domenica 26 luglio 2015

La Cuba sottana e la Cubula, Palermo

La Cuba

La Cuba sottana (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II d'Altavilla (1166-1189), al centro dell'ampio parco del Genoardo - dall'arabo gennet-ol-ardh, “paradiso in terra” - il parco reale voluto da Ruggero II d'Altavilla (1130-1154).
Il Genoardo comprendeva al suo interno anche la Cuba soprana e la Cubula (piccola cuba), e faceva parte dei Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati intorno a Palermo.
L'uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il re e la sua corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi, riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba sottana, appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era originariamente circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo. L'apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull'acqua ad un'altezza oggi inspiegabile.
 
L'originaria collocazione della Cuba all'interno di una bacino artificiale
 
Le notizie sul committente e sulla data sono riportate nell'epigrafe posta sul muretto d'attico dell'edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu ritrovata nel 1849 da Michele Amari, scavando ai piedi della Cuba.. La parte dell'epigrafe ritrovata dall'Amari, esposta in una sala a lato, recita: "[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v'ha castello che sia degno di lui. ... Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita".
Il fatto straordinario di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l'apertura della corte normanna, è la lingua in cui è scritta: arabo fatimide in caratteri cufici. Dunque pur riferendosi ad un re cristiano l'iscrizione è in arabo.
La parte dell'epigrafe in caratteri cufici ritrovata da Michele Amari 
 
Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretti dal 1576 al 1621.
In seguito svolse la funzione di caserma per una compagnia di mercenari borgognoni e divenne infine proprietà dello Stato italiano nel 1921. Negli anni '80 comincia il restauro che riporta alla luce le strutture del XII secolo.
Nella Cuba viene infine imprigionata Restituta, protagonista della sesta novella della quinta giornata del Decamerone di Giovanni Boccaccio, ambientata all'epoca del re di Sicilia Federico II (III, secondo altra numerazione) d'Aragona (1295-1337).
 
 
Dall'esterno, l’edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80. Al centro di ogni lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva l'unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura.
I muri spessi e le poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato nord-orientale, perché meglio disposte a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante.
Dall'entrata si accede ad un locale a pianta quadrata delimitato da alte nicchie a sesto acuto che danno all'insieme l'aspetto di una fortezza. Da questo locale si accede ad un ampio spazio quadrato aperto da un alto arco trionfale che immette al terzo ed ultimo spazio rettangolare che doveva costituire la sala del trono. Lo spazio centrale, dove si trova un impluvium e dove sono state trovate le fondamenta di quattro colonne angolari, doveva essere aperto e circondato da un percorso coperto perimetrale.
 
 
L'interno della Cuba era infatti originariamente diviso in tre ambienti allineati e comunicanti tra loro.  La sala centrale era inoltre abbellita da decorazioni a muqarnas, delle quali ne rimane soltanto una.
 
 
La Cubula
 
La Cubula (detta anche “Piccola Cuba”) è un piccolo edificio a pianta quadrata (6x6m) e forma cubica, traforato su ogni lato da archi a sesto acuto decorati con fasce bugnate e sormontato da una cupola emisferica in stile arabo-normanno nel tipico colore rosato (peraltro accentuato dal restauro ottecentesco). E' l'unico superstite della serie di chioschetti che punteggiavano il Parco del Genoardo.
Il padiglione, realizzato nel 1184 molto probabilmente da architetti fatimidi, si trova dove un tempo scorrevano le acque che alimentavano il lago Alberira ed era anch'esso situato all'interno del Parco del Genoardo, probabilmente collegata da una peschiera alla Cuba soprana (inglobata nel XVII secolo nella villa fatta costruire dal nuovo proprietario Carlo Di Napoli).
Per la sua particolare ubicazione, così immersa nel verde, la Cubula veniva spesso usata come luogo di riposo dal sovrano e dai suoi ospiti. Il particolare edificio in pietra tagliata a conci regolari, con i suoi archi ogivali a tre ghiere leggermente incassate, di cui quella centrale con un caratteristico motivo a rilievo, ricorda per questo aspetto alcune chiese palermitane come, ad esempio, quella della Magione. Lo stesso motivo si ritrova inoltre nel frontone della Cattedrale e nel campanile della Martorana.
Oggi la Piccola Cuba si trova all'interno del giardino di Villa Napoli e non è visitabile (si vede abbastanza bene però da via Zancla).



