altresì accoltellato a morte. L'impronta della mano insanguinata del barone avrebbe quindi resistito a tutti i tentativi di cancellarla fino al crollo della torre nel 1940. 


La corte del castello, sullo sfondo la chiesa del Santo Rosario

Proseguendo lungo il fianco nord-ovest si incontrano altre due torri addossate alle mura: la Torre del carcere e la Torre del forno (3) e, con essa comunicante, la cappella del S. Rosario, costruita nel 1577, come testimonia l'iscrizione sul portale d'ingresso. Dall' esterno della chiesa, tramite gradini in pietra che si insinuano nella roccia, si accede all'ultima torre detta "Torretta", l'unica del complesso a pianta quadrata posta sul punto più alto dello sperone roccioso e coronata da merlatura guelfa. 


Nella muratura esterna del fianco nord-ovest sono ben visibili le tracce di una precedente merlatura prima che le torri venissero sopraelevate e rinforzate in età aragonese sotto la signoria di Giovanni Maria Annechino.

Note:

(1) Secondo alcuni il termine deriverebbe dal francese "scarenna", che indica il fianco scosceso di una montagna - successivamente corrotto in scalegna. Secondo altri andrebbe invece posto in relazione con la scala lignea che dava accesso all'antica torre di avvistamento. Un'ultima ipotesi lo correla invece al nome di un feudatario longobardo di nome "Aschari" da cui "Rocca ascharenea" poi corrotto in Roccascalegna. 

(2) Per una datazione della chiesa al XV secolo propendono sia la data "1461" incisa su un arco del presbiterio, sia la reclinatio capitis (la leggera rotazione dell'abside rispetto all'asse centrale a simulare l'inclinazione del capo del Cristo sulla croce). 


(3) All'interno di questa torre è attualmente conservata una ricostruzione della macchina utilizzata dai bizantini per lanciare il micidiale fuoco greco.





domenica 10 ottobre 2021

La Chiesa di Epifanio, complesso monastico di San Vincenzo al Volturno

 La Chiesa di Epifanio, complesso monastico di San Vincenzo al Volturno

La Chiesa di Santa Maria in Insula – meglio nota come Chiesa di Epifanio - è un piccolo edificio di culto, lungo 11 metri e largo 6,5, che si trova all'interno del complesso monastico di San Vincenzo al Volturno.



Presenta una pianta a navata unica, coperta in origine con tetto a capriata, terminante ad ovest in un'abside fortemente sopraelevata (circa 1,5 m. al di sopra della quota della navata) e trilobata. La facciata dell'edificio è preceduta da un nartece in cui furono ricavate alcune sepolture. In questa forma, l'edificio risale agli interventi operati dall'abate Epifanio (824- 842) sulla chiesa originaria (VIII sec.). Sulla parete dell'abside si leggono ancora i resti della decorazione ad affresco, con motivi a velario. Nel presbiterio resta ancora parte di un altare costituito da un rocchio di colonna segato, all'interno del quale sono stati praticati degli alveoli che servivano per custodire reliquie.


L'abside sopraelevata. A sinistra si nota la porta d'ingresso alla cripta

La cripta di Epifanio ha una forma grossolanamente a croce greca, è coperta da una volta a botte ed è solo parzialmente ipogea. Nel braccio est, sotto la finestra che metteva in comunicazione visiva la navata della chiesa con la cripta, si trovano i resti di una sepoltura, che doveva custodire reliquie o i resti di un personaggio di rilievo, legato all'abbazia.

Nella seconda metà dell’VIII secolo Ambrogio Autperto, un funzionario della corte carolingia, autore di un Commentario all’Apocalisse di S. Giovanni, venne inviato nell’Italia meridionale per approfondire la situazione politica del monastero di S. Vincenzo al Volturno, uno dei più importanti dell’epoca, dove decise di abbracciare la vita monastica. Ordinato sacerdote nel 761, vi ricoprì la carica di abate per un breve periodo (777-778). Ebbe grande fama al suo tempo per aver posto la questione della centralità della Madonna nel processo di salvezza dell’uomo. Scrisse alcuni trattati, fondamentali nella storia della Marianologia, sull’Assunzione di Maria al Cielo. Come vedremo, l'apparato iconografico della cripta appare fortemente influenzato dal suo pensiero teologico.


