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domenica 29 marzo 2015

De Andronico Costantinopolitano Imperatore di Giovanni Boccaccio

De Andronico Costantinopolitano Imperatore di Giovanni Boccaccio

Il De casibus virorum illustrium fu scritto da Giovanni Boccaccio tra il 1356 ed il 1359 e narra dei casi di 58 personaggi illustri che dall’altezza della loro condizione, per un improvviso rovescio della Fortuna, andarono in rovina. Un capitolo è dedicato all'imperatore bizantino Andronico I Comneno (1183-1185), qui riproposto nella traduzione in volgare di Giuseppe Betulsi, pubblicata a Firenze nel 1597.
Il De casibus non è in sé un'opera storica, in quanto il suo intento è quello di insegnare le virtù e biasimare i vizi ed in particolare vincere la superbia che inorgoglisce l’animo dell’uomo e infondere l’umiltà, ma tale fu considerata dai letterati contemporanei del Boccaccio. Nelle note sono state sottolineate le aderenze e le difformità della narrazione rispetto alla realtà dei fatti.

Andronico trasse la sua origine del nobil ceppo degli antichi Imperadori. Vogliono alcuni, che costui, essendo Imperadore Emanuele suo fratel cugino, per l'incesto avuto con la sorella, se ne fuggisse insieme con lei in Turchia, a fine di schivar l'ira, e la tema di Emanuele, ed ivi mentre quelli visse, se ne stesse. Altri poi dicono, che essendo giovane sediziosissimo, e che continuamente tentava cose strane, per comandamento d'Emanuele, fu prima imprigionato: indi con l'andar del tempo, dando di sé migliori speranze, fu tratto di prigione, e fatto governatore del Ponto (1). Finalmente, morto Emanuele, già vecchio, non essendo presente Andronico, e restando successor dell'Imperio un suo piccolo figliuolo chiamato Alessio, venne al governo di quello, come tutore, un altro Alessio pur suo parente (2). Il quale non solamente togliendosi la cura del fanciullo, ma usurpandosi la tirannia dell'Imperio, incominciò crudelmente adoperarsi contro i sudditi. La onde da quelli fu chiamato Andronico, il quale venendo con un esercito di Turchi, ovvero con l'armata del Ponto, facilmente occupò la città. Tagliato a pezzi il tiranno, e venutogli disìo di signoreggiare, dopo l'aver segretamente ammazzato il fanciullino Alessio, e legato in un sacco, fattolo gittare in mare, comandò che Maria sua sorella, insieme con Ranieri di Monserrato di lei marito, fossero morti (3). Indi, non essendo restato nessuno di real sangue, a cui potesse pervenire l'Imperio, eccetto un certo Isacco, a mezzo delle ferite delle sorelle, e per tanti morti, e sangue sparso, tutto sanguigno e colmo di crudeltà, ascese a Imperadore. E acciocchè l'età più matura non fosse differente dalla più acerba subito incominciò a farsi familiari tutte le sorti d'huomini scelerati, come sarebbe a dire, traditori, sacrileghi, simulatori, falsari, assassini, banditi, ed altri tali. Oltre di ciò con carezze, doni, minacce, e a forza voleva violare tutte le donne caste, e buone. Appresso i sacri chiostri delle monache faceva rompere, macchiava i letti d'adulteri, infamava la pudicizia delle vedove, e con le sue sceleratezze, bruttava tutti i luoghi. Ma quello, ch'era più infame di ogni altra cosa, poscia che aveva sfogato i suoi sfrenati appetiti, dava le pudiche donne nelle mani dei servi ad essere oltraggiate, e a viva forza corrotte. Così, con le sue iniquità, avendo macchiata la coscienza, e l'onor di tutti, rivolse il fiero animo alle ruberie. Onde, o con giusti giudizi, o con false invenzioni, e se altrimenti non poteva, con forza, e con violenza palese, non lasciava ad alcuno dei suoi cittadini i suoi beni. Per le quali tristizie parve, che la Fortuna si movesse a sdegno. Perciocché avendo il fiero huomo ultimamente rivolto il crudele animo contro Isacco, al quale già aveva perdonato, e avendolo mandato a chiamar, che venisse a lui; avvenne che Isacco s'immaginò la scelerità d'Andronico. Onde, ammazzato il messaggiero (4), si fermò in mezzo al popolo, dimandando l'aiuto de' cittadini, e ricordando loro gli oltraggi, e le villanie ricevute da Andronico. Per le quali parole facilmente mossi, presero l'armi, e innalzarono all'imperio Isacco. Indi occupata quella parte della città dove stavano rinchiusi i tesori reali, subito, assediarono Andronico tutto pieno di paura, e d'affanno. Né molto dappoi, non si potendo difendere, lo pigliarono e lo diedero nelle mani di Isacco. Il quale veggendo che aveva offeso tutto il popolo, commesse infinite scelerità, pensò come lo potesse punire, con grave e fiero tormento, di maniera che tutti restassero soddisfatti. La onde si fece menare in pubblico Andronico dinanzi, e spogliatolo delle vesti reali, gli fece cavare un occhio, e mettere una mitera di carta in capo, con la coda di un asino in mano in vece di scettro. Comandando, che fosse posto sopra un asino con la faccia verso la coda, e che ogn'uno potesse dirgli, e fargli tutto quello gli piacesse, pur che non l'ammazzassero: così fece condurre per tutta la città il sublime Imperadore. Finalmente acciocché giungesse all'alto seggio della meritata dignità, comandò che fosse condotto fuori della città, e con un laccio innalzato sopra un sublime palco. Così adunque adornato il buono Andronico, e accompagnato da una schiera di manigoldi, mentre era condotto per li borghi, veniva da ogni parte con ignominiose parole, e rei effetti circondato e afflitto dalla plebe, la quale, con gridi, non cessava d'ingiuriarlo. E come che fosse tutto carico di lezzo, di fango, di sputo, e di sterco, tuttavia dalle finestre, l'infelice era bagnato dalle donne d'orina, d'ogni altra sporcizia, che imaginar si possa, fino a tanto che giunse al destinato luogo, dove aveva a finir la misera vita col laccio. Ivi alla fine pervenuto appena vivo, fu tolto dalle mani del popolo tutto pesto da sassi, e afflitto, e ultimamente sopra le forche sospeso; così quel poco di vita che gl'era restata, fu finita da una sottil fune. Né perciò, con questa morte si terminò l'odio, che le donne in vita gli portavano, atteso che con uncini da molte fu sbranato, e tanto in quelle poteron le forze dell'odio, che mangiarono parte di quelle ree membra, ch'erano state tormentate.