 
 
 

sabato 18 luglio 2015

Il Palazzo della Zisa, Palermo

Il Palazzo della Zisa


Il Palazzo della Zisa (dall'arabo al-Azīza=la splendente) sorgeva al centro del parco del Genoardo (dall'arabo gennet-ol-ardh=paradiso in terra), il parco reale voluto da Ruggero II d'Altavilla (1130-1154). Le prime notizie indicano il 1165 come data d’inizio della costruzione della Zisa, sotto il regno di Guglielmo I d'Altavilla detto il Malo (1154-1166) e che l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II d'Altavilla detto il Buono, (1166-1189), subito dopo il conseguimento della maggiore età (1175).
Significativi interventi di restauro si ebbero negli anni 1635-36, quando Giovanni de Sandoval – il cui stemma è incassato nella facciata al di sopra del fornice maggiore - acquistò la Zisa, adattandola alle nuove esigenze abitative. In occasione di questi lavori fu aggiunto un altro piano chiudendo il terrazzo e si costruì, nell’ala destra del palazzo, secondo la moda dei tempi, un grande scalone, resecando i muri portanti e distruggendo le originarie scale d’accesso.
Lo stemma dei Sandoval de Leon al centro della facciata principale
Nel 1806, la Zisa fu acquisita dai Principi Notarbartolo, rappresentanti della più antica nobiltà siciliana ed eredi della Casa Ducale dei Sandoval de Leon, che ne fecero la propria residenza effettuando diverse opere di consolidamento, quali il risarcimento di lesioni sui muri e l’incatenamento degli stessi per contenere le spinte delle volte. Venne trasformata la distribuzione degli ambienti mediante la costruzione di tramezzi, soppalchi, scalette interne e nel 1860 fu ricoperta la volta del secondo piano per costruire il pavimento del padiglione ricavato sulla terrazza.
Nel 1955 il palazzo fu espropriato dallo Stato, ed i lavori di restauro, iniziati immediatamente, vennero poco dopo sospesi. Dopo un quindicennio d’incuria ed abbandono nel 1971 l’ala destra, compromessa strutturalmente dai lavori del Sandoval e dagli interventi di restauro, crollò.
Attualmente la Zisa ospita il Museo d'Arte Islamica.
Il titolo nobiliare di Principe della Zisa fu creato dai Re di Spagna per i proprietari del castello: fu concesso inizialmente ai Sandoval con apposito privilegio del 1672, e in seguito passò con titoli e beni ai Notarbartolo di Sciara, eredi dei Sandoval.
Il Palazzo della Zisa, concepito come dimora estiva dei re normanni, nasce da un progetto unitario, realizzato da un architetto di matrice culturale islamica ben consapevole di tutta una serie di espedienti per rendere più confortevole questa struttura durante i mesi più caldi dell’anno. Si tratta, infatti, di un edificio rivolto a nord-est, cioè verso il mare, per meglio godere delle brezze più temperate, specialmente notturne, che venivano veicolate all'interno attraverso i tre grandi fornici della facciata e la grande finestra belvedere del piano alto. Questi venti, inoltre, venivano inumiditi dal passaggio sopra la grande peschiera antistante il palazzo e la presenza di acqua corrente all’interno della Sala della Fontana dava una grande sensazione di frescura. L’ubicazione del bacino davanti al fornice d’accesso, infatti, è tutt’altro che casuale: esso costituiva una fonte d’umidità al servizio del palazzo e le sue dimensioni erano perfettamente calibrate rispetto a quelle della Zisa. Anche la dislocazione interna degli ambienti era stata condizionata da un sistema abbastanza complesso di circolazione dell’aria che attraverso canne di ventilazione, finestre esterne ed altri posti in riscontro stabilivano un flusso continuo di aria.
Pianta del piano terra
 
Il Palazzo è orizzontalmente distribuito in tre ordini, il primo dei quali al piano terra è completamente chiuso all’esterno, fatta eccezione per i tre grandi fornici d’accesso. Il secondo ordine è segnato da una cornice marcapiano che delinea anche i vani delle finestre, mentre il terzo, quello più alto, presenta una serie continua di arcate cieche. Una cornice con l’iscrizione dedicatoria chiudeva in alto la costruzione con una linea continua. Si tratta di un’iscrizione in caratteri cufici, molto lacunosa e priva del nome del re e della data, che è tuttora visibile nel muretto d’attico del palazzo. Questa iscrizione venne, infatti, tagliata ad intervalli regolari per ricavarne merli nel momento in cui il palazzo fu trasformato in fortezza.
Il piano terra è costituito da un lungo vestibolo interno che corre per tutta la lunghezza della facciata principale sul quale si aprono al centro la grande Sala della Fontana, nella quale il sovrano riceveva la corte, e ai lati una serie di ambienti di servizio con le due scale d’accesso ai piani superiori.
 