Sulla parete sinistra, appena entrati, è dipinta la teoria delle sante martiri (3), originariamente in numero di sei ed ora di cinque (della sesta sopravvive solo l’aureola), che hanno tutte lo stesso atteggiamento ed una posizione complessiva che deriva chiaramente da esempi collegabili al corteo di sante di S. Apollinare nuovo a Ravenna. In ambedue le rappresentazioni le figure femminili sono abbigliate con ricche dalmatiche di vari colori. Una semplice fascia tiene fermo sulla testa un lungo velo che nella parte destra scende dietro la spalla per comparire poi sull’avambraccio tenuto piegato e nella parte sinistra passa sulla parta anteriore della spalla per coprire la mano che regge, senza contaminarla con il contatto della pelle, una corona impreziosita da perle.Tra le sante è stata individuata Anastasia, grazie ad una didascalia oggi non più leggibile.


Sempre sulla stessa parete ma oltre l'abside, è raffigurato il martirio dei santi Lorenzo e Stefano.Nella prima scena (20), in alto a sinistra, l'imperatore Valeriano (253-260), seduto in trono, assiste al martirio di Lorenzo. Il santo, completamente nudo, con le mani legate, è steso su una graticola mentre due carnefici, dalla parte dei piedi, lo tengono fermo con lunghe forcine a due punte. Al disopra della testa del santo sopravvivono alcune lettere dell’originale SCS LAURENTIUS. Sulla sinistra, un terzo carnefice, anch’esso come gli altri vestito di una tunichetta a mezza gamba e calzato con stivaletti di cuoio, volge le spalle al fuoco come per ripararsi dal calore trattenendo la fune con la quale è legato il martire. Al centro un angelo piombante, dalle ali multicolori e la lunga tunica, scende a testa in giù a prendere l'anima del santo.

Nella scena successiva (21), S. Stefano viene ucciso da un gruppo di lapidatori di cui rimangono visibili solamente i due di destra. Della figura del santo rimane solo la parte superiore, comunque sufficiente a farci capire che era inginocchiato e con le braccia sollevate al cielo mentre subiva il martirio (*). I lapidatori hanno tuniche più lunghe di quelle dei carnefici di Lorenzo ed hanno ambedue un ampio mantello rigirato all’indietro ed appuntato sulla spalla destra con un grande fermaglio circolare.

Fra le due scene di martirio è incavata una nicchia al cui interno è raffigurato (molto danneggiato) un personaggio in posizione di orante, con una lunga stola che copre le bianche vesti. Il capo presenta il nimbo rettangolare.


Abside: sulle due pareti rettilinee che si fronteggiano sono situate, in posizione contrapposta, le quattro figure degli arcangeli (9), simili tra loro, ritratte in atteggiamento assolutamente immobile.Solo del primo a sinistra si riconosce il nome dalla scritta verticale: SCS RAPHAEL. Una ricognizione recente e più accurata della parete che sta di fronte all’arcangelo Raffaele ha rivelato la presenza di alcune lettere di un epigrafe che attesta un riferimento all’arcangelo Michele: SCS MI … H…  


L'arcangelo Raffaele

Ogni arcangelo regge con la mano sinistra una sfera celeste che racchiude una stella ad otto punte mentre il braccio destro è piegato in modo che la mano poggi sul ventre. I loro piedi stanno su un piano orizzontale la cui prospettiva è determinata da fasce orizzontali a varie sfumature di ocra sulle quali emerge una serie di papaveracee rosse estremamente stilizzate. La cornice continua, che delimita in basso la figurazione, ed il taglio netto del piano inclinato con il fondale azzurro determina una condizione ottica tale per cui gli angeli sembrano posti su un basamento a ferro di cavallo che racchiude al suo interno l’osservatore e si apre prospetticamente, a 360 gradi, su uno spazio siderale, privo degli elementi di ingombro, cioè le montagne, che normalmente caratterizzano un paesaggio terrestre.


Dopo di ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. Poi vidi un altro angelo che saliva dall’oriente ed aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra ed il mare (Apocalisse, 7, 1-2).

Nella nicchia absidale, all'interno di un clipeo, è raffigurato un quinto arcangelo (7).


Ambrogio Autperto attribuisce ai quattro angeli descritti da San Giovanni un potere quasi malefico di esecutori di una sentenza al quale si oppone il quinto angelo che, per il fatto di reggere il Sigillo del Dio vivente, rappresenta il Cristo Giudicatore e Vendicatore. Il quinto arcangelo tiene infatti nella mano destra un’asta con una croce al vertice, simbolo di potere che richiama il Sigillo del Dio vivente che sarà utilizzato per segnare i figli di Israele un attimo prima della devastazione universale. A questo si aggiunga che in sede di restauro, in basso a sinistra, subito fuori del clipeo che contorna l’Angelo Vendicatore, sono riapparsi brandelli di una figura inginocchiata con alcune lettere di una epigrafe ormai incomprensibile …D…EPIS…D… . Evidentemente si tratta di un monaco orante, forse lo stesso Epifanio, che, nel riconoscere nell’angelo centrale la figura del Cristo cui rivolgere la preghiera, implicitamente fa riferimento alla interpretazione autpertiana di quel brano dell’Apocalisse.  