Illustrazione della storia di Andronico tratta da un'edizione miniata del De casibus virorum illustrium del XV secolo conservata presso la Biblioteca Nazionale Francese (Parigi). Andronico vi compare due volte, a sinistra mentre ordina l'assassinio di Maria Comnena e Ranieri di Monferrato e di gettare a mare il corpo di Alessio II, a destra sospeso alla forca.


Note:

(1) Andronico Comneno ebbe due mogli e numerose relazioni amorose che suscitarono scandalo presso la corte comnena. Quella a cui sembra alludere il testo - incestu cum sorore habitu, nel testo latino, dove il termine soror intende probabilmente quello di soror patruelis (cugina) - che suscitò l'ira di Manuele I, e che contribuì ad attirare sul suo capo anche l'anatema del patriarca di Costantinopoli, dovrebbe essere la sua relazione con Teodora Comnena, sua cugina, figlia del fratello di Manuele, Isacco, rimasta vedova del re di Gerusalemme Baldovino III (1143-1161). Invaghitosi di lei mentre era al servizio di Amalrico I di Gerusalemme che lo aveva infeudato a Beirut in compenso dei suoi servigi, fu costretto a fuggire insieme all'amante perchè il re di Gerusalemme, alleato di Manuele, non poteva più garantirgli protezione. Insieme peregrinarono per le corti d'Oriente, soprattutto quelle turche, fino ad essere accolti dal governatore turco della città di Erzorum (l'antica Teodosiopoli) che prese a benvolere Andronico e gli affidò una cittadella fortificata nei pressi di Colonia (l'attuale Sebinkarahisar) praticamente a ridosso della frontiera bizantina (1167). Qui Andronico trascorse diversi anni insieme a Teodora, ai due figli che gli aveva dato, Alessio e Irene, ed al figlio Giovanni avuto dalla prima moglie, compiendo scorribande nei territori dell'impero. Nel 1180 Niceforo Paleologo, il governatore di Trebisonda, riuscì a catturare Teodora ed i suoi due figli e a condurli a Costantinopoli. Qui si precipitò Andronico che si gettò ai piedi di Manuele implorandone il perdono e accettando di giurare fedeltà a lui e a suo figlio Alessio. L'imperatore fu nuovamente indulgente nei confronti del cugino ribelle ma preferì allontanarlo dalla capitale affidandogli il governatorato delle città di Sinope e Oinaion (l'attuale Unye) nella regione del Ponto dove, il 24 settembre dello stesso anno, lo raggiunse la notizia della morte di Manuele.