La Sala della Fontana, di gran lunga l’elemento architettonico più caratterizzante dell’intero edificio, ha una pianta quadrata sormontata da una volta a crociera ogivale, con tre grandi nicchie su ciascuno dei lati della stanza, occupate in alto da semicupole decorate da muqarnas (decorazioni ad alveare), in due delle quali un'apertura permetteva alle donne di sbirciare i ricevimenti da cui erano escluse.
 
La decorazione a muqarnas al di sopra del pannello musivo
Nella nicchia sull’asse dell’ingresso principale si trova la fontana sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro, eseguito da maestranze bizantine, che presenta pavoni affrontati di origine mediorientale, affiancati da due cacciatori che mirano ad uccelli nascosti nelle fronde degli alberi. Al di sotto del pannello musivo scaturisce l’acqua che, scivolando su una lastra marmorea decorata a chevrons posta in posizione obliqua, viene canalizzata in una canaletta che taglia al centro il pavimento della stanza e che arriva alla peschiera antistante. In questo ambiente sono ancora visibili i resti di affreschi parietali – nonché quello realizzato nell'intradosso dell'arco che introduce alla Sala della Fontana ed a cui è legata la leggenda dei Diavoli della Zisa (1) – fatti eseguire nel XVII secolo dai Sandoval.
 
Note:
1) La leggenda risale alla dominazione araba e racconta della principessa Al Aziza innammorata del nobiluomo Azel Comel. L'unione era osteggiata dal padre della ragazza, l'emiro di Sicilia. Datisi alla fuga i due amanti furono inseguiti dalle guardie dell'emiro e catturati proprio davanti al palazzo della Zisa, dove fecero in tempo a nascondere l'intera dote della principessa in monete d'oro e a proteggere il nascondiglio con un incantesimo prima di essere condannati a morte e giustiziati. Secondo la leggenda soltanto chi sarà in grado di contare esattamente il numero di ”diavoli” raffigurati nell'affresco potrà rompere l'incantesimo e trovare il tesoro. In realtà i “diavoli” raffigurati nell'affresco non sono altro che gli dei dell'Olimpo e sono in numero di venti. La difficoltà di contarli è legata alla prospettiva ed alla distanza da cui si osservano e, soprattutto, al fatto che hanno dimensioni differenti e alcuni, dipinti a mezzobusto, sono seminascosti dalle nuvole.




martedì 7 luglio 2015

La Madonna dei Catalani di Atene

La Madonna dei Catalani di Atene


 
L'affresco – che misura cm. 117x157 – proviene dalla non più esistente chiesa del Profeta Elia ed è attualmente conservato nel Byzantine and Christian Museum di Atene.
La chiesa del Profeta Elia di epoca mediobizantina, fu ristrutturata e restaurata nel XV secolo e sorgeva nel quartiere di Staropazaro nei pressi dell'Agorà romana. Fu demolita nel 1843 per far spazio alle necessità edilizie della capitale della Grecia indipendente. Prima di procedere alla demolizione l'affresco, che probabilmente si trovava nella lunetta che sovrastava l'ingresso principale, fu staccato e conservato.
L'affresco raffigura al centro la Vergine con il Bambino seduta su un grande cuscino cilindrico. Lo sfondo è punteggiato da alberi, cespugli ed una ricca bassa vegetazione. Ai lati della composizione centrale – che combina elementi occidentali, nella disposizione del panneggio e nell'articolazione dello sfondo, e bizantini, nella riigidità e frontalità delle figure – campeggiano due scudi araldici.
L'affresco è conosciuto come Madonna dei Catalani perchè questi scudi – soprattutto quello a destra - furono a lungo riferiti alla Compagnia Catalana e alla casa d'Aragona.
Successivamente D. Kampouroglou, sulla scorta delle iniziali "F" e "A" e "L" e "S" dipinte in caratteri gotici accanto agli scudi, li ha più propriamente identificati come riferibili rispettivamente al duca di Atene Francesco I Acciaiuoli (1451-1455), a sn., e al nobiluomo genovese Lorenzo Spinola, morto nel 1453, che fu probabilmente il committente dell'affresco giacchè è noto che la comunità genovese ad Atene possedeva una chiesa nel quartiere commerciale vicino all'ingresso dell'Agorà romana. 