Al centro della pseudo-cupola (6), all’interno di una calotta azzurra contornata da due fasce, una rossa ed un’altra azzurra, trapuntate di stelle, con una scritta verticale alla sua sinistra dove si legge SCA MARIA, campeggia l'immagine della Madonna Regina, assisa in trono e assunta nella sfera celeste. Si tratta della più antica immagine dell'Assunta a tutt'oggi conosciuta.



La Teotokos è vestita con una grande dalmatica rossastra con una larga orlatura dorata che nella parte centrale forma un clavo. Dalle larghe maniche bianche spuntano gli avambracci fasciati dalla stoffa preziosa della tunica ocra che spunta anche sulla parte bassa della veste a coprire parte dei piedi calzati da pantofole regali arricchite da fili di perle. La mano destra è aperta con le dita allargate ed il palmo rivolto verso chi guarda, mentre la sinistra regge un grande libro aperto poggiato sulle gambe e le cui pagine riportano a grandi lettere la scritta BEATAM ME DICENT (ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes, Luca, XVI, 48).

Al centro della volta, in alto, rimangono labili tracce del Cristo dell’Apocalisse (5). Della testa rimangono solo i lunghi capelli che, raccolti sulla nuca, scendono fin sulle spalle. Grandissima è l’aureola dorata crucisegnata e contornata da una larga fascia più chiara.

Proprio di fronte alla cavità dell’abside, in asse architettonico, si sviluppa il braccio corto della cripta che, nella parte centrale, si conclude in alto in forma semicircolare per l’innesto della volta a botte che contiene la figura del Cristo dell’Apocalisse. Su questa parete, dove si apre una piccola finestra, che anticamente permetteva di osservare l’interno dell’ambiente inquadrando specificamente la parte centrale con la rappresentazione degli Arcangeli, è raffigurata la scena dell’Annunciazione.


Annunciazione

Sulla sinistra della finestrella, accanto ad una colonna tortile che rappresenta un particolare della casa di Maria, è raffigurato l'arcangelo Gabriele (10), ritratto nel momento in cui, terminata la planata, si sta ponendo in posizione verticale. Va notata la straordinaria dinamicità della figura che non trova riferimenti analoghi in alcuna delle rappresentazioni coeve o comunque precedenti il XII secolo, sia nelle pitture murali che nelle miniature.  Sulla destra è la Madonna (11) che appare come sbigottita per l’improvvisa apparizione dell’Arcangelo, la mano sinistra è completamente aperta, con il palmo rivolto verso la parete opposta ad evidenziare l’atteggiamento di sorpresa se non addirittura di spavento. Anche in questo caso è ritratta in abiti regali, in piedi davanti ad un trono riccamente decorato da perle e pietre preziose. Non si vedono i piedi, ma la posizione complessiva ci fa intuire che essa sia appena scesa dal suppedaneo e con la mano sinistra, che regge ancora due fuselli di un arcolaio, cerchi di appoggiarsi al voluminoso cuscino purpureo.  

A sinistra dell’Annunciazione, sulla piccola parete trasversale, è raffigurata la Natività (12), con Maria distesa su un letto e accanto Giuseppe che è ritratto, con le gambe accavallate, seduto su uno sgabello esagonale. Un mantello ocra copre una tunica bianca ed una grande aureola circonda il capo. E’ un uomo anziano ed è rappresentato in posizione pensosa, con la mano destra che sostiene la testa e la sinistra che indica Maria.

Sulla parete opposta, nella parte superiore era raffigurata la scena del Bambino nella mangiatoia – oggi quasi completamente scomparsa – mentre in quella inferiore si osserva la scena del Bagno del Bambino (13). Le due levatrici lavano Cristo in una vasca a forma di grande calice. 


Quella di destra (Zelomi) è in piedi e sta versando l’acqua con un’anfora monoansata, mentre quella di sinistra (Salome) è seduta su uno scanno e sta lavando il Cristo Bambino il cui capo è contornato da un’aureola crucisegnata che reca esternamente, sui due lati, i monogrammi verticali alla greca IHS e XPS. Questi è in posizione retta con il braccio destro piegato, quasi ad accennare ad un segno benedicente, e la mano sinistra poggiata sull’orlo della vasca.  