(2) Il nuovo basileus, l’undicenne Alessio II, venne affidato ad un consiglio di reggenza che aveva il fulcro nella madre, la latina Maria d’Antiochia, monacatasi con il nome di Xene dopo la morte di Manuele I (lo status monacale era necessario per poter assumere la reggenza), ma le redini dello stato finirono interamente nelle mani del suo favorito il protosebastos Alessio Comneno, un nipote del defunto Imperatore.

(3) In realtà la sequenza degli avvenimenti è diversa. Il protosebastos Alessio Comneno fu arrestato e consegnato ad Andronico – che lo fece accecare e successivamente uccidere – mentre questi non era ancora entrato in città. La kaisarissa Maria Comnena, figlia del primo matrimonio di Manuele I con Berta di Sulzbach (Irene) e quindi sorellastra di Alessio II, e suo marito, il cesare Ranieri di Monferrato, furono eliminati (probabilmente avvelenati) prima dell'incoronazione di Andronico (settembre 1183) come anche Maria di Antiochia, accusata e condannata a morte per alto tradimento (il giovane imperatore Alessio II fu costretto a controfirmare la condanna a morte della madre) e giustiziata nel settembre 1182. Alessio II fu invece eliminato per ultimo, strangolato con una corda d'arco ed il suo cadavere gettato a mare in un sacco, un mese dopo l'incoronazione di Andronico a coimperatore.

(4) Isacco Angelo aveva già partecipato ad altri tentativi di rovesciare Andronico ma questi, giudicandolo non troppo pericoloso, si era limitato a recluderlo nel suo palazzo (al quale già aveva perdonato). Con l'avvicinarsi dell'esercito normanno, Andronico diede l'ordine di arrestare tutti gli oppositori. Il fidato Stefano Agiocristoforita, già coinvolto nell'assassinio del giovane Alessio II ed elevato da Andronico alla carica di logoteta, ricevette l'incarico di arrestare Isacco Angelo che non si fece trovare impreparato e lo uccise (ammazzato il messaggiero).


giovedì 26 marzo 2015

chiesa di San Cataldo, Palermo

chiesa di San Cataldo


Fatta costruire tra il 1154 ed il 1160, molto probabilmente dal Grande Ammiraglio del Regno Maione da Bari (1) come cappella privata del suo palazzo di cui oggi non rimangono resti, sorge sullo stesso basamento su cui si trova la chiesa della Martorana.
Alla morte di Maione (1161) le sue proprietà furono confiscate e la chiesa ceduta al conte Silvestro di Marsico - cugino del sovrano e membro del ristretto gruppo di familiares regis chiamato a raccogliere l'eredità politica dello stesso Maione - il cui figlio Guglielmo nel 1175 la vendette alla Regia dogana.
Nel 1182, assieme al palazzo, fu donata da re Guglielmo II alla cattedrale di Monreale, i cui arcivescovi utilizzarono il complesso come loro residenza palermitana.
Nel 1787 la Regia corte acquisì l’intero complesso, destinando la cappella all’Arcivescovo di Palermo e il palazzo alla Posta delle Lettere.
A fine ‘800 il palazzo venne raso al suolo.
Nel 1938 la chiesa fu assegnata all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e, da allora, il largo sul quale sorge (e lo spazio sottostante su Via Maqueda) è stato denominato "Largo dei Cavalieri del Santo Sepolcro".

 
La facciata settentrionale è ripartita da tre archi ogivali a rincassi con finestrelle a cui, sull’angolo NE, se ne affianca uno cieco. In alto, è decorata da una cornice lavorata ad intaglio. All’angolo NO si apre invece l'attuale la porta d'ingresso.
Al di sopra della cornice si trova un corpo oblungo più ristretto sormontato dai tre bulbi delle cupolette a sesto rialzato.
La struttura muraria è rigorosamente identica su tutti e quattro i lati, movimentata solo dal gioco dei rincassi.
 