  La chiesa del Profeta Elia, a sn,, e quella dei Tassiarchi, a ds.
 disegno ad acquerello realizzato da Eugene Peytier nel 1833 ora
in Liberated Greece and the Morea Scientific Expedition: The
Peytier Album in thw Stephen Vagliano Collection, Atene, 1971

Questo acquarello di Eugene Peytier raffigura la chiesa dei Tassiarchi e quella del Profeta Elia allo Staropazaro (mercato del grano) entrambe demolite nel 1843. La chiesa del Profeta Elia era probabilmente un edificio risalente all'XI-XII secolo convertito e ridecorato come edificio ecclesiastico verso la metà del XV secolo. Nel piccolo slargo che si apre sull'attuale via Dexippou è stato posto un ceppo di colonna sormontato da una lastra marmorea (provenienti dalla demolizione della chiesa) ad indicare il luogo dove molto probabilmente questa sorgeva.
 

 


venerdì 3 luglio 2015

Chiesa della Magione (Chiesa della SS.Trinità del Cancelliere)

Chiesa della Magione (Chiesa della SS.Trinità del Cancelliere)


 
Costruita intorno al 1191 su committenza di Matteo D’Aiello, alto funzionario della Cancelleria normanna del Regno di Sicilia e Gran Cancelliere sotto Tancredi d'Altavilla (1189-1194), e dedicata alla SS. Trinità (è infatti conosciuta anche come chiesa della SS.Trinità del Cancelliere).
Fu inizialmente affidata ai monaci cistercensi che vi rimasero fino al 1197, quando Enrico VI la cedette all'ordine dei cavalieri teutonici da cui prese in nome di Magione (da mansio theutonicorum, dove aveva sede il precettore generale dell'ordine), divenendo un importante base di partenza per i crociati.
Dal 1492 al 1786 segue un periodo cosiddetto “pontificio secolare” aperto dal cardinale Rodrigo Borgia prima di essere eletto papa.
Nel 1786 la basilica passa all’ordine Costantiniano di S.Giorgio, di cui era divenuto Gran Maestro re Ferdinando III di Borbone, divenendo la ricca Commenda costantiniana (7 feudi e 14 chiese filiali e 14 suffraganee).
Nel 1860 fu espropriata da Garibaldi di tutti i suoi possedimenti che passarono al demanio dello stato.
Gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943, fu restaurata ed eretta a parrocchia (chiesa della SS.Trinità) nel 1957.

La chiesa – l'ultima delle fondazioni normanne legate alla casa d'Altavilla - con il suo slancio verso l'alto e la concezione dell'interno, risente già di modelli cistercensi, impostati su criteri di grandiosità.
La facciata è a tre elevazioni, con forti lineassi nel secondo e terzo ordine, mentre i tre portali di ingresso sono ornati da ghiere con bugne a cuscinetto. Il paramento murario è monocromo, con forti chiaroscuri dati dagli incassi delle finestre, tranne che nelle absidi, dove sono intagliati archi che si intrecciano; l'abside centrale è conclusa da archi ciechi incassati, a ritmo continuo.


Presenta una pianta di forma rettangolare, a tre navate di cui quella centrale terminante con un abside semicircolare aggettante all'esterno, ai cui lati si aprono due cappelle di analoga forma. Queste ultime sono poste a conclusione delle navate laterali, ma, a differenza dell’abside principale quasi non tradiscono la loro forma nel prospetto della parete esterna di fondo, rimanendo contenute quasi interamente nello spessore della muratura.


La zona presbiteriale appare leggermente rialzata e dotata di grandi archi acuti impostati su pilastri cruciformi ai quali sono appoggiate colonnine.
La copertura originaria è oggi scomparsa, anche se le attuali capriate dovrebbero ricalcarla, almeno come tipologia.


Alcuni studiosi hanno messo in evidenza come, pur essendo la chiesa della Magione il prodotto di influenze artistiche locali sia in pianta sia nella decorazione, l’interno dell’edificio presenti negli alzati una componente verticale accentuata e insolita nella tradizione arabo-normanna.
All'interno si sviluppa infatti un corpo formato dal transetto e dal coro, dando forte slancio verticale alla basilica ed eliminando così ogni cupola di copertura. L'abside centrale ha anch'essa un grande sviluppo, ed è segnata come quelle laterali - più piccole - da un triplice ordine di colonnine annicchiate.


Il Chiostro, al cui interno sono ancora visibili affreschi con lo stemma dei Cavalieri teutonici, conserva in parte le strutture originali del XII secolo nel braccio nord e in quello sud, dove si trovano pietre sepolcrali del XV secolo.