Proseguendo lungo la parete, subito vicino alla scena del Bagno del Bambino, vi è la Madonna Regina assisa in trono con il Bambino (4). 


La Teotokos è raffigurata come una basilissa bizantina, indossa vesti sontuose, impreziosite da ricche applicazioni dorate a cerchi concentrici che, nella parte bassa della dalmatica, si concludono con un orlo a fasce anch’esse dorate, alternate a fili di perle. I capelli, tutti raccolti in un’alta corona dorata e trapuntata di perle, evidenziano i pendulia che caratterizzano la corona imperiale bizantina. Il Bambino, seduto e con un’aureola crucisegnata, in atteggiamento benedicente ed un rotulo nella mano sinistra, è interamente racchiuso in un clipeo ovale, sorretto dalla Madonna che lo tiene poggiato sulle sue gambe.Ai piedi della Vergine, sulla sinistra, compare la figura - inginocchiata nell'atto della proskynesis - di un monaco orante vestito di una tunica chiara e tonsurato (**).

Più in basso, sulla destra, sopravvivono i volti di due personaggi (un terzo è andato totalmente perduto poco prima dei restauri) forse realizzati in epoca successiva. Quello di destra ha un copricapo tronco-conico decorato con pietre preziose (una sorta di corona) dal quale esce una ricca capigliatura rossiccia. Di quello centrale si vede parte del capo dai capelli bianchi. Di quello più a sinistra, come già detto, non rimane praticamente più nulla. I due personaggi di sinistra potrebbero essere due abati in abiti da cerimonia, mentre quello di destra un membro della famiglia imperiale.

Segue la scena della Crocefissione (14). Il capo del Cristo è lievemente reclinato ed i lunghi capelli, divisi da una scriminatura centrale, scivolano sulla spalla sinistra. Del volto appena leggibile si riconoscono gli occhi socchiusi ed una rada barba. L’aureola, fortemente evidenziata da una cornice scura, è crucisegnata e sul piccolo braccio di sinistra sopravvive una Omega. Il perizoma rossiccio è costituito da un grande panno annodato sull’anca sinistra che scende fino a coprire il ginocchio destro. I piedi divaricati non hanno alcun appoggio. Sul vertice della croce una tavola trasversale reca la scritta JHESUS CHRISTUS REX JUDEORUM.


Crocefissione

A sinistra e a destra, al disopra dei bracci, sono rappresentati rispettivamente il sole oscurato e la luna che appare in conseguenza dell’eclissi, in sintonia con la narrazione evangelica (Marco XV, 33). Ai lati della croce, La Vergine e Giovanni. Una lunga scritta orizzontale, divisa dalla croce, riporta il versetto in latino: MULIER ECCE FILIUS TUUS, FILIUS ECCE MATER TUA (Giovanni XIX, 26). Inginocchiato ai piedi della croce, identificato dalla didascalia, è raffigurato l'abate Epifanio. La vistosa tonsura e la casula rossa che copre la sua tunica bianca confermano la sua posizione nell’ambito della organizzazione monastica ed il nimbo rettangolare che inquadra il suo capo attesta che egli fosse in vita al momento della realizzazione dell'affresco.  

In alto, a sinistra della Crocefissione, si nota una donna seduta (15), con il viso appoggiato sulla guancia della mano sinistra, mentre con la destra si rivolge a Cristo, lunghi capelli sciolti le scendono dal capo su cui poggia una corona muraria. L'epigrafe HIERUSALEM sottolinea che si tratti della personificazione di Gerusalemme, che piange sulle sue sventure dopo la profezia della sua distruzione pronunciata da Gesù nella domenica della Palme (Luca, XIX, 41-44) (***). 


Nella nicchia sottostante, sollevate da terra, si osservano le anime di Lorenzo (SCS LAURENTIUS) e Stefano (18, 19) ai lati del Cristo Risorto (17) con l’aureola crucigera sulla quale erano i monogrammi dell’Alfa e dell’Omega e la destra benedicente alla greca, mentre la sinistra regge un libro su cui sono scritte le parole pronunciate dal Signore quando apparve a Mosè nel Sinai (EGO SUM DS ABRAHA).


Le pie donne al sepolcro

A sinistra della Gerusalemme dolente, è raffigurata la scena delle Pie donne al Sepolcro. Un angelo con le ali multicolori è pronto per alzarsi in volo mentre sta annunziando alle due donne che il Cristo è risorto. Con la mano sinistra regge una lunga e sottile asta mentre con la destra indica il sepolcro che gli è alle spalle. Una strana cornice della tomba, su cui si legge SEPULCRUM DNI, si apre nella parte centrale con un riquadro rettangolare attraverso il quale si vede il sudario abbandonato. Sulla sinistra, completamente avvolte in mantelli marrone, sono Maria di Magdala e Maria madre di Giacomo che recano i vasi con gli unguenti che dovevano servire ad imbalsamare Gesù. 