Facciata orientale
 
Nella facciata orientale solo l'abside centrale è leggermente aggettante mentre le due laterali sono contenute nello spessore della muratura.
 
Interno
L'interno è diviso in tre corte navate da sei colonne di reimpiego. La nave è costituita da tre campate a pianta quadrata coperte da cupole mentre sulle campate orientali si innestano le tre absidi poco profonde.
Le pareti e le volte non sono mai stati ricoperti da decorazioni.
Da notare il raccordo fra gli angoli del tamburo rettangolare e il cilindro della cupola realizzato da un gioco alternato di archetti a rincasso e finestrelle secondo la tipologia magrebina.
 
Su una parete nei pressi dell'ingresso si trova un'epigrafe che ricorda la sepoltura della piccola Matilde di Marsico morta nel 1161.
 
Note:
 
(1) Figlio di un giudice barese, Maione iniziò la carriera nella pubblica amministrazione normanna durante il regno di Ruggero II che lo nominò dapprima scriniario (responsabile dell'archivio della Curia regia), quindi vicecancelliere e infine cancelliere. Poco dopo l'incoronazione di Guglielmo I d'Altavilla (aprile 1154) fu da questi insignito del titolo di amiratus amiratorum – lo stesso di cui era stato insignito Giorgio di Antiochia (cfr. nota 1 in S.Maria dell'Ammiraglio) durante il regno di Ruggero II - equiparabile a quello di primo ministro del regno. In quanto tale fu quindi il principale responsabile della spietata politica di repressione delle spinte autonomiste dell'aristocrazia feudale che caratterizzò la prima fase del regno di Guglielmo. Odiato dai baroni, la notte del 10 novembre 1160, mentre rincasava da una visita all'arcivescovo Ugo, fu assassinato in un agguato organizzato da Matteo Bonello, un giovane esponente dell'aristocrazia, a cui non fu estraneo lo stesso arcivescovo che fece chiudere le porte del palazzo alle spalle di Maione tagliandogli ogni via di fuga.



domenica 22 marzo 2015

S.Maria dell'Ammiraglio (La Martorana), Palermo

S.Maria dell'Ammiraglio (La Martorana), Palermo

La cupola

Fu fondata nel 1143 e destinata al rito greco-ortodosso per volere di Giorgio d'Antiochia, il grande ammiraglio (1) di origine siriana che fu al servizio di Ruggero II dal 1108 al 1151. Nel 1194 nei suoi pressi sorse un monastero benedettino femminile, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana, motivo per il quale diventò nota come "Santa Maria dell'Ammiraglio" o della "Martorana".
Nel 1282, dopo i vespri antiangioini, i baroni giurarono in questa chiesa fedeltà a Pietro III d'Aragona.
Nel 1435 la chiesa, per privilegio di re Alfonso, viene ceduta al monastero della Martorana. Il passaggio alla liturgia latina e la nuova funzione di chiesa conventuale resero necessari dei lavori di ampliamento.
Soppresso il monastero benedettino, nel 1866, anche la chiesa venne chiusa al culto. Divenne in seguito sede della Sovrintendenza ai Monumenti.
La chiesa ritornò all’Autorità ecclesiastica nel 1926 e il 26 ottobre 1937 venne assegnata, in forza della Bolla pontificia "Apostolica Sedes" che la elevava alla dignità di Concattedrale, alla nuova Eparchia di rito greco-ortodosso di Piana degli Albanesi.
Dal 1943 è anche sede della parrocchia di S.Nicolò dei Greci.

La chiesa originaria aveva una pianta a croce greca inscritta con una cupola centrale ottagonale impostata su quattro colonne e si apriva su un cortile porticato – aggiunto insieme all'esonartece successivamente, tra il 1146 ed il 1185 - sostenuto dalle otto colonne di granito che oggi si trovano nella sala del vestibolo interno. Il santuario era tripartito ed all'esterno la facciata orientale mostrava le tre absidi aggettanti.
La chiesa originaria

Nel 1588, al fine di adeguare gli spazi di una chiesa nata come cappella familiare alle necessità di una chiesa conventuale, l'edificio venne profondamente rimaneggiato. Il cortile porticato venne smantellato insieme alla facciata occidentale ed al nartece conferendogli l'aspetto attuale di chiesa a tre navate. Al posto del cortile venne addossato alla chiesa un edificio su due livelli, il primo andò a formare una sorta di vestibolo e quello superiore ospitò il matroneo ed il coro.
Tral il 1693 ed il 1696 venne smantellato l'abside – con conseguente perdita del mosaico bizantino – sostituito dall'attuale cappella quadrangolare attraverso le cui finestre inferiori veniva distribuita l'Eucaristia alle monache di clausura.
Nell'ambito della ristrutturazione resa necessaria dai danni prodotti dal terremoto del 1726 infine, fu realizzata, su progetto di Nicolò Palma l'attuale facciata lungo il fianco settentrionale del vestibolo.
Alla fine del secolo scorso vennero eseguiti impor­tanti lavori di restauro ad opera di Giuseppe Patricolo nel corso dei quali venne rimossa parte delle aggiunte realizzate in età barocca (2).

La chiesa attuale

Campanile: il campanile, dal cui piano terra si accede oggi alla chiesa, fu costruito probabilmente alla fine del XII sec. addossato al lato occidentale del portico e culminava con una cupola demolita a seguito del terremoto del 1726. E' impostato su un alto dado su cui si aprono tre portali ad arco acuto a cui segue un altro dado che corrisponde in altezza al matroneo su cui si aprono tre bifore inquadrate in una cornice a bugnato.


Gli ultimi due livelli non ripetono più la semplice volumetria a dado ma mostrano sguinci angolari che si innestano su corpi murari a cilindro caratterizzati da nicchiette ciascuna decorata da tre colonnette. In totale il campanile conta oggi ben 57 colonne, che probabilmente erano di più considerando quelle della cupola crollata, cosa che gli ha meritato l'appellativo di campanile delle colonne.
 
Lato settentrionale
 
 
Il lato settentrionale si mostra come doveva apparire anche all'atto di fondazione della chiesa, a filari di piccoli conci squadrati, movimentata da tre archi rincassati, ciscuno dei quali ospita una finestra. Al terzo arco in basso corrisponde una porta sormontata da un architrave marmorea su cui è scolpita una scena di caccia. In alto la facciata termina con una cornice di conci scolpiti lungo cui correva l'iscrizione di dedicazione della chiesa. Il tamburo della cupola, rivestita in cocciopesto, è ottagonale e fenestrato lungo i lati.

Interno
La chiesa bizantina è preceduta da una sorta di grande vestibolo che ha sostituito l'atrio porticato originario (la cui planimetria è stata evidenziata durante i restauri ottocenteschi da percorsi in mattoni di cotto rosso). Le volte del vestibolo sono impostate su otto colonne di granito che residuano dal precedente atrio e sostengono il piano superiore che ospitava il coro ed il matroneo. Agli angoli nord e sudorientali dell'attuale vestibolo, con la trasformazione del 1588 vennero istituite due cappelle angolari ai lati delle quali si trovano oggi le due grandi icone musive raffiguranti la Dedicazione della chiesa alla Vergine (nord) e l'Incoronazione di Ruggero II (sud). Molto probabilmente entrambe erano precedentemente collocate nella controfacciata della chiesa originaria demolita con l'ampliamento del 1588.
 
Dedicazione della chiesa alla Vergine
 
Giorgio di Antiochia è raffigurato nell'atto della proskynesis davanti alla Vergine che sorregge un cartiglio su cui è scritto: Chi ha costruito dalle fondamenta questa mia casa, Giorgio il primo fra i primi di tutti i miei principi, o Figlio, custodiscilo con la sua gente da ogni male e donagli il perdono dai peccati, perchè tu ne hai il potere come unico Dio, O Verbo. La scena è assimilabile ad una deesis, la figura del Cristo appare infatti a destra del riquadro nell'atto di ricevere la preghiera d'intercessione.