Recenti lavori di restauro hanno rivelato una sepoltura in quello che si riteneva il basamento di un altare votivo posto immediatamente al di sotto della Madonna dell'Annunciazione, confermando la funzione di cappella funebre della cripta. La particolarità di questa sepoltura consiste nel fatto che il corpo del defunto poteva trovarvi posto soltanto in posizione seduta. E – come osservato da Valente (cfr. bibliografia) - è da questo punto di vista (che è quello che avrebbe avuto il defunto - molto probabilmente lo stesso abate Epifanio - al risveglio) che va letto il programma iconografico della cripta, soltanto da questa posizione è infatti possibile vedere contemporaneamente la Madre di Dio ed il Cristo.


Note:

(*) I testimoni deposero i mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo. E lapidavano Stefano che pregava e diceva: Signore Gesù accogli il mio spirito. Poi piegate le ginocchia gridò a gran voce: Signore, non imputare loro questo peccato! E ciò detto si addormentò (Atti degli Apostoli,7, 58-60).

(**) E.Bertaux (1900) individua in questa figura l'autoritratto del monaco che dipinse il ciclo di affreschi.

(***) Verranno sopra di te giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte! Distruggeranno te e i tuoi figli in mezzo a te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata.


Bibliografia:

- F.Valente, La cripta di Epifanio a San Vincenzo al Volturno, 2009





  







domenica 28 marzo 2021

Il Palazzo dei Despoti, Mistrà

Il Palazzo dei Despoti
Sede dell'amministrazione di Mistrà era il complesso palaziale che si affacciava sulla piazza di Ano Chora. Qui risiedeva anche il governatore e successivamente vi risiedettero i Despoti. L'edificio a forma di L risulta da quattro diverse fasi costruttive che vanno dal XIII al XV secolo.
Alla prima fase corrisponde l'edificio più orientale (A), una struttura a due piani a pianta rettangolare e completata da una torre, che risale probabilmente alla dominazione latina (1205-1259) giacchè presenta alcuni tratti decisamente occidentali come le finestre ad arco acuto. 
Durante il regno di Andronico II, alla fine del XIII secolo o agli inizi del XIV, il Palazzo si espanse verso ovest con un fabbricato a due piani di caratteristiche più marcatamente bizantine che presenta finestre sovrastate da un archeggiatura semicircolare (D); qui si trovavano le cucine ed altre aree occupate dai servizi. 


Manuele Cantecuzeno - figlio dell'imperatore Giovanni VI - despota di Morea dal 1349 al 1380, aggiunse un terzo edificio (E) sempre lungo l'asse est-ovest con caratteristiche simili a edifici veneziani coevi. La stanza centrale del piano superiore venne successivamente trasformata in cappella e vi si conservano lacerti di affresco. 
L'ultimo edificio in ordine di tempo (F) – noto anche come Palazzo dei Paleologhi - è costituito da un'ala che si sviluppa su tre piani: il piano terra destinato a magazzino, quello rialzato – che appare diviso in otto ambienti da setti murari perpendicolari – a casermaggio e l'ultimo che era occupato esclusivamente dalla sala del trono che affacciava con otto grandi finestre su una ampia balconata che prospetta sulla piazza antistante. La sala del trono era riscaldata da otto grandi camini le cui canne fumarie sporgono sulla facciata esterna a guisa di contrafforti. Questo edificio è per solito attribuito all'imperatore Manuele II (1391-1425) che soggiornò a Mistrà per due lunghi periodi nel 1408 e nel 1415. Quest'ala del palazzo, inoltre, fu fortemente danneggiato da un incendio quando la città era già in mano ai turchi durante la spedizione di Sigismondo Malatesta (1464-1466). 
La Gilliland Wright (2010) restringe invece l'arco di datazione di quest'ala al 1429-1433 e attribuisce gli elementi squisitamente occidentali che presenta (come le finestre circolari che illuminano la sala del trono o il complesso balconata-portico) all'influenza della despoina Cleofe Malatesta (1419-1433) - moglie del despota Teodoro II – e di personalità legate al suo entourage, senza escludere l'intervento diretto di maestranze venute dall'Italia. E' comunque da notare una certa somiglianza del prospetto del Palazzo dei Paleologhi con quello del Palazzo ducale di Venezia.  

Palazzo ducale, Venezia