L'incoronazione di Ruggero II

Il re è raffigurato vestito come un imperatore bizantino mentre china lievemente il capo per ricevere la corona dalle mani del Cristo. Oltre ad essere un omaggio al suo re, il mosaico esplicita anche la politica caldeggiata da Giorgio di Antiochia: uno stato imperiale con possedimenti in tutto il Mediterraneo ed una dinastia (gli Altavilla) in grado di raccogliere l'eredità di Bisanzio.
Ruggero d'Altavilla fu incoronato ufficialmente il 25 dicembre del 1130 nella cattedrale di Palermo, alla presenza del legato dell'antipapa Anacleto II (1130-1137) - il cardinale Gregorio Conti di Santa Sabina - che il 5 novembre dello stesso anno aveva istituito nel Concilio di Melfi da lui convocato (non riconosciuto dalla Chiesa cattolica) il titolo di re di Sicilia.

Il programma iconografico della chiesa originaria è incentrato sulla figura della Vergine – sono rappresentate infatti soltanto le scene del Dodekaorton in cui la Vergine è protagonista - a cui la chiesa è dedicata ed è molto probabilmente opera di maestranze costantinopolitane.

Cupola: al vertice della cupola è raffigurato il Cristo pantokrator, seduto in trono con la destra benedicente e la sinistra che sorregge il Vangelo. Nella cornice del cerchio che racchiude il Cristo si legge: + Io sono la luce del mondo + chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Giovanni VIII, 12). Nel registro inferiore si dispongono, nella postura della proskinesis, i quattro arcangeli.
Alla base della cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione in caratteri cufici dipinti in bianco su fondo turchino, il cui testo comprende un inno della liturgia bizantina (il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di Giorgio d’Antiochia.
Negli otto lati del tamburo sono raffigurati altrettanti profeti e nelle nicchie angolari i quattro evangelisti.
Negli archi sottostanti il tamburo sono rappresentate le scene dell'Annunciazione (arco orientale) e della Presentazione di Gesù al tempio (arco occidentale) mentre gli archi nord e sud sono ricoperti dal solo fondo oro.


Annunciazione: l'arcangelo Gabriele è raffigurato nella metà sinistra dell'arco, Maria, mentre fila il velo per il tempio, in quella destra. Alla sommità dell’arco, al centro della scena, è rappresentato l’emisfero celeste, da cui esce la Mano di Dio.Tesa in atto allocutorio verso Maria, emana un raggio che, presumibilmente, in origine la colpiva all’altezza della spalla ma oggi si arresta a una certa distanza da Lei, nel punto in cui si posa una bianca colomba. L’ultima sezione del raggio è ora perduta nel fondo d’oro, ove però sono evidenti tracce di restauro.
Presentazione di Gesù al Tempio: nella metà sinistra dell'arco, la Vergine offre il Bambino a Simeone il Giusto che protende le mani velate verso di Lei dalla metà di destra dell'arco.
 
Prothesis e Diakonikon: nelle absidiole si trovano rispettivamente Gioacchino ed Anna, i genitori della Vergine.

S.Anna

Volta del braccio occidentale della croce: Natività del Cristo e Dormizione della Vergine. La giustapposizione di queste due scene non è infrequente nel programma iconografico bizantino e corrisponde ad una correlazione tra i due momenti ben formalizzato dall'imperatore Leone VI (886-912) in un suo sermone dedicato alla Vergine: giacchè hai tenuto tra le braccia il Signore quando si è fatto carne, sei nelle braccia del Signore da quando hai lasciato le tue carni. Parallelismo tra le due scene che qui si esprime, oltre che con la prossimità, con il ricorrere in entrambe di alcuni elementi iconografici come il bambino fasciato (che nella Dormizione rappresenta l'anima di Maria che ascende al cielo) e il materasso bianco su cui la Vergine si appoggia in entrambe le scene.

 
Il mosaico del catino absidale centrale è andato perduto nella ristrutturazione cinquecentesca ma doveva molto probabilmente raffigurare la Vergine orante.
 

Note:
 
(1) Nel 1132 Giorgio di Antiochia fu investito da Ruggero II del titolo di amiratus amiratorum qui praeerat toto regno meo, che è stato talora interpretato come “ammiraglio degli ammiragli” (grande ammiraglio). Il termine amiratus deriva però dall'arabo amir - emiro - che significa soltanto capo, ciò che in greco viene reso con il termine arconte, e solo in un epoca successiva indicherà il ruolo di comando della marina militare. La carica ricoperta da Giorgio di Antiochia era quindi più simile a quella di primo ministro o vicerè che a quella di semplice comandante della flotta.
 
(2) Per ragioni più che altro economiche fu lasciata in situ la facciata di Nicolò Palma mentre per problemi di aderenza al substrato gran parte dei mosaici furono smontati e rimontati colmando le lacune che si erano prodotte nel corso del tempo. I mosaici sono stati inoltre oggetto di un ulteriore intervento di restauro e consolidamento in epoca recente (2010-2012).














mercoledì 11 marzo 2015

Panagia Kosmosoteira, Feres


Chiesa del Monastero della Panagia Kosmosoteira a Feres
 
 
La chiesa dedicata alla Panagia Kosmosoteira (Salvezza del mondo) fu fondata nel 1152, come katholikon dell'omonimo complesso monastico, da Isacco Comneno (1), il terzogenito di Alessio I, che vi fece molto probabilmente edificare anche la tomba in cui venne tumulato. Si ha infatti notizia che nel 1183 Andronico I, il figlio di Isacco, sostò nel monastero per visitare la tomba del padre.
Nel XIV secolo il monastero venne abbandonato dai monaci e trasformato in complesso fortificato e tra il 1371 ed il 1373 venne occupato dai turchi. Nel 1443 Bertrandon de la Broquiere osservò che la cittadina di Vera, sviluppatasi intorno all'originario insediamento monastico, aveva una popolazione mista di greci e turchi, le fortificazioni erano state parzialmente distrutte e la chiesa convertita in moschea.
 
La chiesa presenta una pianta quasi quadrata (15x20m.) del tipo a croce greca inscritta ed è sormontata da cinque cupole, di cui quella centrale dodecagonale. Le finestre della cupola centrale sono intervallate da pilastrini in mattoni (mentre quelle delle cupole laterali sono intervallate da colonnette sempre in mattoni), su sei dei quali compaiono lettere ornamentali composte in mattoni dall'incerto significato.

 
Esternamente la facciata orientale presenta le tre absidi aggettanti, di cui la centrale a 5 facce e le due laterali a 4. La muratura è del tipo a mattone arretrato (filari di mattoni disposti su piani sfalsati, mascherando i filari più arretrati con lisciature di malta) caratteristica dell'edilizia di età comnena (cfr. il monastero costantinopolitano del Pantokrator). In questo impianto, all'interno, emergono però delle anomalie, la più rimarchevole delle quali è lo sdoppiamento in due colonne dei sostegni occidentali della cupola (quasi ad alludere ad un impianto a tre navate) (2).
 
 
Originariamente la chiesa era avvolta da un deambulatorio, probabilmente di un materiale più leggero, di cui rimangono i segni sui lati nord, sud ed ovest. La parte occidentale del deambulatorio avrebbe costituito l'esonartece destinato, come scritto nel typikon redatto dallo stesso Isacco Comneno, ad ospitare le sepolture del suo segretario Michele e del suo domestico Leone Kastamonites.

In epoca ottomana, quando la chiesa fu convertita in moschea, furono apportate alcune modifiche, le principali delle quali sono:
1) Gli affreschi furono interamente ricoperti d'intonaco;
2) furono aperti due nuovi ingressi nelle facciate nord e sud;
3)  fu aperta una finestra sul lato occidentale.

Affreschi:
1) Nelle pareti N e S dei bracci della croce sono raffigurati: più in alto i busti di due gerarchi, poi due profeti a figura intera che reggono dei cartigli, tra i montanti che partiscono le tre finestre, più in basso i busti di due santi militari ed infine, sul registro più basso, la processione dei gerarchi concelebranti rivolta verso il santuario.
 
parete sud
 
2) Negli archi sopra le due coppie di colonne l'Annunciazione e la Presentazione al tempio. L'Annunciazione, solitamente collocata sui pilastri che introducono al bema, è qui invece collocata dalla parte opposta.
 
L'angelo dell'Annunciazione
 
3) Nella prothesis troviamo: sulla parete sud la Comunione degli Apostoli (solitamente rappresentata nelle pareti absidali), un arcangelo nella cupola ed una figura non identificata nella conca absidale.
 
La Comunione degli Apostoli
 
4) Nel diakonikon un altro arcangelo è raffigurato nella cupola con un serafino collocato in uno dei pinnacoli.
Non è chiaro come fosse decorata la cupola centrale (l'intonaco sovrapposto in epoca ottomana non è stato rimosso), mentre nelle altre due cupole sul lato occidentale sono raffigurati rispettivamente il Cristo (cupola SO) e la Vergine (cupola NO).
Cupola NO

I quattro santi militari raffigurati sulle pareti nord e sud spiccano per le notevoli dimensioni e la collocazione di primo piano in seno al programma iconografico della chiesa. Queste caratteristiche unite all'assenza di didascalie che li identifichino e all'accentuata caratterizzazione dei volti, ha fatto supporre (Ch. Bakirtzis, Warrior Saints or Portraits of Members of the Family of Alexios I Komnenos? in Mosaic. Festschrift for A. H. S. Megaw ,ed. J. Herrin et al., Atene 2001) che vi siano in realtà raffigurati i membri della famiglia imperiale: Alessio I ed i suoi tre figli Giovanni II, Andronico e lo stesso Isacco.
 
Alessio I Comneno (1081-1118)
 
Andronico Comneno
 
Giovanni II Comneno (1118-1143)
 
Isacco Comneno
 
La tomba di Isacco Comneno: nel typikon del monastero Isacco Comneno esprime chiaramente la volontà di essere sepolto nella nuova chiesa da lui fondata, disponendo anche il trasferimento di alcuni elementi di arredo dalla tomba che aveva in precedenza predisposto per sé nel monastero di Chora. La tomba, che doveva consistere in un sarcofago marmoreo di cui la lastra conservata attualmente presso il Museo ecclesiastico di Alessandropoli doveva costituire la pietra di copertura, non è però mai stata ritrovata. Seguendo le indicazioni contenute nel typikon la sua collocazione più probabile doveva però essere nell'angolo nordoccidentale della chiesa, isolata dal resto del naos da una cancellata bronzea di cui il fondatore richiede il trasferimento da Chora. Ad ulteriore conforto di questa ipotesi, su uno degli archi che sostengono la cupola che sovrasta questa zona, è raffigurata la scena funeraria delle Tre Marie al sepolcro in cui l'angelo seduto sulla tomba del Cristo sembra indicare in basso, dove doveva appunto trovarsi il sepolcro di Isacco Comneno.

Le Tre Marie al Sepolcro.
La freccia rossa segnala il braccio destro dell'angelo che sembra indicare verso il basso.

All'esterno inoltre, in corrispondenza dell'angolo nordoccidentale, è inserita nella muratura un'aquila composta in mattoni come a sottolineare ulteriormente il luogo di sepoltura di un membro della famiglia imperiale.


Note:

(1) Quando il 15 agosto del 1118 il fratello Giovanni II divenne imperatore dei romei, succedendo al padre Alessio I, suo fratello Isacco fu nominato sebastokrator, una delle cariche più alte dell'impero bizantino. Egli profuse il suo impegno soprattutto in opere filantropiche, tra cui il restauro del monastero di Chora. Nel 1130 i rapporti tra Giovanni II e Isacco s'incrinarono: Isacco fu infatti costretto a lasciare Costantinopoli, rimanendone lontano per sei anni, perché accusato di far parte di un presunto complotto per rovesciare il fratello. Nel 1136 Isacco ritornò a Costantinopoli e si riconciliò pacificamente con l'imperatore. L'8 aprile 1143 morì Giovanni II, e Isacco dovette nuovamente andarsene da Costantinopoli, quindi si trasferì a Eraclea Pontica, e tra il 1145 e il 1146 tentò di usurpare il trono al nipote Manuele I Comneno, ma senza successo. Molto probabilmente nel 1152 Isacco fu costretto dall’imperatore Manuele I a ritirarsi a vita privata in una zona rurale in Tracia, vicino al monastero di Ainos, con un vitalizio consono al suo rango. Qui, nei pressi dell'attuale città di Feres, fondò il monastero dedicato alla Vergine Kosmosoteira.

(2) Questo sdoppiamento dei pilastri occidentali della cupola non ha precedenti nell'architettura costantinopolitana mentre compare nelle coeve chiese crociate, potrebbe quindi essere un riflesso dell'influenza che la cultura latina esercitò sulla corte comnena. Un'altra spiegazione potrebbe trovarsi anche nella necessità di aprire le campate occidentali per rendere visibile la tomba del fondatore.